domenica 20 dicembre 2009

La battaglia dell'Aspromonte

Già il 27 marzo 1861, nove anni prima della breccia di Porta Pia, il parlamento italiano proclama Roma capitale d’Italia, la sua annessione assieme a quella del territorio laziale, non appare però semplice. Pio IX è ovviamente tutt’altro che intenzionato a cedere ciò che gli resta del potere temporale, e la Francia di Napoleone III si era da tempo fatta garante dell’integrità dello Stato Pontificio.
Lo stato italiano temporeggia e aspetta di aver condotto le necessarie manovre politiche affinché l’impresa non scateni interventi stranieri, Garibaldi e i suoi volontari non fanno troppi calcoli e partono a testa bassa, senza tenere conto che la presa di Roma, senza aver preparato il terreno, avrebbe potuto scatenare tensioni, o addirittura la guerra, con altri stati europei, prima tra tutti la Francia.
Garibald
i procede, e il 27 giugno 1862, da Caprera, fa rotta per la Sicilia dove tiene discorsi infuocati e, sollecitato dai volontari che gli si accodano, decide prendere il mare per la Calabria. Non è ancora ben chiaro se Garibaldi, alla partenza da Caprera, aveva già in mente di attaccare lo Stato Pontificio, certo è che il
clima interventista trovato in Sicilia lo convince, se ce n’era bisogno, a ripetere l’impresa dei mille. Con disappunto delle autorità regie, in Sicilia, nessuno fa nulla per placare gli animi scatenati dal generale e dai volontari più convinti, anche il passaggio alla Calabria non viene efficacemente contrastato dalla marina di Vittorio Emanuele. Tali episodi creano degli equivoci su cui molta storiografia continua a lavorare, molti pensano che lo stato appoggiò tacitamente Garibaldi, salvo sconfessarlo se gli eventi avrebbero preso pieghe inaspettate; altri affermano semplicemente che le autorità non ebbero l’audacia per arginare l’eroe. Ma le alte cariche dello stato, invece, agiscono relativamente in fretta. Vittorio Emanuele sconfessa l’impresa già il 3 agosto, il 15 agosto, il mezzogiorno continentale è messo in stato d’assedio. La marina è allertata di fermare Garibaldi, ma i capitani delle vedette dicono di non aver intercettato le navi delle camice rosse, versione che non combacia con le memorie di Garibaldi che il 25 agosto sbarca in Calabria. A questo punto o si crede alle teorie “complottiste”, o si crede che molti dei comandi locali, comandanti della Marina compresi, non se la sentirono di fermare l’uomo in cui tutti vedevano l’eroe nazionale per eccellenza.
Garibaldi, sbarcato tra Melito e Capo dell'Armi, si mette in marcia verso i domini della chiesa, ma a questo punto, il rischio di intervento delle truppe francesi e di un allargamento dell’influenza di questo stato nelle vicende italiane, era eccessivo. Le truppe regolari italiane, guidate da Pallavicini, vengono mandate e intercettare i volontari, cosa che accade il 29 agosto sull’orlo di un bosco che dominava l’area a pochi chilometri da Gambarie, nel territorio di Sant'Eufemia d'Aspromonte. I bersaglieri avanzano sparando, Garibaldi da ordine di non rispondere: “sono fratelli”, pare  gridasse ai sui, ma alcuni uomini di Menotti mossero all’assalto e si accese un breve scontro che finì quando Garibaldi, in piedi allo scoperto e in mezzo alle due linee, fu centrato da due colpi, uno all’anca e uno al piede sinistri. Garibaldi fu catturato e il suo piano sventato, l’eco internazionale della vicenda fu fortissima, 100 000 a persone a Londra si radunarono ad Hyde Park per manifestare la loro solidarietà. Lord Palmerston offrì un letto speciale per la convalescenza dell'eroe. I repubblicani attaccavano la monarchia accusandola di aver rotto il tacito accordo che li teneva in tregua, eppure, un lato positivo nella vicenda era maturato, una convenzione del ‘64 con i francesi, impegnava l’Italia a proteggere lo stato pontificio e la Francia a lasciare tale stato entro due anni, l’obiettivo di far allontanare tutte le truppe straniere dal suolo italiano era raggiunto, la presa di Roma era solo rimandata.

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