domenica 23 dicembre 2012

Gyulai Ferencz

Gyulai Ferencz
Pest, 1798 – Vienna, 1868

Conte di Maros-Németh e Nádaska. Generale austriaco. Governatore dell'Istria e di Trieste (1847), resse per un anno (1849) il ministero della Guerra ed ebbe l'incarico dall'mperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo di negoziati politici presso lo zar durante la guerra di Crimea. Quando l'imperatore si decise per una politica di moderazione nel Lombardo-Veneto, il Gyulai fu chiamato a succedere a Radetzky. Dal 1857 governatore della Lombardia e comandante delle truppe austriache in Italia, scoppiata la guerra del 1859, rimase indeciso e inoperoso dando modo ai franco-piemontesi di compiere indisturbati il loro congiungimento. Battuto a Magenta e, in retroguardia, a Melegnano, fu esonerato dal comando. Da buon soldato Gyulai chiese ed ottenne di assumere il comando del reggimento a lui intitolato e di cui era nominalmente proprietario (Regimentsinhaber); ma questo era, e rimase, di presidio a Mantova e non ebbe occasione di combattere.

giovedì 6 dicembre 2012

GARIBALDINI A DOMOKOS


La battaglia di Domokos venne combattuta il 17 maggio 1897 nei pressi della cittadina di Domokos, nella Grecia centrale, nell'ambito della guerra greco-turca: lo scontro vide contrapposti l'armata greca guidata dal Principe Costantino ed un esercito ottomano sotto il generale Ethem Pascià, e si concluse con la vittoria di quest'ultimo.

Lo scontro vide la partecipazione, nelle fila dell'esercito greco, anche di una brigata di volontari italiani "garibaldini" guidati dallo stesso Ricciotti Garibaldi tra i volontari era presente anche il deputato del Parlamento italiano Antonio Fratti, che cadde in combattimento

mercoledì 28 novembre 2012

Lettera alla contessa Elisabeth Salhias de Tournemire


In una lattera il russo, infatti, descrisse dettagliatamente la sua permanenza sull’isola e tratteggiò la figura politica e umana del mitico Garibaldov. Si tratta di un documento storico di grande importanza e una ricca fonte di informazioni sulla prima tappa italiana di Bakunin, sul volontario esilio di Garibaldi e sulla sua vita a Caprera.
...Garibaldi ci ha accolto molto amichevolmente ed ha prodotto su di noi due un’impressione profonda. È guarito del tutto, e benché zoppichi un poco è forte come un leone e sta in piedi dalla mattina alla sera.
Lavora nel suo giardino, il quale anche se non è bellissimo è straordinariamente interessante, perché è tutto seminato dalle sue mani sulla roccia e tra la roccia.
La vista è triste e bellissima.
Non c’è che una casa in pietra, bianca, pomposamente chiamata “Palazzo di Garibaldi”, un’altra piccola di ferro ed una terza, ancor più piccola, di legno. Nel giardino ha giovani alberi e piante, aranci, limoni, mandorli, viti, fichi.....
A Caprera c’era quella che in Russia chiamano estate. Siamo rimasti tre giorni e tutti e tre furono sereni. Anche le sere e le notti erano calde.
Da Garibaldi abbiamo trovato un giovane segretario politico, Guerzoni, che funge ora da anello nella nuova unione tra Mazzini e Garibaldi, Basso, militare e marinaio, compagno americano di Garibaldi e i due figli di questi, Menotti e Ricciotti, oltre ad alcuni soldati e marinai garibaldini, in tutto una dozzina di persone. È una repubblica democratica e sociale.
Non conoscono la proprietà: tutto appartiene a tutti. Non conoscono neppure gli abiti da toilette, tutti portano delle giacche di grossa tela con i colletti aperti, le camicie rosse e le braccia nude, tutti sono neri dal sole, tutti lavorano fraternamente e tutti cantano....
In genere questa piccola adunata a Caprera di ragazzi sani, forti e gloriosi, di cui ognuno s’è già reso famoso per qualche gesta di coraggio, mi ha rammentato le prime pagine del Corsaro di Byron. Ma tra loro sta Garibaldi, grandioso, calmo, appena sorridente, l’unico lavato e l’unico bianco in questa folla di uomini neri e magari alquanto trasandati. Egli è infinitamente buono e la sua bontà s’allarga non soltanto agli uomini ma a tutte le creature...
In mezzo ad una lunga conversazione Garibaldi mi ha detto: “In questi ultimi tempi la vita mi è venuta a noia, io mi separerei volentieri da lei, ma vorrei morire in modo utile alla patria e alla libertà di tutti i popoli. Intendevo partire per la Polonia, ma i polacchi mi fecero dire io sarei stato inutile là e che il mio arrivo avrebbe causato più danno che giovamento. Perciò ho rinunciato. Del resto io stesso ammetto che sarò più utile a loro qui che non là. Se faremo qualcosa in Italia, ciò sarà proficuo anche per la Polonia, che ora, come sempre, ha tutta la mia simpatia”...
È stato straordinariamente caro e gentile con mia moglie e con un’inglese che beveva non poco e aveva il naso rosso. Accompagnandoci la fece sedere su una sua barca ed essa pescò con un lungo bastone dei ricci di mare, e delle specie di fritti di mare. Il 23 siamo tornati a Genova, il 26 passando per Livorno sono giunto a Firenze e – ve lo dirò in segreto – sono già innamorato dell’Italia e ho dato la mia parola a mia moglie che in un mese parlerò italiano.



