venerdì 29 novembre 2013

Winspeare David

Portici (Napoli), 1775 – Napoli, 1847
 Giurista e filosofo. Discepolo di Genovesi, funzionario della monarchia borbonica fu poi membro e procuratore generale della Commissione feudale. Di quell'attività e dei suoi studi storico-giuridici resta tra gli altri la Storiadegli abusi feudali (Napoli 1811), dedicata Murat. Nominato nel 1812 avvocato generale presso la Corte di cassazione, fu destituito ed esiliato da Ferdinando I per aver accompagnato a Trieste Carolina Murat (1815). Rientrato a Napoli, nel 1820 fu membro della Giunta provvisoria di governo; ma nel 1821 tornò all'avvocatura, che lasciò del tutto nel 1834. Tra il 1843 e il 1846 pubblicò i Saggi di filosofia intellettuale.

domenica 24 novembre 2013

Zurlo Giuseppe

Baranello (Campobasso), 1757 – Napoli, 1828
 Conte. Uomo politico. Allievo di Filangieri, fu giudice della Gran corte della Vicaria, avvocato fiscale del Reale patrimonio, direttore della Finanza (1798); al ritorno dei Borboni, resse il ministero delle Finanze (1800-03). Durante il decennio francese fu consigliere di Stato (1808), ministro della Giustizia (1809) e infine ministro dell'Interno fino al 1815. Esiliato al ritorno di Ferdinando IV, poi riammesso nel Regno, nel 1820 fu nominato ministro dell'Interno del governo costituzionale. Studioso di problemi economici, nel 1790 aveva pubblicato un'opera sulla Sila, nella quale aveva cercato di determinare le ragioni che rendevano passivo quel vasto territorio della Corona.

