lunedì 21 dicembre 2009

Angelo Damis


Alcuni anni addietro, l'amico Giovannino Laviola, impegnato ad una stesura definitiva di un Dizionario degli Albanesi illustri, mi diede a leggere la biografia dell'avo. Angelo Damis. E poiché essa mi sembrò riduttiva per un soggetto che in famiglia abbiamo sempre considerato per certi aspetti ancor più importante del fratello garibaldino generale Domenico, sin da allora assunsi l'impegno ad una ricerca più approfondita e soddisfacente che oggettivamente meglio individuasse l'uomo sia nel privato che nella sua dimensione pubblica. Nella tradizione familiare, il colonnello Angelo Damis, in un contesto rigido ed alieno da incensamenti, viene reputato per una grave serietà e rigore morale, forse ancor maggiore rispetto al fratello Domenico, essendo altresì considerato l'effettivo motore delle vicende familiari dal 1840 in poi. Infatti, essendo il primo tra i figli di Antonio Damis e Lucia Irianni, gesti, dalla morte del genitore (nel 1835), unitamente alla madre le sorti familiari. Tale impronta di accentuata serietà, la si riscontra ancor oggi dai residui documenti di allora. Infatti, dal giornale "il Tiro", anno III 1882, in occasione del rinnovo del Consiglio Provinciale, il consenso elettorale di oltre 1'80% dei voti, lo si motiva appunto perché riferito ad un personaggio serio "'che ha onorato per decenni con il proprio impegno la carica ricoperta", senza nulla togliere agli altri candidati, pur di prestigio e qualificati. E nella carica pubblica di rappresentante eletto, in quel 1882, durava già da circa 20 anni, ed era stato secondo Presidente della Provincia, dopo il 1860, allorché, rientrato dalla fase operativa della lotta al brigantaggio quale ufficiale della Guardia Nazionale, fu indirizzato all'agone politico dagli ambienti patriottici. Nel giornale politico Settimanale "la Lotta" del 1899 anno XI, n° 23, del 10-6-1899, in prima pagina, in un lungo articolo, lo si commemora e si rinnova la terminologia dell'integrità, avendo disimpegnato gli importanti e delicati uffici pubblici «quale cittadino integerrimo, con quella dignità e rettitudine ormai tradizionali nella sua famiglia». Ma l'uomo pubblico, molto riservato e poco incline a voler comparire, era stato uno tra i più fervidi patrioti del Risorgimento, tanto è vero che, in contatto con Domenico Mauro, partecipa alla preparazione dei moti carbonari ed all'attività della "Giovane Italia" del Mazzini nel 1843 e nel successivo 1844. Tale sua partecipazione consta dai documenti dell'epoca, da cui consegue che fra gli implicati dei Moti del Marzo 1844, vi erano 39 albanesi, di cui almeno 6 di Lungro. E fra questi 6, non tutti noti, si conoscono e restano i nomi di Pasquale Cucci, Damis Angelo e Damis Domenico. E ciò scrive e riporta esplicitamente il mio Genitore Angelo Vittorio Damis nel testo "Parliamo di Lungro". Tale partecipazione del 1843-1844, la si desume anche dal citato giornale "Il Tiro", in termini espliciti per il fratello Domenico, allorché trattando di una biografia, nel n° 2 dell'anno III-1882, riporta testualmente «verso il 1843, si trasferiva a Cosenza ove compi gli studi classici e scientifici. Quivi prese parte attivissima alle società segrete iniziate dal Mazzini ed ai tentativi del 1843-44... Fu un vero miracolo quello di non aver subito la sorte dei Bandiera e degli altri Martiri... Per qualche tempo, minacciato dalla tirannide fu latitante...». E sempre per il fratello Domenico, quella partecipazione consta anche da una lettera (conservata) del Settembre 1852: "una sola volta nella vita, la vista della sventura mi spaventò; vuoi sapere quando? nel 1844"». Dunque per tempo Angelo Damis, fra i 20 ed i 25 anni si dedicò alla lotta patriottica, congiuntamente al fratello Domenico più giovane di 5 anni. E dopo i fatti sventurati e sfortunati del 1844, avendo già completato gli studi con la laurea a 21 anni, continuò nella sua azione di patriota e nel 1848 partecipò alla Rivoluzione impegnandosi con tutti gli altri lungresi da Spezzano, a Castrovillari, a Campo Tenese e successivamente consta sia stato incarcerato, ciò desumendosi da un'altra lettera del fratello Domenico del 1851 in cui questi lamenta che la forzata assenza di Angelo, obblighi il