giovedì 15 novembre 2012

A MIO PADRE


Mio padre nato in un piccolo paese della fascia tirrennca,Falcone, nel lontano 1918 dove è vissuto fino all'età di vent'anni quando viene chiamato alle armi : per circa 7 anni ha partecipato alla II guerra mondiale e viene decorato al valor militare con la medaglia d'oro.Dopo che si congeda ritorna nella sua patria dove lavora in una piccola fabbrica del suo paese,  si sposa ed ha un figlio.Per alcuni anni ,si trasferisce in Australia per motivi di lavoro ma poi ritorna in italia dove trasorre gli ultimi anni della sua vita.Chi era mio padre?Un uomo che mi ha dato sicurezza,forza e dignità mi ha insegnato l'onesta,il perdono e l'umiltà,mi ha dato amicizia sostegno,disciplina e un amore incondizionato,gliene sono riconoscente,lo ringrazio per avermi insegnato a stare al mondo,ad amare a combattere,non dimenticherò per tutto quello che ha fatto per me.Anche da lassù, qualunque cosa accada, lui mi aiutera’.Nonostante a volte litigavamo,lo vorrò sempre bene,lo ringrazio per tutte le volte che mi ha dato consigli,per le attenzioni che mi ha dato,per tutte le volte che sei stato orgoglioso per me.Se oggi sono quello che sono lo devo a lui.Lo ringrazio di avermi donato,le cose più importanti della mia vita.Lo penso sempre e gli mando un bacio e una carezza.
Questo Blog è dedicato a mio padre.

venerdì 9 novembre 2012

MANOELA DE PAULA FERREIRA


AMARE IN ETERNO ovvero STORIA DELLA RAGAZZINA CHE AVREBBE CAMBIATO LA STORIA:
MANOELA DE PAULA FERREIRA.Era il 1838 ,suo zio Bento Goncalvez ,Presidente
della Repubblica del Riogrande del Sud aveva dfichiarato guerra all'imperatore del Brasile e per motivi di sicurezza aveva spedito la famiglia a vivere in uno dei suoi possedimenti di campagna dove aveva invitato il capitano Giuseppe Garibaldi.Fra la ragazza e il condottiero fu grande amore. Racconta G. nelle sue memorie che ella era la signora assoluta del suo cuore ma che l'amava senza speranza perchè era promessa al figlio di Bento.Joacquim. OTACILIO, un nipote della ragazza chiarì la cosa, NON ERA VERO, semplicemente la famiglia pur battendosi per una causa sociale, infatti la loro si chiamava la rivoluzione degli straccioni,non voleva imparentarsi con uno che consideravano molto interessante,ma non del loro livello sociale.Anche nel carteggio inedito d i Rossetti e Cuneo si parla della volonta'd i Garibaldi di mettere su casa sposando la ragazza,ma anche dell'impossibilita' di farlo.Questa situazione d,eve aver fatto scattare una saracinesca nella mente del Nostro .Infatti scrive che ella fu la fidanzata di un ALTRO Garibaldi. Cioe' non smise di amarla,d ice che non poteva,ma disconobbe quel se stesso che l'aveva amata.RICORDO' CHE LA SUA NON POTEVA ESSERE UNA VITA BORGHESE ACCANTO A UNA DONNA BORGHESE.Scese a Laguna dove conobbe una donna diametralmente diversa, la sua ANITA-Manuela gli rimase fedele tutta la vita e morì nubile a 84 anni,scrivendo e sempre informata sulle vicende garibaldine. Quando morì i giornali scrissero in prima pagina MUORE LA FIDANZATA DI GARIBALDI e così è menzionata anche sulla tomba.RETEQUATTRO ha presentato nel 2003 una telenovela brasiliana che racconta sia pure liberamente, questa storia. Deliziosa la trattazione del tema romantico dell'amore eterno. — con Giuseppe Garibaldi (new), Giovanni Occhipinti, Noemi Confortini e altri 39 presso Dov'è stata scattata questa foto?

Auguste Bartholdi,


Il Garibaldino Frédéric-Auguste Bartholdi, conosciuto anche con lo pseudonimo Amilcar Hasenfratz (Colmar, 2 agosto 1834 – Parigi, 4 ottobre 1904), è stato un patriota e scultore francese.
Fervente repubblicano e sostenitore degli ideali garibaldini, tanto da vestire generalmente in camicia rossa, durante la guerra franco-prussiana del 1870 fu aiutante di campo di Giuseppe Garibaldi e ufficiale di collegamento tra il Governo Francese e l'esercito dei Vosgi, incaricato di provvedere ai rifornimenti.Autore di varie e imponenti sculture, il suo nome è legato principalmente alla Statua della Libertà, donata dalla Francia agli Stati Uniti e situata all'ingresso del porto di New York.L’esecuzione dell’opera venne affidata all’Ing.Eiffel , il costruttore della famosa torre Fu iniziato alla Massoneria il 4 ottobre del 1875, nella Loggia Alsace et Lorraine di Parigi.[1]. Venne insignito della Legion d'Onore nel 1892. Morì a causa della tubercolosi.

