lunedì 21 dicembre 2009

Il Brigantaggio

La guerra civile, perché questi sono i caratteri che drammaticamente assunse quella rivolta, durò oltre cinque anni ed interessò tutta la Basilicata e le regioni limitrofe. L'alveo delle forze dei briganti divenne il Vulture ed il suo capo più rappresentativo fu Carmine Donatelli detto Crocco di Rionero in Vulture. Fuoriuscito dall'esercito borbonico perché reo d'aver ucciso un compagno, Crocco aveva partecipato ai moti unitari del '60 ma non avendo ottenuto l'amnistia preferì al processo la strada dei boschi. Crocco riuscì ad aggregare un esercito di oltre duemila uomini, la maggior parte dei quali contadini disillusi e minacciati dalle ordinanze del Governo pro-dittatoriale che prevedevano la pena di morte per chi partecipava ai moti di occupazione e rivendicazione delle terre. Le ostilità si aprirono l'8 aprile del 1861 con l'assalto a Ripacandida, seguito da quello di Venosa, dove trovò la morte Francesco Saverio Nitti. L'occupazione si diffuse nel Vulture e talvolta i briganti venivano accolti come liberatori dalle popolazioni affrante e sopraffatte dalla miseria. Nell'ottobre del 1861, dopo l'assalto a Ruvo del Monte ed il violento scontro accaduto in agosto con i reparti dei Bersaglieri fra Avigliano e Calitri, ai briganti di Crocco e Ninco Nanco si affiancò Josè Borjes, il generale catalano spedito alla ventura nel tentativo di rinfocolare la reazione borbonica nel Mezzogiorno. Ma la sua fu un impresa inutile e disperata, come ben si intuisce dalle note del suo diario, poiché seppure cercò per diversi mesi di guidare la rivolta al fianco di Crocco, dovette prendere atto della sostanziale indifferenza dei briganti agli astratti programmi politici di restaurazione borbonica. Dopo aver fallito il tentativo di occupare Potenza nel novembre del 1861, Borjes fu disarmato ed allontanato da Crocco, morendo poi fucilato dai bersaglieri presso Tagliacozzo l'8 dicembre dello stesso anno. Nella primavera successiva, trascorso l'inverno negli impenetrabili rifugi del Vulture, i briganti tornarono all'attacco e nel 1862 la lotta si fece agguerritissima al punto che in agosto il governo proclamava lo stato d'assedio.

Proprio in quel periodo, tramite la mediazione di autorevoli esponenti della borghesia locale si era giunti ad un accordo con Crocco ed altri cinquecento briganti, convinti ad abbandonare il campo con promessa di rifugio sicuro su un'isola. Questa ipotesi venne scartata aprioristicamente dal governo che confermava invece la linea dura, accusando anche di complicità coloro che avevano intentato la trattativa e, ignorando qualsiasi forma di mediazione, approntò la legge Pica con la quale si isituivano i tribunali militari e si autorizzavano fucilazioni immediate.
L'opposizione alla Camera fu serrata da parte di tutta quella parte democratica del governo che aveva dato credito alle conclusioni della Commissione Parlamentare d'Inchiesta, inviata in Basilicata per cercare una soluzione al problema, e che aveva terminato la sua esposizione dichiarando che la ribellione dei briganti era in fondo "la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche e secolari ingiustizie". Nonostante l'opposizione del Massari e del De Sanctis, la legge Pica venne approvata ottenendo il doppio risultato di affermare l'egemonia delle forze conservatrici rispetto a quelle democratiche e di accrescere la violenza dei briganti, contro i quali il governo dovette impegnare complessivamente 120.000 soldati in una guerra costosissima per il paese, sul piano sia economico che morale.
Il comando delle truppe venne affidato al generale Pallavicini, lo stesso che aveva fermato Garibaldi sull'Aspromonte, mentre il Prefetto di Potenza Veglio completava la linea telegrafica di collegamento tra il capoluogo e Tricarico, Matera, Melfi e Lagonegro.
Il 13 marzo del 1864 veniva catturato e fucilato presso Avigliano il comandante dei briganti Ninco Nanco mentre per la defezione di Giuseppe Caruso, il Pallavicini riuscì a sorprendere la banda di Crocco sull'Ofanto, il 25 luglio.Ciò nonostante l'imprendibile Crocco riuscì a fuggire con undici dei suoi ed a raggiungere incolume i territori dello Stato pontificio credendosi in salvo. Ma così non fu, il clima politico era cambiato e proprio "quel Gran Pio IX", come egli stesso testimoniò più avanti, dopo la cattura avvenuta a Veroli per mano delle truppe pontifice,
lo fece rinchiudere nelle carceri nuove di Roma. Così terminavano gli anni più accesi della lotta brigantesca e Carmine Donatelli detto Crocco, condannato a morte a Potenza l'11 settembre del 1872, riuscì a scontare il carcere a vita nel bagno di Portoferraio dove divenne uomo di lettere e dettò le sue memorie.

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