terzo fratello più giovane, Giovanni (n. 1833), ad incombenze più gravi in rapporto all'età, muovendosi da Lungro per il carcere di Castrovillari e per quello di Cosenza. Ma dei due fratelli, il maggiore, oggetto del presente, riuscì a non essere coinvolto in modo grave, pur se dall'atto di accusa del Proc. Gen. della Grande Corte Crim. di Calabria Citra, a pag. 18 si dica che "nella casa del non meno rivoltoso Domenico Damis convenivano gli associati della Setta di Lungro che appellavasi Carboneria o Giovane Italia". La qualcosa implicava altresì e di necessità, che Angelo Damis non potesse in casa propria mantenere una Setta e non appartenervi, oltre il fratello. Per intelligenza del Lettore, chiarisco che a seguito della fallita rivoluzione del 1848, furono rastrellate oltre 30.000 persone, migliaia di arrestati e, per quelli ritenuti più processualmente implicati, una serie di maxi processi che si svolsero prevalentemente nel 1851-52. Ma la verità è che processualmente, i documenti ufficiali indicarono prevalentemente il fratello Domenico, per cui si cercò di coprire almeno per quanto possibile il parimenti implicato Angelo, così come erano implicati Giuseppe Samengo, don Gennarino Frega ed i tantissimi altri lungresi (Stratigò, Cortese, Vaccaro, Trifilio, Maida, Laurito ecc. ecc.) che tutti furono perseguiti pesantemente, per quanto la quasi totalità della popolazione lungrese sia stata impegnata nella Rivoluzione del 1848. E per tale diffuso impegno della popolazione riportò un altro brano di un'altra lettera di Domenico Damis, scritta il 14-2-1852 dal carcere di Cosenza, in cui, lamentando la delazione di qualche traditore, qualifica tale delazione «una vergogna del nostro paese, perché qui vien riputato tra i più eroici della Provincia». Ma ancora nel 1853, all'Archivio di Stato consta un procedimento istruttorio a carico di Angelo Damis, per «cospirazione contro lo Stato», anche dopo che il fratello Domenico era stato alla fine del 1852 condannato ai ferri di quarto grado e per 25 anni di Galera. Ma al 1860, Angelo Damis, dopo aver per circa 9 anni assistito i patrioti lungresi più sfortunati che ben in 8 andarono al Bagno penale di Procida con pene pesantissime e con trattamento inumano -(in un brano di lettera dal Bagno di Procida il ben acculturato fratello Domenico, in data 28 Novembre 1856, con fine ironia non percepibile dai censori della matricola, riferendosi a quella famigerata compagnia dei Padri Gesuiti, mandata da Ferdinando Borbone per meglio spiarli, non fa più voti di liberazione, «in grazia della consolante ed amorevole compagnia dei Padri, reputo come una fortuna lo star qui, tuttoché carico di catene ed impastoiato come un giumento» e fa sapere la realtà del proprio servaggio) -si mette a capo dei nuovamente insorti lungresi e tutti in armi li capeggia ed inizialmente torna a sbarrare Campo Tenese, memore del 1848, per poi muovere con propria bandiera e con una propria ferrea organizzazione militare verso Napoli ed il Volturno dove combattè con gli altri per la vittoria finale. Nel quadro in divisa da T. Colonnello è raffigurato con la medaglia di partecipazione alle guerre di Indipendenza nazionale, Campagne 1848 e 1860-61, nonché insignito della croce dell'Ordine di S. Maurizio avendo, dopo l'Unità d'ltalia, partecipato anche nella Guardia Nazionale alla lotta al brigantaggio, sia in provincia di Potenza che in quella di Cosenza. E tutti i pregressi meriti patriottici e militari lo portarono al grado di T. Colonnello, grado piuttosto elevato in quel tempo, collocato nella Riserva Ufficiali. come il suo amico Francesco Sprovieri da Acri, altro eroe garibaldino più volte deputato, pluridecorato, che essendo stato T. Colonnello per oltre 25 anni chiudeva anch'egli la carriera con la nomina al 1888 quale Colonnello nella riserva Ufficiali. Ma Angelo Damis, cospiratore e patriota, uomo pubblico integgerrimo, dopo l'Unità, per non perdere il vizio, tenne nella propria casa la sede della Massoneria, in quell'ammezzato che ancor oggi noi chiamiamo "la Massoneria" e si adoperò quale massone nella Loggia Skanderbeg, (ricorda spesso Giovannino Laviola che si partivano da S. Demetrio per essere iscritti a tale Loggia) una delle più prestigiose