domenica 4 novembre 2012

FRANCESCO BENTIVEGNA


(Corleone, 1820 - Mezzojuso, 1856)
Il Barone Francesco Bentivegna, nato il 4 Marzo 1820 da don Giliberto Bentivegna e  donna Teresa De Cordova dei marchesi della Giostra, è ritenuto  una tra le più significative personalità patriottiche dell'Isola.  Democratico e mazziniano, grande sostenitore di ideali di libertà, il Barone Bentivegna fu sin da giovane, patriota sincero, e partecipò alle diverse dimostrazioni antiborboniche del 1847 e alla rivoluzione del 1848. Già il 10 gennaio  1848, organizzava a Corleone, una squadra armata per condurla l'indomani a Palermo, dove il 12 sarebbe scoppiato il moto preannunciato dalla stampa dei fratelli Bagnasco. L'ardore e il coraggio mostrati nell'azione valsero al Bentivegna la nomina, da parte del governo rivoluzionario, a Maggiore dell'esercito nazionale siciliano. Eletto deputato  alla Camera dei Comuni, fu fra i sottoscrittori dell'atto del 13 aprile 1848, col quale il Parlamento decretava  la decadenza della dinastia borbonica dal Trono di Sicilia, e, in luglio, appoggiò l'offerta della corona dell'isola a Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia. Anche nei momenti più critici della rivoluzione, con il Filangieri già alle porte di Palermo, egli fu contrario alla pacifica consegna della città alle truppe borboniche e sostenne la resistenza ad oltranza.
Tra l'aprile e il maggio del 1849 la restaurazione determinava una delle più importanti ondate di emigrazione politica di patrioti isolani verso diverse mete estere. Bentivegna fu tra coloro che optarono per la permanenza nell'isola, per continuare la propria attività cospirativa in patria. Il 27 gennaio 1850, lo troviamo impegnato nel fallimentare  tentativo di riscossa  organizzato a Palermo da quattro Comitati insurrezional, conclusosi con un pesante bilancio: numerosi arresti e la fucilazione di sei giovani nella piazza della Fieravecchia. Fu colpito da mandato di arresto, ma rimase libero e poté continuare la sua attività cospirativa da fuggiasco, coordinando forze e mezzi nell'area montana e pedemontana della capitale isolana. Temuto dalla polizia borbonica in quanto pericoloso uomo «di consiglio e di azione [...] capace per l'energia del carattere e della parola a concitar le masse  ad avventati partiti», il 25 febbraio 1853 veniva arrestato nel quartiere dell'Albergaria, in casa di una tessitrice, dietro informazione giunta al Direttore di Polizia e con l'accusa di essere stato il principale oratore in una riunione di patrioti organizzata in  contrada S. M. di Gesù. Il suo arresto rientrava in un piano più ampio della Polizia borbonica, orientato a reprimere l'attivismo del Comitato centrale di Sicilia, al quale il Bentivegna era indubbiamente legato. Rimesso in libertà il 2 agosto 1856, si trovò subito immerso in un nuova spirale di agitazione politica. Tutta l'isola era in fermento: ci si preparava per un generale insorgimento, e a Palermo un Comitato rivoluzionario centrale aveva esteso le fila nei maggiori centri della Sicilia. Pur trovandosi confinato a Corleone, sorvegliato dalla polizia, Bentivegna, eludendo la vigilanza, si pose in contatto con i membri del Comitato, e fra mille insidie assoldò uomini, raccolse armi e munizioni fino a poter annunciare ai "Fratelli" in città che tutto era pronto e che forte era il desiderio di riscossa. In questo contesto di grande frenesia, la sera del 22 novembre 1856, la "masnada Bentivegna", anticipando l' organizzazione più generale dei patrioti isolani, avviava  il moto che la polizia borbonica non trovava difficile reprimere. Arrestato, veniva processato, in modo sommario, da un tribunale militare che lo condannava alla pena capitale. La sua eroica fine, avvenuta per fucilazione nella piazza principale di Mezzojuso, il 20 dicembre 1856, ne fa un emblema dell'identità  risorgimentale.

mercoledì 31 ottobre 2012

Poesia di Giovanni Pascoli


GIOVANNI PASCOLI , NELLA SUA POESIA " IL RE DEI CARBONARI " LI INVITA A DARSI UNA MOSSA ....

O Carbonari, uscite dalle porte
dell'acque, con le accette sulle spalle.

Uscite al monte, andate nella valle,
tagliate rami verdi d'oleastro.

Recate ognuno frondi d'oleastro,
rami di mirto, calami di canna.


Fatevi, come è scritto, una capanna,
un vostro asilo tacito e selvaggio.

Una capanna, usciti di servaggio,
fate di rami d'acero e di pino;

ove beviate in pace il dolce vino
e vi cibiate della pingue carne.

Ma la sua parte niuno oblii mandarne,
a chi non n'ha, ché questo è il giorno santo.

E lieti siate, ed obliate il pianto.
Gioia è di Dio che il cuore ci fa forte

martedì 30 ottobre 2012

Anzani, Francesco

Anzani, Francesco. - Patriota (Alzate, Como,1809 - Genova 1848); giovinetto combatté per l'indipendenza greca; poi lasciò l'univ. di Pavia per recarsi in Francia, ove prese parte al moto repubblicano nel 5-6 giugno 1832; combatté ancora in Portogallo (ove fu ferito) contro don Miguel e in Spagna contro don Carlos; arrestato a Genova (1838) dalla polizia sarda, fu consegnato all'Austria. Posto sotto sorveglianza, preferì emigrare in America, ove combatté con Garibaldi per l'Uruguay e partecipò alla battaglia di S. Antonio del Salto (8 febbr. 1846). Accorso nel 1848 in patria, morì appena sbarcato a Genova; Garibaldi diede il suo nome a un battaglione.

venerdì 26 ottobre 2012

Piero Cironi


(1819 - 1862)
Figlio di una ricca famiglia terriera, fu rivoluzionario e democratico, protagonista degli ideali democratici risorgimentali che lo portarono ad essere intimo amico di Giuseppe Mazzini, col quale, pare, condividesse anche ideali massonici. Cironi studiò a Prato, poi all'Accademia di belle arti di Siena e si laureò in scienze matematiche all'Università di Pisa. Qui entrò in contatto con ambienti patriottici e rivoluzionari, che si ispiravano agli ideali di Mazzini e di Saint-Simon.
Tornato a Prato, maturò una forte coscienza politica e sociale, interpretando la vita come dovere e servizio, all'insegna di una profonda riflessione etica. Dedicò la sua breve esistenza all'attivismo militante e alla propaganda degli ideali di indipendenza, attraverso il giornalismo e la fondazione di associazioni e società democratiche, a volte segrete. Cercò di coniugare l'intransigenza dei repubblicani con la necessità di una mediazione con i moderati e la monarchia, in vista dell'unità d'Italia.
Si oppose invece al pensiero politico dei cattolici, ispirati in quegli anni dal Primato di Vincenzo Gioberti. Per le sue attività politiche fu imprigionato per un anno nel carcere di Piombino e dovette, in seguito, rifugiarsi a Genova e poi in Svizzera. Nel 1859 fu direttore a Firenze de “L'Unità Italiana”, che appoggiò l'impresa dei Mille. Creò, insieme a Mazzoni e Dolfi, la Fratellanza Artigiana, fondata su quei principi solidaristici che saranno propri del movimento operaio.
Oltre a scritti giornalistici e politici, pubblicò a Prato La stampa nazionale italiana 1828-1860, che può essere considerata la prima storia del giornalismo democratico nazionale.
Morì quarantatreenne a Prato nel 1862.