domenica 17 novembre 2013

ORSINI, Vincenzo Giordano

ORSINI, Vincenzo Giordano. – Nacque a Palermo il 14 gennaio 1817 da Gaetano, ufficiale dell’esercito borbonico, e da Maddalena Mazzeo.Iniziò giovanissimo la carriera militare. A poco più di dieci anni, nel novembre 1828, entrò nel Real Collegio della Nunziatella a Napoli. Si graduò come alfiere di artiglieria nel gennaio 1837 (era stato in quel tempo anche paggio di corte). Negli anni Quaranta, con altri suoi colleghi, si avvicinò alle idee rivoluzionarie, condividendo un percorso comune a molti meridionali che dal collegio erano entrati nell’esercito e si erano formati anche una propria coscienza politica.Quella generazione della Nunziatella seguì percorsi opposti nella crisi del 1848 e negli anni successivi: colleghi come Carlo Pisacane e Francesco Carrano diventarono punti di riferimento del movimento nazional-patriottico italiano, altri, di converso, come Francesco Traversa e Matteo Negri, furono simboli dell’estrema resistenza del Regno napoletano. Orsini e gli altri rappresentarono un segmento di quella frattura interna alle élite duosiciliane che contribuì all’implosione dello Stato meridionale.All’inizio del 1848 Orsini fu arrestato con il commilitone Giacomo Longo perché accusato di simpatizzare per l’opposizione, ma fu subito liberato, essendo esplosa l’insurrezione palermitana. Il giovane ufficiale fu immediatamente coinvolto nel gruppo dirigente liberale, iniziando l’apprendistato del rivoluzionario ottocentesco: assunse la direzione della costruzione di barricate in città, poi guidò l’assalto allo strategico forte di Castellammare. La sua formazione, unita alla scarsezza di quadri preparati, lo portarono ai vertici dell’apparato militare dei ribelli. Fu nominato direttore generale dell’artiglieria isolana e subito dopo comandante della divisione di Catania e di Messina.Non fu un caso isolato. Molti ufficiali napoletani seguirono il vecchio generale Guglielmo Pepe alla difesa di Venezia, o parteciparono alle rivolte locali nel Regno. Si trattò però di una minoranza nell’armata borbonica: l’accordo, quasi completo, tra i liberali e i militari negli anni Venti era stato spezzato da Ferdinando II a vantaggio della dinastia.Orsini partecipò alla campagna contro le forze regolari comandate dal vecchio generale napoleonico Carlo Filangieri, mostrando autentiche capacità militari nella direzione dell’artiglieria che difese Messina. Il drammatico assedio posto dalle truppe napoletane terminò con la resa della città nel settembre 1848. Poco tempo dopo, crollata l’intera resistenza siciliana, il giovane rivoluzionario fuggì dall’isola. Condivise la sorte di buona parte dell’élite liberale meridionale che, come i predecessori del 1821, si rifugiò nelle capitali europee o nel Mediterraneo. Si ritrovò così in un mondo dove circolavano uomini e idee: avventurieri, mercenari o esuli politici si muovevano da una parte all’altra del Mediterraneo e dell’Atlantico. Raggiunse Istanbul e si arruolò nelle forze di sicurezza imperiali, ottenendo il grado di colonnello di artiglieria (con il nome di Osman Bey), ma subendo anni dopo l’accusa di essersi convertito alla religione islamica. Iniziata la guerra fra l’Impero russo e quello turco con i suoi alleati franco-inglesi, raggiunse la Crimea insieme al corpo di spedizione ottomano. Nella penisola, al centro delle operazioni belliche, partecipò con successo all’intera campagna, operando anche come ufficiale di collegamento con gli alleati.Nel 1859, raggiunse il Piemonte, dopo che la politica del conte Camillo Benso di Cavour aveva dato inizio al tumultuoso biennio unitario. Quando partì la spedizione di Giuseppe Garibaldi per la Sicilia, era tra i Mille. Fu messo al comando della 2ª compagnia e poi della raffazzonata artiglieria garibaldina; formazioni che guidò nella battaglia di Calatafimi. Pochi giorni dopo, svolse un ruolo decisivo nella presa di Palermo.Gli fu affidato un piccolo reparto che doveva condurre una manovra diversiva e attrarre l’attenzione del corpo scelto del maggiore borbonico Ferdinando Beneventano del Bosco, in modo da lasciare aperta a Garibaldi la strada per la città. La manovra riuscì: contribuì a determinare il successo della rivoluzione a Palermo e la definitiva affermazione delle camice rosse nell’isola. Si trattò di un piccolo, ma cruciale episodio che fu immortalato in tutta la mitografia patriottica risorgimentale.Orsini era ora tra gli uomini più considerati da Garibaldi: fu nominato responsabile del dicastero della Guerra a Palermo e fu promosso generale.In quelle settimane, nell’esercito meridionale, si ritrovò quasi tutta la frazione degli ufficiali napoletani che nel 1848 avevano scelto la rivoluzione, fra i quali: Enrico Cosenz, Teodoro Pateras, Moisé Maldicea, Camillo Boldoni. Questi uomini completarono un percorso generazionale e diventarono uno dei pilastri del volontariato politico-militare, combattendo un sanguinoso conflitto civile contro gli ex colleghi della Nunziatella e dell’esercito napoletano che restarono invece fedeli alla dinastia borbonica.Garibaldi aveva ormai occupato gran parte della Sicilia. Orsini lasciò il governo per organizzare un vero e proprio corpo di artiglieria che, a differenza di altri reparti, poté contare su un cospicuo numero di disertori napoletani, e con il quale partecipò allo scontro di Milazzo. Nelle settimane successive fortificò Messina, assediando la cittadella dove si erano concentrati, come nel 1848, alcuni battaglioni lealisti. Nell’agosto 1860, portò i suoi uomini in Calabria e a Napoli. Le batterie garibaldine ebbero un ruolo importante nella battaglia del Volturno e poi nell’assedio di Capua. Le due occasioni gli valsero un riconoscimento da parte dei comandi regolari piemontesi che fu concesso a pochi altri ufficiali dei volontari.La vita di Orsini dopo l’Unità fu simile a quella di molti militanti meridionali, divisa fra l’impegno politico, l’attività intellettuale e il richiamo rivoluzionario. Il suo grado era stato confermato nell’esercito regolare, dove comandò la brigata Abruzzi e poi la brigata Pisa (1862-64). Inoltre, restò sempre legato a Garibaldi. Fu nel gruppo che compilò l’elenco ufficiale dei Mille, un altro caposaldo del mito risorgimentale. A Napoli, dove viveva, fu eletto consigliere comunale e assessore (1865-66). Rinunciò dopo poco tempo per diventare ispettore della guardia nazionale di Foggia. La sua principale attività era, infatti, quella militare. In vista della terza guerra d’indipendenza, ritornò in servizio, insieme ai reduci delle campagne garibaldine, nel Corpo dei volontari Italiani. Nell’estate del 1866 guidò una delle brigate del raggruppamento, partecipando ai combattimenti dell’offensiva italiana in Trentino. L’anno dopo, quando Garibaldi e i democratici tentarono il colpo di mano nello Stato pontificio, assunse la guida della colonna che si inoltrò nella campagna romana, gestendone poi il ripiegamento di fronte all’efficace reazione franco-papale.Negli ultimi anni di vita, abbandonata l’attività militare, si impegnò con energia soprattutto negli ambienti associativi e culturali. Fece parte di numerose società, che andavano da quelle dei reduci delle patrie battaglie ai sodalizi scientifici o di assistenza sociale. In quella stagione scrisse anche libri e opuscoli, spesso originali, sugli argomenti più vari: dagli studi sul prelievo fiscale alla riflessione sul progresso sociale fino all’applicazione di macchine motrici per le navi.Morì a Napoli il 7 luglio 1889.

