Nel marzo del 1848 Mantova, come altre città del Regno Lombardo Veneto, insorse contro l'oppressore austriaco; numerosi cittadini desiderosi di una maggiore libertà, aderirono ad un comitato locale segreto che era aggregato a quello centrale di Milano.
Il 18 marzo si diffuse la notizia che l'imperatore Ferdinando I aveva in animo di concedere la Costituzione, i mantovani si entusiasmarono e si riversarono nelle strade e nelle piazze inneggiando alla libertà, riuscendo anche ad ottenere la liberazione di alcuni detenuti politici che portarono in trionfo. Lo slancio dei cittadini non ebbe però un adeguato sostegno in coloro che avrebbero dovuto guidarli e sostenerli. Nei giorni successivi, infatti, i capi della Municipalità altro non ottennero dal Governatore austriaco Gorzkowsky che la formazione di un Comitato Provvisorio, da affiancare alla stessa, costituito però da personalità di diversi orientamenti politici, e la costituzione della Guardia Civica alla quale aderirono circa novecento persone mal addestrate e peggio equipaggiate (solamente trecento erano i fucili a disposizione).
L'ansia e il desiderio di libertà si facevano sempre più pressanti fra la popolazione, ma l'incertezza e la debolezza del Comitato (lasciatosi illudere con vaghe promesse dal vecchio ed astuto governatore), non consentirono di passare all'iniziativa che doveva sfociare, il giorno 22 marzo, in una vera e propria rivoluzione. Il giorno successivo giunsero da varie località (Modena, Verona, Milano) truppe di rinforzo al contingente di stanza a Mantova per cui il Governatore, mutato atteggiamento, proclamò il 2 aprile successivo lo stato d'assedio.
La Guardia Civica venne sciolta; i mantovani più ardimentosi e compromessi abbandonarono la città, alcuni per aggregarsi ai corpi franchi che combattevano a fianco delle truppe regolari piemontesi (parecchi presero parte alla battaglia di Goito dell'8 aprile), altri si radunarono a Gazzuolo, e si costituirono in corpo militare fondando la gloriosa "Legione" o "Colonna Mantovana".
Dal 13 aprile, pur essendo quasi tutti repubblicani, ma in segno di riconoscenza verso il re di Sardegna che nel frattempo aveva deciso di entrare in guerra contro l'Austria, vollero denominarsi "Bersaglieri Carlo Alberto".La divisa che essi adottarono era pressochè uguale a quella dei bersaglieri sardi del 1848.
Documento, datato Grazie 23 luglio 1848" recante i bolli "BERSAGLIERI MANTOVANI - CARL'ALBERTO" e "ISPETT.^ DI VIGILANZA - S. Martino dall'Argine
Si diversificava solamente nei galloni che, invece di gialli, erano bianchi, di metallo o di lana e per una piccola croce scarlatta posta sul petto della tunica all'altezza del cuore e nel piumetto che anziché di piume era di crine.L'organizzazione fu affidata a Napoleone Mambrini che decise di dividere i circa trecento volontari in due compagnie delle quali ne assunse il comando di una mentre l'altra venne assegnata al conte Giuseppe Arrivabene, entrambi con il grado di capitano.
Si dotarono pure di un bollo amministrativo ovale con la dicitura "BERSAGLIERI MANTOVANI - CARL'ALBERTO" recante anche una piccola croce ed una stella.
I mezzi di sostentamento furono dapprima assicurati in parte dagli stessi componenti (che usarono anche armi di loro proprietà) ed in parte con quanto aveva loro somministrato il comitato cittadino. Successivamente essi fruirono dell'aiuto proveniente dal Governo Provvisorio per la Provincia di Mantova che si era costituito a Bozzolo.Fecero quindi appello al comando dell'esercito piemontese affinchè mettesse a loro disposizione un ufficiale in grado di organizzare, dal punto di vista militare, la "Colonna Mantovana". Venne mandato Ambrogio Longoni, luogotenente dei bersaglieri, quale ufficiale più adatto al caso.