lunedì 15 ottobre 2012

Compendio Garibaldino di Caprera


Il Compendio Garibaldino di Caprera è formato da una vasta area che racchiude un insieme di edifici al cui interno sono conservati cimeli dell'eroe e gli oggetti utilizzati per la vita quotidiana.
Originariamente appartenenti a Garibaldi, queste pertinenze sono divenute proprietà dello Stato italiano che le cura e ne dispone la fruizione museale.La visita al Compendio è incentrata principalmente sulla Casa Bianca, che il generale costruì assieme al figlio Menotti. Superata la porta d'ingresso, che prospetta sul cortile, si raggiunge l'atrio dove si trovano in esposizione armi e cimeli delle diverse campagne di guerra. Proseguendo, si entra nella camera matrimoniale dove, ai piedi del letto, è collocato il lettino ortopedico sul quale l'eroe infermo trascorse, negli ultimi anni di vita, gran parte del tempo, ed una pianola che rivela l'amore di Garibaldi per la musica. Sono disposte quindi, in successione, la camera dei figli Manlio e di Clelia; a quest'ultima è attigua la cucina con il camino in pietra, il forno e la pompa dell'acqua. Segue il vano dei cimeli e il salotto dove è degna di nota una poltrona in pelle, con schienale reclinabile, munita di scrittoio e leggio, dono della regina Margherita di Savoia.Il percorso prosegue verso la "Stanza della morte", fatta costruire dalla moglie Francesca Armosino per essere destinata inizialmente a stanza da pranzo. Qui Garibaldi, ormai gravemente malato, volle essere trasferito per poter vedere dalla finestra il mare e la Corsica.

mercoledì 10 ottobre 2012

Amari, Michele


AmariMichele. - Patriota, storico e arabista siciliano (Palermo 1806 - Firenze 1889). Oppositore dei Borbone, costretto a un lungo esilio in Francia, fu dapprima fervente mazziniano ma infine appoggiò la soluzione cavouriana. Rientrato in Italia, divenne ministro dell'Istruzione, organizzò gli studi orientali e contribuì in modo rilevante alla conoscenza della Sicilia musulmana.Impiegato ministeriale, nel 1842, alla pubblicazione della sua opera La Guerra del vespro (cui la censura impose il generico titolo Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII), sgradita al governo di Napoli, esulò in Francia, dove intraprese lo studio dell'arabo. Interruppe l'esilio nel 1848-49, quando fu deputato nel parlamento siciliano e ministro delle Finanze. Tornato a Parigi, intensificò i suoi rapporti con il Mazzini, collaborando alla sua attività propagandistica. Rientrò in Italia nel 1860, fu senatore nel 1861, ministro dell'Istruzione dal 1862 al 1864, professore dal 1860 al 1873 nell'Istituto di studi superiori di Firenze. In politica passò dall'autonomismo regionale a una salda convinzione unitaria, pur restando sostenitore di un sistema di largo decentramento, e dalla collaborazione col Mazzini all'appoggio, nel 1860, del progetto unitario e monarchico di Cavour.

sabato 6 ottobre 2012

Pecchio Giuseppe

Pécchio, Giuseppe, conte. - Economista e patriota (Milano 1785 - Brighton 1835), uditore presso il Consiglio di stato (1810-14) durante il Regno Italico, fu nominato dal governo austriaco deputato della congregazione provinciale di Milano (1819). Collaborò al Conciliatore (1818-19) con articoli su temi di economia pubblica. Avendo aderito (1820-21) alla cospirazione dei Federati, fu costretto a esulare in Spagna, in Portogallo e, infine, in Gran Bretagna. Scrisse una Vita di Ugo Foscolo (1830) e una Storia critica della poesia inglese (4 vol, 1833-35); ma la sua fama è affidata soprattutto al Saggio storico sull'amministrazione finanziera dell'ex regno d'Italia dal 1802 al 1814 (1820) e alla Storia dell'economia pubblica in Italia (1829), la prima scritta in Italia. Fu autore anche della dissertazione Sino a qual punto le produzioni scientifiche e letterarie seguono le leggi economiche della produzione in generale (1832).

giovedì 4 ottobre 2012

Pes di Villamarina Salvatore


Cagliari, 1808 – Torino, 1877
Uomo politico e diplomatico. Figlio di un ministro di Carlo Alberto, fu nominato nel 1847 consigliere di legazione e inviato in Toscana come incaricato d'affari (1848). Nel 1852 ebbe la nomina a ministro plenipotenziario a Parigi, dove svolse un ruolo importante nella preparazione dell'Villafranca">armistizio di Villafranca. Alla fine del 1859 fu destinato a Napoli in qualità d'inviato straordinario e di ministro plenipotenziario presso la corte borbonica, e anche qui la sua opera fu particolarmente preziosa nel contesto della spedizione dei Mille, prima; con la dittatura a Napoli di Garibaldi, dopo. Dal 1862 al 1868 fu prefetto di Milano.