d'Italia, conseguendo il titolo di Venerabile ed il grado di 33. Alla sua morte, avvenuta il 6 Giugno 1899, Ernesto Nathan quale gran maestro della Massoneria, partecipò con telegramma il personale e comune cordoglio. E riportando brani dal citato giornale, egli "stimato per l'integrità del carattere e per la vita illibata, fu eletto Consigliere Provinciale e Comunale dal 1860 al 1890, più volte eletto Presidente del Consiglio Provinciale e quasi sempre vice Presidente". Ma fu anche mosso da spirito filantropico, poiché costituì e dotò un ente di assistenza e beneficienza per le orfanelle in Lungro, con previsione anche della dote per quelle giovani che incontravano la buona sorte del matrimonio. Restio a voler comparire o conseguire pubblicità oltre lo stretto necessario, nell'alveo del temperamento familiare e nel costume dei tempi, intese relegarsi con modestia ai propri ambienti verso i quali si prodigò con piena apertura e fattività, del- la qualcosa, è scritto, si giovò grandemente la propria cittadina Lungro, e fu "additato ai giovani quale severo monito di fortezza e di fede". E sempre leggendo il giornale "La Lotta" di quel 10 Giugno 1899, si comprende come l'uomo, il politico, il patriota, il soldato, fosse particolarmente degno di cosi ampia considerazione e per propri rilevanti personali meriti, oltre ed al di là della posizione del fratello Domenico, che viene citato una sola volta. E poiché con il fratello Domenico divise giudizi, sentimenti, tribolazioni ed azioni (nessuno dei due si sposò a motivo della travagliata esistenza trascorsa ed anche i beni ebbero in comunione familiare), quanto riporta Camillo Vaccaro nel giornale "La Lotta" al n. 51 del 20 Dicembre 1896 Anno 8°, è da estendere da Domenico ad Angelo Damis. In sostanza, in quell'articolo, il Vaccaro chiarisce che l'intervistato avrebbe voluto che il periodo del dopo Unità si fosse svolto diversamente, evidenziando scontento ed amarezza. E forse tale amarezza, Angelo Damis trasfuse in una presa di posizione particolare attraverso una sentita militanza nella Massoneria ed in un contegno di grave serietà e rettitudine. Del resto, che un giornale di Sinistra quale "La Lotta" si interessasse ad Angelo Damis tanto da commemorarlo in prima pagina vorrebbe significare che il personaggio, pur non in linea con il filone del potere, era stato troppo in vista per i molteplici meriti conseguiti e godeva di rilevante notorietà. Un altro particolare, si evince dall'Articolo e che merita sia riferito: il clero, quello nostro albanese, senti il dovere di essere presente alle sue essequie, attesa la sua filantropia ed indiscussa rettitudine, per quanto ciò destasse un palese contrasto tra il grembiale massonico e la sottana sacerdotale, cosa non certo frequente e motivabile alla fine del secolo scorso. Ma quell'uomo che della integrità aveva fatto esemplare modello di vita essendo di una correttezza estrema, in contatto con tutta Italia, scrupoloso fino all'inverosimile, godeva di estrema fiducia, e nel 1865, memore dei rapporti che ancora perduravano con i patrioti del circondario, ivi compresi quelli con i superstiti dello sventurato Carlo Maria L'Occaso, intelletto tra i più prestigiosi di Calabria, si adoperò a che la di lui vedova, donna Gasparina Salerni con la figlia Rosina L'Occaso recuperassero la somma di L. 7130,2 da Spiridione De Marco, nella qualità di procuratore mandatario, "eseguendo il mandato con fedeltà" per come è riportato nel Rogito del Notar Leonardo Giangreco dell'1-9-1865 essendo prestigiosi autorevoli testimoni, Don Vincenzo Baratta del fu Marcantonio e Don Melchiorre Zagarese del fu Leopoldo. Dunque, un uomo molto qualificato che aveva nello spirito dei tempi assunto l'esistenza come una milizia, in cui dare prova della incorruttibile saldezza di carattere sia nel privato che nel pubblico, sempre però pronto per modestia a rifiutare gli onori della notorietà. Forse, in questi fausti tempi di carrieristi aureolati, un personaggio delle passate stagioni della nostra storia, dalla grave identità come Angelo Damis, non è concepibile, nè potrebbe stare nel quadrato della comune opinione e tanto meno nel triangolo della serietà.





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