venerdì 27 dicembre 2013

Albini Giovanni Battista

Conte, nacque a La Maddalena il 20 sett. 1812, da Giuseppe: nel 1826, uscito giovanissimo dicollegio, entrò al servizio della marina da guerra del Regno di Sardegna. Nel 1848, agli ordini del padre ammiraglio, partecipò alle operazioni nell'Adriatico, al comando di una corvetta; l'anno dopo fu inviato a Oporto, a rilevare la salma di re Carlo Alberto. Partecipò alla spedizione di Crimea nel 1855-56; nel 1859, col grado di capitano di vascello, alla campagna dei Franco-Sardi in Adriatico, e nel 1860 alla spedizione di Sicilia della squadra sarda, che, guidata dal Persano, seguiva l'azione di Garibaldi. Subito dopo, prese parte alle operazioni della flotta sarda contro la piazza di Ancona, al comando della fregata Vittorio Emanuele. Fu l'unico ad appoggiare l'ardito piano del Persano di attaccare i forti a specchio del mare, e il 3 ott. 1860 realizzò un nuovo metodo di bombardamento navale in movimento, portandosi con la sua nave a brevissima distanza dalla Lanterna e riuscendo, col preciso fuoco delle sue artiglierie, a far saltare in aria la polveriera, ciò che contribuì in modo decisivo alla resa della piazzaforte. Per tale azione gli fu concessa la medaglia d'oro al valor militare. Sempre in sottordine al Persano, combattè anche nelle azioni del Garigliano e di Mela di Gaeta, ottenendo, in ricompensa del valore dimostratovi, la croce di commendatore dell'Ordine Militare di Savoia.Nel 1861, dopo lo scioglimento della squadra d'operazione del Persano, l'A. comandò la divisione navale della Sicilia, che era la più importante forza navale del Regno rimasta armata: le unità della divisione svolsero, tra l'aprile e l'ottobre 1861, compiti di ordine pubblico, effettuando numerose crociere di protezione del traffico marittimo, insidiato dalla pirateria costiera.Nell'agosto 1862, egli era al comando della squadra d'evoluzione nelle acque siciliane, mentre Garibaldi preparava nell'isola la spedizione contro Roma, che doveva concludersi all'Aspromonte. L'A. aveva avuto ordine d'incrociare nello stretto, per impedire a Garibaldi di passare in Calabria, ma condusse le cose senza sufficiente decisione, lasciandosi giocare da lui.Egli aveva proposto a Garibaldi, dietro suggerimento proveniente dall'alto, di lasciar cadere l'impresa e d'imbarcarsi su una fregata della flotta: il generale finse di aderire, e indicò Acireale come luogo d'imbarco, ma, invece, entrò a Catania, donde passò in Calabria. In seguito a ciò, i comandanti di due fregate che dipendevano dall'A., Giraud e Avogadro, furono arrestati e deferiti a un consiglio di guerra.Nel 1864 l'A. comandò, col grado di viceammiraglio, la squadra italiana che, col pretesto di proteggere il bey di Tunisi dai moti scoppiati all'interno della Reggenza, effettuò dal maggio al settembre una lunga stazione navale nelle acque della Tunisia, dove erano presenti anche forze navali francesi, inglesi e turche. La stazione navale italiana si trovò coinvolta nel gioco delle rivalità anglo-francesi, che dominarono lo svolgersi degli eventi, e l'A. condusse anche un'importante azione politica.Seguendo le direttive del governo, in un primo tempo egli agì di conserva con i Francesi, per cercar poi di effettuare lo sbarco di un corpo italiano nella Reggenza di Tunisi: tramontate le speranze di metter piede in Tunisia, l'A. si sforzò di favorire la liquidazione della questione, in modo da salvare il prestigio italiano.Durante la seconda fase della stazione navale, in concomitanza con il tentativo del governo italiano d'inserirsi come terzo tra Francia e Inghilterra, l'A. preparò un proprio progetto di sbarco e di occupazione militare della Tunisia.In esso sosteneva la necessità d'impiegare oltre ìo.ooo uomini dell'esercito; più le compagnie da sbarco della squadra, per eseguire un'operazione in grande stile, che prevedeva l'occupazione di Tunisi; di Susa e di Sfax, nonché di altri centri. Il progetto dell'A. si contrapponeva a quello del maggiore Ricci, inviato all'uopo sul posto dallo Stato Maggiore dell'esercito, che consigliava, invece, l'impiego di 4.000 uomini per un'operazione limitata alla zona di Tunisi. Durante la stazione navale di Tunisi, lo Stato Maggiore della marina e il governo italiano furono informati anche delle grandi possibilità che offriva Biserta a chi avesse potuto insediarvi una importante base navale: le notizie in proposito furono carpite a un ufficiale inglese che comandava il Firefly, una nave destinata a rilevamenti idrografici, dal comandante Racchia, dipendente dall'Albini.Nel luglio 1866, con il grado di vice-ammiraglio, l'A. comandò la squadra delle navi di legno (7 fregate e 3 corvette), che doveva operare lo sbarco delle truppe italiane nell'isola di Lissa. La sua condotta poco decisa contribuì al fallimento dell'attacco all'isola il 18 e il 19 luglio: la mattina del 20, quando la squadra austriaca al comando del Tegetthoff giunse nelle acque di Lissa, la squadra di legno italiana era in procinto di ritentare lo sbarco e non partecipò alla battaglia, prestando il fianco a molte critiche.Non furono mai chiari i motivi della passività della formazione comandata dall'A. durante la battaglia: se la rapidità con cui si svolse lo scontro, o l'inefficienza delle navi di legno, o le rivalità personali tra l'A. e il Persano, comandante in capo della flotta, o, ancora, la mancata ricezione dei segnali. Certo è che la condotta dell'A. nella campagna di Lissa non fu in complesso favorevolmente giudicata.Privato nel possesso del comando, fu collocato a riposo nel 1867. Morì a Cassano Spinola apr. 1876.