lunedì 1 ottobre 2012

FERDINANDO PALASCIANO

Ferdinando Palasciano nacque a Capua il 13 giugno 1815. A 22 anni era già laureato in Lettere, Filosofia e Veterinaria.Era l'epoca delle grandi tappe della medicina e Palasciano, entusiasta dei continui progressi di questa scienza, s'iscrisse all'Ateneo di Messina, conseguendo, nel 1840, la laurea in Medicina e Chirurgia. Dopo la laurea entrò, con il grado di alfiere medico ed assegnato all'Ospedale Militare, nell'esercito borbonico.Nel 1848 l'intera Europa è percorsa da un sussulto rivoluzionario e, quasi ovunque, i popoli si ribellano alla tirannia dell'assolutismo. Anche la Sicilia è terra di tumulti, ribellioni e sommosse. Messina si unisce a Palermo nell'insurrezione contro il dominio dei Borboni ma, nonostante la coraggiosa resistenza ai bombardamenti della flotta borbonica, il 7 settembre capitola ed il generale borbonico Filangeri, s'impossessa della città. Il Filangeri, per infierire sui ribelli vinti, diete ordine ai medici militari di non curare il nessun modo i nemici feriti in combattimento.Ferdinando Palasciano, però, si rifiutò di obbedire e chiamato dal Generale a rapporto, replicò in questo modo: “I feriti, a qualsiasi esercito appartengano, sono per me sacri e non possono essere considerati come nemici.”. Per tale risposta fu accusato di insubordinazione con il rischio di essere passato alle armi. Solo grazie ai buoni rapporti che intratteneva con Re Ferdinando di Bordone ebbe salva la vita. Fu condannato ad un anno di carcere che scontò a Reggio Calabria.A Reggio, anche se prigioniero, Ferdinando Palasciano viene incaricato di soccorrere i feriti dell'esercito napoletano, che le navi trasportano da Messina. Palasciano fu in prima fila nel 1860 a Capua, durante la battaglia del Volturno.Nel 1861, con l’unificazione dell'Italia e la fine del dominio borbonico, il Palasciano può rimettersi in azione per far riconoscere il suo principio di “neutralità dei feriti in guerra”. A Napoli, il 28 gennaio 1861 il Palasciano pronuncia un discorso rimasto celebre nel quale asseriva: “…bisognerebbe che le potenze belligeranti, nella dichiarazione di guerra riconoscessero reciprocamente il principio della neutralità dei combattenti feriti o gravemente infermi, e che adottassero rispettivamente quello dell'aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra.”.La Convenzione di Ginevra, definitivamente approvata il 22 agosto 1864 cioè tre anni dopo, fece pienamente suoi questi memorabili principi umanitari. Il Palasciano vede finalmente mettere in pratica quei pensieri che quattordici anni prima gli avevano messo in pericolo la vita. Ma ciò non basta ancora a tranquillizzare la sua coscienza. Nel giugno del 1870, quando egli denuncia ancora con grande energia tutti gli “episodi di crudeltà” verificatisi tra gli eserciti combattenti durante il conflitto franco-prussiano. Per tale denuncia fu deferito al Tribunale di Guerra e per il medico capuano fu richiesta, l'immediata fucilazione. Ferdinando II, che aveva intuito la grandiosità di Palasciano, lo graziò e pare che, in quella occasione, avesse esclamato, alludendo anche alla bassa statura del medico: “che male po’ ffà, è accussì piccerillo.”Nel 1859, durante la battaglia di Solferino, il Sig. Dunant, svizzero, presente in quei luoghi come semplice spettatore, venne a conoscenza, tramite il dott. Appia, delle innovazioni propugnate dal Palasciano: rimase affascinato da tali idee al punto che le fece sue,Poco dopo Dunant pubblicò a Ginevra “Un souvenir de Solferino”, in cui Dunant esponeva, appunto, il principio della neutralità del combattente ferito.Il libro fu tradotto in molte lingue. A di stanza di poco tempo fu istituitala“Croce Rossa” e il Dunant fu riconosciuto ufficialmente, ma non del tutto meritatamente,ilfondatore.Palasciano, intanto, nel 1865 ottenne la cattedra di Chimica Chirurgica presso l'università di Napoli. Fu, però, sospeso dall'insegnamento dal Rettore Imbriani a causa della sua tenace protesta messa in atto contro il trasferimento di una branca della facoltà presso il Convento di Gesù e Maria. Palasciano non riteneva quel luogo fornito dei mezzi igienici necessari . Il suo nome, comunque, era noto in tutto il mondo e numerosi erano i congressi cui partecipava: Parigi, Bruxelles, Londra, Ginevra. Nel 1886 cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di una grave demenza mentale che, intervallata da brevi momenti di lucidità, lo accompagnò fino alla morte, avvenuta il 28 novembre 1891.A Palasciano, dunque, va il grande merito di aver proclamato, per la prima volta, con le sue sole forze e senz'alcun appoggio politico, il principio della “neutralità del combattente ferito”. Pertanto, il suo nome e la sua memoria stanno, idealmente, accanto a quelli delle più grandi figure della Croce Rossa.

