lunedì 21 dicembre 2009

La battaglia di Calatafimi


Quelli sbarcati a Marsala erano molto meno, perché un gruppo di repubblicani, quando videro la bandiera dei Savoia sull’albero delle navi scesero a Talamone. Partirono dallo scoglio di Quarto il sei maggio ( 15 ) e sbarcarono a Marsala l’ undici maggio. Durante un viaggio in Sicilia sono andato a Capo Lilibeo, dove era avvenuto lo sbarco. Ho trovato una stele, con tre iscrizioni sulla base: 11 /V 1860, Sbarco dei Mille. Duce Garibaldi, 149-146 a.C. III Guerra punica. Scipione ’Africano, 1571-1573. Battaglia di Lepanto. Don Giovanni d’Austria. Una delle galee veneziane era comandata da un mio antenato, che morì nella battaglia di Lepanto. Il 13 maggio Garibaldi occupava Salemi, accolto con entusiasmo, perché il barone Sant’Anna, un “pezzo da novanta”, si era unito a lui con una banda di “picciotti”. Fu qui che lanciò un proclama, definendosi “Dittatore nel nome di Vittorio Emanuele, re d’ Italia. La vita avventurosa del nostro Eroe aveva destato in tutto il mondo non solo curiosità, ma anche grande ammirazione, soprattutto in Francia ed in Inghilterra. Era glorificato da tutta la stampa europea , che aveva seguito con ansia ed ammirazione tutte le sue battaglie, soprattutto quella di Calatafimi e quella di Milazzo, esprimendo simpatia per tutti gli eroici volontari, tra i quali troviamo gli ungheresi Lajes Tukoery, caduto a Palermo e Gusztav Frigyesy, ferito a Milazzo, molti francesi, che si distinsero nella conquista di Milazzo, un intero battaglione di inglesi, molti polacchi, qualche spagnolo e persino un austriaco. La campagna di Garibaldi era seguita anche da numerosi giornalisti, tra i quali Alessandro Dumas, il corrispondente del Times, Eber e quello del Siecle, Kergomard, che inviavano i loro resoconti, scrivendo “la Sicilia è la terra degli eroi e Garibaldi è l’uomo della Provvidenza.”
Occupata Salemi, piccola cittadina al vertice di una altura, Garibaldi iniziò la marcia di avvicinamento, scendendo dapprima in un fondo valle, per risalire poi verso Calatafimi, che dista una decina di chilometri su di un’altra altura
A cinque-sei chilometri da Calatafimi la strada è dominata, sulla sinistra, da una specie di bastione naturale, il colle di Pianto Romano, località ideale per controllare e bloccare chi proviene da Salemi. E’ qui che si svolse veramente la cosiddetta battaglia di Calatafimi ( 16 ). Su questo colle, a 450 metri si trova un pianoro, dove il generale Landi, comandante delle truppe borboniche, sistemò in batteria i cannoni, aspettando con i suoi duemilatrecento soldati i famosi “Mille” garibaldini. Garibaldi, vista la situazione, schierò le sue truppe sul colle di Pietralunga, altura parallela a quella del Pianto Romano, mettendo tra lui e Landi il fondovalle. Sistemò su alcune alture circostanti, come riserva, un gruppo di volontari siciliani, che avevano un armamento piuttosto scadente. Per un paio d’ore i “Mille”stettero immobili e il generale Landi sperava che Garibaldi, spaventato dalla presenza dei cannoni, che erano bene in vista, si ritirasse. Alle dieci del mattino, dato che nessuno si muoveva, Landi ordinò l’attacco, ma bastarono quattro fucilate dei garibaldini per indurre le truppe borboniche a ritirarsi. Questo indusse un buon numero di garibaldini a partire all’attacco, scendendo nel fondovalle ed iniziando a risalire il colle di Pianto Romano, senza aspettare l’ordine del Generale. La situazione poteva diventare drammatica, data la maggior consistenza delle truppe borboniche, le quali, con un rapido contrattacco, avrebbero potuto risolvere a loro favore la battaglia. A questo punto Garibaldi dovette decidere su due piedi, se richiamare quegli incoscienti, che erano partiti all’attacco senza suo ordine, oppure lanciare all’assalto tutti i suoi uomini. Preferì rischiare grosso e alla testa dei suoi garibaldini guidò un travolgente attacco alla baionetta, sotto una intensa sparatoria dei soldati borbonici, che non avevano capito che, con un contrattacco, avrebbero potuto ricacciare i garibaldini nel fondovalle. La lotta durò molte ore ed al tramonto i soldati di Landi si ritirarono. Garibaldi perse centoventisette soldati, il generale Landi soltanto centoundici, ma per loro iniziò lo sfacelo, dovuto soprattutto all’incapacità dei loro ufficiali e sottufficiali, mentre Landi era un anziano generale, che aveva fatto carriera con promozioni per anzianità, senza aver mai visto una battaglia in vita sua. Garibaldi vinse per il suo intuito di guerrigliero e per la sua carismatica capacità di trascinare i suoi uomini. Anche se non fu una battaglia modello, Calatafimi diventò una pietra miliare nella storia italiana.