sabato 21 dicembre 2013

Spech Eliodoro

Spech Eliodoro Milano, 1810 – Molfetta, 1866
Cantante e militare, da Garibaldi fu detto Specchi. Era stato soldato nella prima legione bolognese nell'aprile del 1848, fu poi caporale al servizio della Repubblica romana nel 1849. Successivamente ufficiale dei bersaglieri nell'esercito sardo, si dimise nel 1860 e partì volontario per la Sicilia con la spedizione Cosenz. Rinomato tenore, alla Scala di Milano riscosse clamorosi successi tra il 1839 e il 1842, in particolare come interprete nell'Italiana in Algeri, nel Roberto Devereux, nel Nabucco e nella Figlia del Reggimento.

giovedì 12 dicembre 2013

Niccolini Giovanni Battista

Bagni di San Giuliano (Pisa), 1782 – Firenze, 1861
Tragediografo. Repubblicano da giovane, fu sempre liberale e anticlericale. Insegnò dal 1807 all'Accademia di belle arti di Firenze. Il nome di Niccolini è affidato essenzialmente alle tragedie, specie alle politiche: Polissena (1810), Nabucco (1819), in cui intese raffigurare Napoleone, Antonio Foscarini (1827), Giovanni da Procida (1839), Arnaldo da Brescia (1843), Filippo Strozzi (1847). Classicista quanto alla poetica, si lasciò sempre più permeare da spiriti romantici. La sua opera ebbe rilievo per l'energica propaganda civile e per l'ispirazione.