R E S T A U R A Z I O N E    E    R I S O R G I M E N T O
La Restaurazione è il periodo che inizia con il Congresso di Vienna ( 1815 ) al quale partecipano  i paesi che hanno vinto Napoleone, cioè Austria, Inghilterra, Russia e Prussia  più la Francia.
Il Risorgimento è il periodo che va dal 1820 al 1870. In questo periodo l’Italia con varie guerre conquista l’indipendenza dall’Austria e l’unità.Il Congresso di Vienna riporta negli stati europei le monarchie assolute, ( tutti i poteri al re ) e toglie tutte le libertà ai popoli : libertà di parola, di stampa, di riunione, cioè restaura ( =  rimette ) quello che c’era prima di Napoleone. Per questo il periodo che inizia con  il Congresso di Vienna è chiamato Restaurazione.Il Congresso di Vienna divide l’Italia in tanti stati, sotto il predominio dell’Austria. Solo il Regno di Sardegna,  che comprende Piemonte, Liguria, Sardegna  ed ha come re i  Savoia,  è indipendente dall’Austria.
In Italia la borghesia è contraria all’Austria per due motivi :
1. Le dogane tra uno stato e l’altro fanno crescere i prezzi delle merci a causa delle tasse doganali e danneggiano industria e  commercio
2. L’Austria toglie i diritti e le libertà portate in Italia da Napoleone. I borghesi vogliono   diritti e libertà e vogliono che l’Italia sia unita e indipendente dall’Austria.
Gli Italiani che sono contrari all’Austria sono detti liberali e si dividono in
liberali moderati          vogliono una  monarchia costituzionale     ( il potere del re è limitato da un Parlamento )  vogliono  la libertà, ma non l’uguaglianza     ( diritto di voto  solo ai più ricchi )liberali democratici     vogliono   la   repubblica.  Vogliono   la   libertà e l’uguaglianza.    ( diritto di voto a tutti )I liberali si riuniscono nelle società segrete  tra cui la più famosa è la Carboneria  ed organizzano nel 1820/21  e nel 1830/31  dei moti, (=rivolte, lotte) contro i sovrani per ottenere la Costituzione, cioè un insieme di leggi che limitano il potere del re e danno diritti ai cittadini ;  ma la maggior parte di questi moti falliscono.Solo nel 1848 vari sovrani italiani,  tra cui Carlo Alberto di Savoia,  sono costretti a concedere la Costituzione.L’Italia  ottiene  l’indipendenza dall’Austria con  due guerre : la Prima guerra di indipendenza  (1848 ) e la Seconda guerra di indipendenza  (1859), guidate entrambe dai re di Savoia.Il  risultato è stato che il Regno di Sardegna si è molto ingrandito e dopo le due guerre di indipendenza comprendeva oltre a Piemonte, Liguria e Sardegna anche Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.                                                      L’ItaliaMeridionale e Centrale vengono  conquistate  con la  Spedizione dei Mille (1860)  di   Garibaldi.
Il 17 Marzo 1861 nasce, con  Vittorio Emanuele di  Savoia come re,  il Regno di Italia  che comprendeva ormai quasi tutta la penisola: mancavano solo il Veneto, ancora sotto il dominio dell’Austria e il Lazio con Roma sotto il Papa. Capitale del nuovo regno era Torino. Il Veneto fu conquistato nel 1866 con la terza guerra di indipendenza  ed il Lazio con Roma nel 1870. Roma diventa capitale d’Italia. Il papa nonostante la garanzia di indipendenza non accetta il nuovo regno e proibisce ai cattolici di partecipare alla vita politica.    
Nel nuovo stato entra in vigore  lo Statuto Albertino  che era la costituzione del Regno di Sardegna.  Prevalgono i liberali moderati  e pertanto il diritto di voto viene concesso solo ai più ricchi e solo ai maschi. Su 25 milioni, gli elettori non erano più di 500.000, tutti proprietari terrieri, industriali, ricchi commercianti, come anche quelli che diventavano deputati nel Parlamento. Essi non conoscevano a fondo i problemi della grande maggioranza del popolo e non sapevano trovare i mezzi migliori per risolverli.  Si crea così un  distacco tra governanti e governati  e lo Stato apparve a molti Italiani, specialmente al Sud,  come estraneo  e spesso nemico :  uno  Stato aristocratico. .




venerdì 28 settembre 2012

La nazione e la patria


La parola nazione (dal latino natio) non era certo nuova, ma fu soltanto al principio dell'Ottocento che si affermò nella cultura europea per definire una grande comunità omogenea che stava alla base della legittimità delle istituzioni; a cominciare naturalmente dallo Stato, che doveva comprendere tutti coloro che appartenevano ad una stessa comunità nazionale.Una tale comunità – si affermava – poteva essere definita come tale sulla base di elementi oggettivi (etnico-linguistici, culturali, storici) e soggettivi (la consapevolezza di un destino comune, la volontà di vivere assieme), diversamente miscelati nei diversi contesti storico-geografici. In ogni caso, per i movimenti che combattevano al fine di conquistare l'indipendenza della propria nazione, ma anche per gli esponenti politici liberali e democratici di Inghilterra o Francia, l'esistenza di un'Europa di liberi Stati nazionali corrispondeva a un ordine delle cose nello stesso tempo necessario e naturale. Scriveva ad esempio Cavour nel 1846 che «nessun popolo può raggiungere un alto livello di intelligenza e di moralità senza che sia fortemente sviluppato il sentimento della propria nazionalità».«Nazione» e «nazionalità» erano termini sostanzialmente equivalenti; come lo era, rispetto a «nazione», il termine «patria», caratterizzato però da una più marcata accentuazione affettiva: riferendosi alla propria nazione come «patria» si sottolineava il senso di attaccamento ad essa, la disponibilità – se necessario – a combattere fino al martirio per difenderla dai nemici o (nel caso di nazioni non indipendenti come l'Italia o la Polonia) per dare ad essa un'esistenza politica come Stato (nazionale).Il risveglio dell'Italia.  Grazie all'affermarsi delle passioni nazionali, è l'intera politica europea che assume nel corso del XIX secolo un nuovo carattere: come scrisse lo storico Federico Chabod, «la politica, che nel Settecento era apparsa come un'arte, tutta calcolo, ponderazione, equilibrio, sapienza, tutta razionalità e niente passione, diviene con l'Ottocento assai più tumultuosa, torbida, passionale; acquista l'impeto, starei per dire il fuoco, delle grandi passioni; diviene passione trascinante e fanatizzante com'erano state, un tempo, le passioni religiose L'«amore sacro della patria» (come suona un verso della Marsigliese) dà una connotazione fortemente emotiva all'idea di nazione, fino al punto di fondare appunto una sorta di nuova religione, la religione della patria, che ha la sua fede, i suoi martiri, i suoi dogmi (in primo luogo l'assoluta necessità di ottenere o conservare l'indipendenza nazionale).In Italia – o meglio nell'ambito geografico comprendente la penisola, la Sicilia e la Sardegna – era diffusa da secoli la consapevolezza di far parte di una comunità definita da tratti letterari, storici e linguistici comuni. Negli anni della Restaurazione, la consapevolezza d'essere parte di una medesima nazione si affermò con forza presso i ceti colti dei vari Stati italiani, spinti a questo da una serie di opere diverse – tragedie, romanzi, poesie, drammi storici, melodrammi, dipinti –, che tutte però si riferivano a un insieme di valori, simboli, eventi storici (più o meno mitizzati), attinenti la nazione.Si pensi alle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e dunque alla «nostalgica rivisitazione» dei grandi poeti della tradizione letteraria italiana compiuta dal protagonista «nel suo ultimo viaggio per l'Italia, da Petrarca a Parini e fino alle tombe di Santa Croce» in Firenze (G. Nicoletti). O, ancora, alla riscoperta/invenzione del passato nazionale realizzata attraverso opere come L'assedio di Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi o Ettore Fieramosca di Massimo d'Azeglio.La presenza della censura aveva impedito che nei vari Stati italiani si potesse affrontare liberamente il tema della nazione e della sua indipendenza; ma proprio questo «ebbe l'effetto imprevisto di rendere più sofisticato il discorso nazionale, e di spostarne l'ambito di elaborazione verso generi di più ampio consumo e diffusione» Il discorso nazional-patriottico che si diffuse nei primi decenni dell'Ottocento non si limitava a rappresentare la nazione, ad accreditarne l'esistenza come un soggetto storico necessario e ineliminabile, secondo quel che era un indirizzo della cultura del tempo e in particolare della cultura di matrice romantica, così sensibile al tema delle radici e delle specificità nazionali. Quel discorso, rappresentando la nazione italiana come asservita a dinastie straniere, incitava a lottare per dare all'Italia, alla propria patria, libertà e indipendenza.