Palermo era presidiata dal generale borbonico Ferdinando Lanza, con diciottomila soldati. Per occuparla, Garibaldi ricorse ai suoi sistemi di guerrigliero sudamericano. Al tramonto fece accendere molti fuochi sulle colline intorno alla città, per far credere di aver un numero di soldati superiore a quanti in realtà erano. Il 27 mattina Nino Bixio assaltò la barricata di porta Termini. Lanza lo lasciò entrare, ordinando alle batterie dei forti e della flotta di bombardare la città, distruggendo molte case ed uccidendo seicento inutili vittime. Tutto questo esasperò i palermitani, provocando una violenta furia popolare contro Lanza ed i Borboni.. Nel frattempo i garibaldini avevano occupato i punti strategici. Il generale Lanza, che non era un eroe, si spaventò e chiese un armistizio, inviando due suoi ufficiali superiori a discutere con Garibaldi, che pose precise condizioni. I due ufficiali partirono per Napoli, per conferire con il re, spiegandogli che Palermo era in rivolta e i “Mille” alle porte della città. Rientrati a Palermo, raggiunsero Garibaldi, che nel frattempo si era insediato a palazzo reale e li accolse, seduto su una sedia, intento a sbucciarsi un mandarino. La capitolazione di un esercito di ventimila soldati, sconfitto senza aver sparato un solo colpo, fu firmata a bordo di una nave inglese ancorata nel porto. Lanza accettò di lasciare la città con tutte le sue truppe, ottenendo l’onore delle armi. L’arcivescovo si recò a palazzo reale per rendere omaggio al dittatore, il quale, il giorno di Santa Rosalia, ricambiò la visita, presentandosi in duomo con la camicia rossa e sedendosi sul trono reale. A Torino erano sbalorditi per il folgorante successo di Garibaldi. e Cavour , per salvare la faccia, ordinò a Medici del Vascello di riunire tremila volontari su due navi e di correre in aiuto del vincitore. Il 20 luglio fu proprio Medici del Vascello ad investire Milazzo, difesa dal generale Bosco ( 19 ), l’unico ufficiale borbonico che oppose una forte resistenza. Fu la battaglia più sanguinosa, una vittoria di Pirro, costata un migliaio di morti garibaldini, il doppio di quelli di Bosco. Lasciato il comando a Medici, Garibaldi si buttò nella mischia, con la famosa spada in pugno, rischiando di morire. La battaglia finì al tramonto e Garibaldi , stanco, si addormentò per terra sul sagrato della chiesa , che ancora oggi si può visitare, a metà corso Garibaldi, sulla riva del golfo di Milazzo ( 20 ). Una piccola targa, sulla destra dell’entrata, ricorda l’episodio. La vittoria di Milazzo stupì ed affascinò tutta l’Europa e fu felicemente definita la “ Itala Maratona” ( 21,22,23,24 ). Il 27 luglio veniva occupata Messina, l’8 agosto Garibaldi creava una testa di ponte in Calabria. Il 6 settembre occupava a Salerno ed il 7 settembre entrava in Napoli, mentre il re Francesco e la regina Maria Sofia si rifugiarono a Gaeta ( 25,26 ). Il 30 settembre, sul Volturno, Garibaldi dovete affrontare una battaglia di posizione in condizione di netta inferiorità, uno contro due e con pochissimi cannoni. All’alba del 1 ottobre i borbonici attaccarono con tutte le loro forze. Garibaldi, a cavallo, si spostava nei punti più esposti dello schieramento. La battaglia durò due giorni, con sorti alterne ed alla fine del secondo giorno settecento garibaldini erano morti, duemila soldati borbonici erano prigionieri e la loro sorte ormai segnata. Questa battaglia fu una delle più importanti del Risorgimento e dimostrò che Garibaldi sapeva cavarsela anche in una guerra manovrata e non soltanto nella guerriglia.

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