lunedì 2 dicembre 2013

Antonelli Giacomo

Antonelli Giacomo
Sonnino (Latina), 1806 – Roma, 1870Nato da una famiglia di modeste origini, arricchitasi poi in fortunate speculazioni immobiliari.Mandato a Roma dal padre Domenico, che desiderava avviarlo, nonostante la sua scarsa propensione per la vita ecclesiastica, ad una carriera nell'amministrazione pontificia, compì gli studi umanistici al Collegio romano e quelli di diritto alla Sapienza.Nel 1830, avuti dal padre i fondi richiesti per l'ingresso nella Prelatura iustitiae, iniziò la carriera curiale nella giustizia amministrativa, e nel 1834 passò come assessore al tribunale criminale di Roma.L'acume, il senso pratico e i modi eleganti avevano presto attratto sul giovane Antonelli l'attenzione di prelati influenti, in particolare dei cardinali Zurla e Lambruschini, che ne favorirono la rapida ascesa. Nominato nel 1845 protesoriere della Camera apostolica e poco dopo tesoriere generale, concluse felici operazioni finanziarie.Creato cardinale da Pio IX l'11 giugno 1847, fu chiamato nel novembre dello stesso anno alla presidenza della Consulta di Stato, ed ebbe un ruolo di rilevo nell'elaborazione dello Statuto. Il 10 marzo 1848 Pio IX lo pose poi col titolo di prosegretario di Stato alla testa del primo ministero incaricato di mettere in opera la nuova costituzione.Incline, in un primo tempo, ad assecondare il movimento che premeva per l'intervento delle truppe pontificie in Lombardia a fianco dell'esercito piemontese, cambiò successivamente indirizzo alla politica pontificia, sull'onda anche delle notizie che riceveva dai nunzi apostolici in Austria e in Baviera riguardo alla forte avversione delle popolazioni tedesche per il papa, che con la decisione di partecipare alla prima guerra d'indipendenza italiana era venuto meno al suo ruolo di suprema autorità della Chiesa universale.Si giunse così alla celebre allocuzione di Pio IX il 29 aprile 1848, in cui il papa respingeva il tentativo di portare lo Stato pontificio a muovere guerra contro l'Austria. Dimessosi dopo l'allocuzione papale, Antonelli continuò a svolgere un ruolo di primo piano presso Pio IX.Fu alla sua influenza che si dovette la nomina di Pellegrino Rossi a primo ministro; dopo il suo assassinio, il 15 novembre del 1848, fu sempre lui a manovrare perché il pontefice si decidesse a fuggire da Roma per sottrarsi alla pressione popolare e, contro il parere di Rosmini, a restare a Gaeta e a non rifugiarsi presso la corte di un sovrano cattolico.Alla proclamazione della Repubblica romana (1849), Antonelli chiese l'intervento militare degli Stati fedeli al papa per ripristinare il suo potere temporale.Posto, il 26 novembre del 1849, a capo del governo pontificio con il titolo di prosegretario di Stato, rifiutò, dopo il rientro a Roma di Pio IX nell'aprile 1850, qualsiasi concessione costituzionale, mettendo a punto una serie di riforme amministrative, ma non di carattere strutturale.Ormai, convinto dallo sviluppo degli avvenimenti che era vano tentare una laicizzazione e una liberalizzazione, sia pure parziali, del governo dello Stato pontificio e che l'autonomia del papa, in quanto capo della Chiesa universale, sarebbe stata garantita solo dal ritorno a un regime teocratico, Antonelli mantenne il suo intransigente indirizzo politico lungo i vent'anni in cui rimase sulla grande scena diplomatica europea.La sua politica, se nella prima fase procurò alla Santa Sede vantaggi notevoli (influenza sulla Francia di Napoleone III, concordato del 1851 con la Toscana, del 1855 con l'Austria), fallì di fronte alle aspirazioni nazionali italiane, alle quali Antonelli oppose sempre il principio di legittimità formulato al Congresso di Vienna, escludendo qualsiasi possibilità di un compromessoDopo il Concilio Vaticano del 1870, la sua condotta suscitò inoltre violente reazioni anche all'estero: Kulturkampf in Germania, denuncia del concordato in Austria. Accusato da più parti di nepotismo e di aver privato il Sacro Collegio di ogni influenza reale sugli affari di Stato, dopo il 1870 respinse, d'accordo con il papa, la legge delle guarentigie e intraprese una riorganizzazione finanziaria della Santa Sede, ottenendo la restituzione dei cinque milioni dell'obolo di San Pietro.Da tempo sofferente di gotta e aggravatosi per una complicazione alla vescica, si spense a Roma nel novembre 1876.