mercoledì 26 settembre 2012

Tazzoli Enrico Napoleone


Canneto, 1812 – Mantova, 1852
Sacerdote e patriota. Professore di filosofia nel seminario di Mantova (1841), fu impegnato in molteplici attività di carattere filantropico rivolte soprattutto all'infanzia e all'educazione dei contadini. Dopo il 1848 entrò nella cospirazione mazziniana e divenne il principale responsabile del Comitato rivoluzionario mantovano: in tale qualità si dedicò soprattutto a organizzare la sottoscrizione delle cartelle del prestito lanciato da Mazzini per sostenere il movimento nazionale. Arrestato il 27 gennaio 1852 dalla polizia austriaca, gli venne sequestrato in casa il registro cifrato con i nomi dei sottoscrittori del prestito; registro che, inviato a Vienna, fu ben presto decrittato (la chiave del cifrario era il testo latino del Padre Nostro), portando all'arresto di numerose persone. Sottoposto a una lunga inquisizione, in cui tenne un contegno di esemplare coraggio, fu condannato a morte dopo che la Segreteria di Stato della Santa Sede ebbe imposto al vescovo di Mantova, pur contrarissimo, di sconsacrarlo riducendolo allo stato laicale. Venne impiccato sugli spalti di Belfiore il 7 dicembre 1852.

