lunedì 21 dicembre 2009

Andrea Aguya


Tra gli eroi caduti nel 1849 nella strenua difesa della Repubblica Romana contro i francesi del generale Oudinot, spicca una figura alquanto singolare; è Andrea Aguyar, il moro di Garibaldi. Non cercatene l’immagine tra i busti del Gianicolo, perché non c’è. Ben poche tracce restano del suo passaggio, breve ma significativo, nella Città Eterna: il suo nome figura nell’elenco dei patrioti sepolti nell’ossuario garibaldino e gli è dedicata la rampa che collega Monteverde con viale Trastevere, la scalea Andrea il Moro. Era nato a Montevideo da genitori africani schiavi come lui. Era stato liberato con la proclamazione della repubblica uruguayana e da allora non aveva voluto più lasciare Garibaldi, che lo nominò luogotenente del suo Stato Maggiore. Andrea non sapeva scrivere, ma montava a cavallo come pochi e lasciava tutti senza parole quando faceva roteare in aria il lazo con cui riprendeva, come un gaucho, i cavalli disarcionati che fuggivano nella battaglia. Il suo aspetto erculeo lo faceva sembrare un principe di ebano, con denti bianchissimi che scopriva ridendo. Era sempre avvolto in un gran mantello nero e armato di lancia con una banderuola rossa. Quando Garibaldi si fermava a riposare, Andrea toglieva la sella al suo cavallo, che trasformava in un letto per l’Eroe, posto sotto una tenda improvvisata piantando in terra la sua spada e la sua lancia e gettandovi sopra il mantello. Non conosceva la paura e più di una volta salvò la vita a Garibaldi. Solo in un’occasione forse il suo coraggio non sarebbe bastato a difendere l’eroe. Nella battaglia di Velletri, Garibaldi dominava il combattimento dall’alto di una vigna, quando si accorse che i suoi lancieri, spaventati, perdevano terreno. Scese precipitosamente a cavallo dalla collina per andare a rincuorarli, seguito da Aguyar, ma il suo cavallo inciampò, lo sbalzò di sella e gli rovinò sopra, intrappolandolo. Fu un attimo: molti soldati borboni accorsero per farlo prigioniero, ma dalle siepi uscì una nuvola di quei ragazzini tra i dodici e i sedici anni che formavano la cosiddetta brigata dei monelli. Tutti insieme, come indiavolati, si gettarono sui soldati e maneggiando abilmente le loro baionette, li costrinsero alla fuga. Quattro giorni dopo l’arrivo di Anita a Roma, Andrea fu colpito da una bomba nei pressi di Santa Maria in Trastevere. Grondando sangue, riuscì a gridare: "Viva le repubbliche d’America e di Roma!" Fu portato nella vicina Santa Maria della Scala, a quel tempo adibita a ospedale, dove spirò.

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