venerdì 8 novembre 2013

Giuseppe Mazzoni

Giuseppe Mazzoni

(1808 – 1880)

Nacque a Prato da nobile famiglia e si laureò in giurisprudenza all'università di Pisa. Fu avvocato, uomo politico, filantropo e Gran Maestro della Massoneria italiana. Fino da giovane abbracciò gli ideali democratici e mazziniani.
Chiamato a far parte nel 1835 della pratese Accademia degli Infecondi, assunse poi iniziative politiche sempre più importanti. Ispirato dagli ideali risorgimentali, si fece promotore con l'amico Pier Cironi della sezione pratese della Associazione Nazionale.
Insieme ad Atto Vannucci, fondò il giornale L’Alba ed animò il “Circolo del popolo”, punto di raccolta di spiriti democratici. Eletto deputato al Consiglio Generale nel 1848, fu chiamato da Giuseppe Montanelli a ricoprire la carica di ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici nel governo democratico costituito in ottobre.
L'anno successivo, insieme a Montanelli e Guerrazzi, fu acclamato triumviro, per reggere le sorti della Toscana dopo la fuga del Granduca. Con la restaurazione granducale, fu costretto all'esilio, prima a Marsiglia, quindi a Parigi ed infine a Madrid. Nei dieci anni trascorsi all’estero si legò a personaggi della Massoneria e, al suo ritorno in patria, fondò la loggia pratese Intelligenza e lavoro, dopo essere stato cooptato Gran Maestro.
Ebbe contatti col rivoluzionario anarchico russo Bakunin, cercando un'azione sociale comune tra il movimento anarchico e la massoneria. Eletto deputato nell'Assemblea Nazionale, assunse una linea politica antipiemontese, ispirata dalla delusione verso il moderatismo dello Stato unitario, cui contrapponeva una visione federalista.
Fu il fondatore di un Movimento Federalista, ispirato all'omonimo gruppo creato anni prima in Lombardia da Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari e di cui facevano parte studenti, artisti, garibaldini, ex-mazziniani. Vi aderì anche Alberto Mario, allievo di Cattaneo.
Deluso dalla politica, dedicò gli ultimi anni della sua vita ai destini operai e agli ideali massonici. Per la coerenza e l'intransigenza delle sue posizioni fu soprannominato il “Catone toscano”.