lunedì 24 settembre 2012

FERDINANDO PETRUCCELLI DELLA GATTINA


Nacque a Moliterno il 28 agosto 1815 da una famiglia della media borghesia. Suo padre Luigi, avvocato iscritto alla carboneria, e sua madre, Maria Antonia Piccininni, nobildonna di Marsicovetere, lo affidarono alle cure della nonna materna, quando era ancora bambino. Ferdinando non ricordò mai con piacere quel periodo dell'infanzia, poiché la sua indole ribelle non poteva conciliarsi con l'educazione rigida che gli veniva impartita dalla nonna.Nella sua formazione culturale, assunse un ruolo determinante la figura dello zio Francesco Petruccelli prete e poi exprete, laureatosi in chirurgia e medicina a Napoli e sembra che lui stesso abbia costituito la Loggia Massonica "L'Aurora Lucana". Questi rappresentava l'uomo di successo e l'esempio da imitare per tutta (a sua famiglia. Non fu un caso che proprio lo zio decise che Ferdinando doveva cominciare i suoi studi a Castelsaraceno, presso Monsignor Cicchelli. Questo periodo dell'infanzia fu determinante ai fini della formazione ideologica di Ferdinando, perché fu proprio in questi anni che nacque in lui il sentimento dell'anticlericalismo. Egli trovò un ambiente troppo chiuso nelle proprie metodologie e così retrogrado da portarlo ad allontanarsi completamente allo studio. Intervenne nuovamente lo zio che, per avviarlo a studi più seri e regolari, lo inviò presso il seminario di Pozzuoli. Fu l'ennesima prova del rifiuto di Ferdinando per i seminari, infatti non ottenne risultati scolastici positivi ed inoltre manifestò i suoi aspri sentimenti in una lettera di insulti al Vescovo del seminario e fu, di conseguenza, allontanato dalla scuota. Lo zio ritenne opportuno affidare il nipote ai Gesuiti a Napoli, perché considerati culturalmente superiori. Ferdinando non poté svestire t'odiata veste del seminarista, mentre in lui si accentuava sempre più il disprezzo verso i preti che considerava sleali ed intolleranti, nel contempo ottenne, però, ottimi risultati nella conoscenza delle lingue classiche. Fu un periodo importante questo, per Ferdinando, poiché, in seguito alla lettura di alcuni romanzi, scoprì una nuova dimensione della vita, che, lo portò ad intraprendere la professione laica di medico. Si laureò a Napoli in medicina e chirurgia e svolse per un certo periodo l'attività insieme allo zio ma, ben presto, si rese conto di quanto in lui prevalesse il desiderio dì intraprendere la carriera giornalistica e politica. Si iscrisse probabilmente alla Giovine Italia, col desiderio di poter ottenere una riforma costituzionale e l'unificazione del Regno. Nel 1840 morì lo zio Francesco che lasciò un'ingente somma in eredità ai parenti di Moliterno, e ciò diede la possibilità, al Petruccelli di realizzare uno dei suoi più grandi sogni: viaggiare nei più grandi centri culturali dell'Europa. Egli fu sempre dotato di uno spiccatissimo senso di osservazione, prerogativa che gli ispirò le minuziose ed efficaci descrizioni presenti nelle sue opere. Le esperienze più valide, il Petruccelli, riuscì -a conseguirle a Parigi ed a Londra, città che rappresentarono per lui, insieme a Napoli, i suoi punti di riferimento principali Se in Inghilterra riuscì a trovare te testimonianze delta persistenza della tradizione scottiana ed a riscontrare il notevole successo che incontravano i romanzi di Dickens, Parigi fu ritenuta, da lui, la capitale della cultura. Nel suo soggiorno in questa città poté fare incontri decisivi con scrittori di grande levatura come Balzac, De Musset, La Mennais, Saint Beuve, Gautier, La-Martine, Stendal. Ebbe inoltre l'opportunità di seguire le importanti lezioni universitarie tenute da Jules Michelette ed Edgard Quinett, presso il Collège de France, lezioni caratterizzate da un'originale polemica anticlericale. In esse veniva sostenuto che la storia di un popolo non è altro che la sua evoluzione verso la libertà e si metteva in evidenza il ruolo fondamentale dell'uomo nel determinare il corso degli eventi. La passione anticlericale, sorta in Ferdinando negli anni della giovinezza, si sviluppò appieno nell'ambiente parigino sotto l'influsso, appunto, dei grandi rappresentanti della filosofia laica francese. AI fanatismo e agli atteggiamenti di idolatria politico-religiosa, egli venne sostituendo la religione delle libere nazionalità, l'ideologia del progresso e dello Stato Costituzionale nuovo. Il contatto diretto con le realtà europee contribuì notevolmente ad arricchirlo dal punto di vista linguistico: gli fu di notevole efficacia formativa l'approccio con la grande stampa europea. soprattutto con il giornale francese "La Presse". Petruccelli conobbe il francese quanto e forse più della propria lingua. Nel 1842 ritornò in Italia con un bagaglio culturale ricco e rinnovato, che lo fece inserire tra i maggiori esponenti di quella che veniva definita l'Opposizione Europea. Fu in questo periodo che scrisse il suo primo romanzo storico "Malina da Taranto", che non fu apprezzato molto dalla critica del tempo, in quanto privo di toni originali. Seguì subito dopo "L'Ildebrando", nel quale si riscontrarono notevoli esaltazioni della figura del papa, che appaiono in forse contrasto con l'ideologia del Petruccelli, di chiara tempra anticlericale. Sul finire del '47 fu eletto deputato del Parlamento Napoletano, identificandosi con la Sinistra Parlamentare e si adoperò per l'attuazione di una politica che andasse incontro alle esigenze della piccola e media borghesia. Nella primavera del '48, in seguito alla situazione politica rivoluzionaria, il Petruccelli, insieme ad altri collaboratori, avvertì l'esigenza di trascrivere gli eventi e compilò un giornale denominato "Mondo vecchio e Mondo nuovo", che fu però rapidamente soppresso dai Borboni. II 15 maggio, giorno in cui si doveva inaugurare il nuovo parlamento, si giunse allo scontro a fuoco e Petruccelli fu tra i capì che organizzarono la rivoluzione di piazza e la resistenza sulle barricate. Fu costretto a fuggire perché ricercato dai Borboni, dapprima a Roma e qualche giorno dopo partì per la Sicilia, già insorta, prendendo parte a vari combattimenti, ma fu costretto a ritirarsi dopo la definitiva sconfitta a Campotenese. Fu arrestato, ma solo per pochi giorni, e, non appena in libertà, si adoperò per risvegliare il movimento rivoluzionario, ma l'impresa fallì. Questo episodio lo portò a nascondersi ulteriormente dai Borboni. S'imbarcò per la Francia dove trascorse dodici anni di esilio tra Parigi e Londra. I fatti accaduti nel '48 che lo vedono protagonista, vengono narrati nell'opera: "Notti degli emigranti a Londra". Lo spirito rivoluzionario che animava Ferdinando lo portò sulle barricate di Parigi nel 1851 e nel 1870, ottenendo ben tre espulsioni dalla Francia. Egli non smise mai di seguire le vicende politiche dell'Italia dove era giunto come corrispondente del "journal des Debats". Ritornò in Italia, dopo la caduta del regime borbonico, e, preso dall'entusiasmo, si candidò all'elezione per il primo Parlamento dell'Italia unita. Egli rimase molto deluso, a causa dei compromessi esistenti all'interno di questo sistema e, quell'entusiasmo, che lo caratterizzò inizialmente, andò via via scemando, fino a scomparire del tutto. Ferdinando decise drasticamente di abbandonare il suo paese e lo fece con animo angustiato e deluso tanto da considerare l'Italia non più una madre ma una matrigna.Le opere emblematiche di questo periodo sono: "I moribondi del Palazzo Carignano" e "Fattori e Malfattori della politica europea contemporanea" dove, oltre ad esternare il proprio disagio e la propria delusione, come uomo politico in Italia, si sofferma in taglienti critiche nei confronti di alcuni uomini politici del tempo, senza risparmiare coloro che appartenevano alla sua stessa corrente politica. Altre opere del Petruccelli sono: "La storia della Rivoluzione napoletana del `48", "Giorgione", "Imperia", "I suicidi di Parigi", "Il sorbetto della regina".Si stabilì definitivamente in Francia dove nel 1873 fu colpito da paralisi parziale e, nonostante le sue giornate fossero caratterizzate da acuti dolori, continuò il suo lavoro dettando gli scritti alla moglie o agli amici. II Petruccelli fu darwinista e credette nell'evoluzione della materia. Fu il primo giornalista di spirito europeo nell'Italia nuova, egli infatti pensava in termini europei e spesso scriveva con toni profetici. Possedeva una memoria straordinaria e una potenza evocativa singolare e rappresenta una delle espressioni più vive della cultura laica del nostro Risorgimento. Le qualità che faranno del Petruccelli uno scrittore originale ed efficace sono la potenza e la varietà di immagini, il lampeggiare dei paradossi ed i giudizi taglienti ed incisivi. Ebbe un animo molto impressionabile e, di conseguenza, un po' soggetto ad antipatie e simpatie improvvise, ma anche nei suoi giudizi più aspri, fu sempre disinteressato. Varie volte, accortosi di aver errato, sentì il dovere di modificare le sue opinioni. Non tollerava la corruzione e le brighe politiche, per cui non esitò mai a denunciarle. Petruccelli, secondo quanto precisa la moglie Maude, non avversava i preti, per aver iniziato ad odiarli nella scuola, nel Seminario e nella persona dello zio, ma perché aveva acquisito una mentalità positivistica, che lo portava al rifiuto di tutto ciò che ostacolava il progresso e la civiltà. Il 29 marzo 1890 si spense senza lasciare beni, quasi povero, probabilmente perché non fu mai avverso al risparmio. Sua moglie ne fece cremare le spoglie che furono tumulate a Londra per volontà dello stesso Petruccelli. Egli ebbe come preoccupazione costante della sua vita, quella di conservare integra l'onestà della persona.

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