Egli, con l'aiuto di Mambrini, organizzò in breve tempo e con grande efficacia i volontari che dopo pochissimi giorni erano già in grado di molestare e respingere pattuglie e piccoli corpi nemici, tanto che un gruppetto, formato dai più ardimentosi, si spinse fin sotto le mura della fortezza di Mantova.
A Castiglione Mantovano incontrò la Colonna del Generale Torres, che era alla guida di un gruppo di volontari veneti e lombardi che avevano preso parte ai moti rivoluzionari delle "Cinque Giornate di Milano" e che nel frattempo, per mancanza di mezzi, si stava sciogliendo. Molti dei suoi componenti, fra cui Goffredo Mameli e Nino Bixio, si aggregarono alla truppa del Longoni e si portarono a Governolo ove vennero raggiunti da altri noti patrioti mantovani e non.
Il paese era occupato dai Corpi Franchi Modenese e Reggiano e da un Corpo di Linea pure estense comandato dal maggiore Fontana.La Colonna Mantovana era in continuo movimento e ogni tanto, assieme ai reggiani, con i quali si era associata, ebbe scontri con il nemico (ai Due Castelli, a Castellaro, ora rispettivamente Castelbelforte e Castel d'Ario e a Campitello) nei quali ebbero sempre la meglio.
Il 23 aprile il Longoni decise di concentrare nei pressi di Governolo i suoi volontari, ai quali si erano uniti il Battaglione di Linea e il Corpo Franco Modenese, che proprio in quel giorno avevano avuto in dotazione tre nuovi cannoni.Lo spirito che animava quei prodi era molto alto; per essi qualsiasi sacrificio e fatica sembravano lievi; fra le truppe echeggiava di continuo il nuovo inno "Fratelli d'Italia", che Goffredo Mameli, su musica di Michele Novaro, aveva da poco composto.Verso le 23 si udì l'allarme lanciato da una sentinella che un'avanguardia nemica si stava avvicinando. Accertata l'infondatezza dell'allarme, la calma ritornò nel campo ma essa durò poco in quanto già alle prime luci dell'alba si sentì echeggiare un colpo di cannone seguito da qualche scarica di fucileria. I nostri non aspettavano altro: d'un tratto furono tutti pronti ad eseguire gli ordini che il Longoni, con grande calma, impartiva loro. Bixio, alla testa di un plotone, si trincerò in un casolare dal quale poteva controllare le mosse del nemico; il resto delle truppe venne dislocato lungo il canale Fissero mentre quelle modenesi e reggiane presidiavano gli argini del Po e del Mincio. Di fronte, nella prospiciente campagna e, in parte pure essi sugli argini, stazionavano gli austriaci. L'ordine di attacco venne impartito quasi contemporaneamente dai comandanti dei due schieramenti. Lo scontro, fin dal principio, fu quanto mai duro e, in un primo momento, sembrava che le cose volgessero a favore degli imperiali anche perché l'artiglieria modenese, affidata ad artiglieri non molto esperti e per timore di colpire le truppe alleate, taceva. Quando il Bixio e il Longoni intuirono che senza l'aiuto dell'artiglieria non avrebbero potuto avere la meglio sul nemico, presero in mano la situazione cominciando loro stessi a sparare bordate quanto mai efficaci che provocarono il panico fra gli austriaci. Tuttavia i loro comandanti riuscirono a riportare la calma ordinando di caricare alla baionetta ma, bersagliati di continuo dal fuoco dei nostri, si videro costretti ad abbandonare le loro posizioni e a darsi ad una poco onorevole ritirata.
Gli austriaci lasciarono sul campo numerosi morti, che in parte gettarono nelle acque del fiume; i feriti invece vennero curati dai nostri stessi soldati e dalla popolazione locale, alcuni furono trasportati anche presso l'ospedale di Ostiglia; nella ritirata inoltre si abbandonarono ad atti di ferocia e di saccheggio, uccidendo anche inermi cittadini; persero pure un cannone reso inservibile da un colpo dei nostri artiglieri. Fra i volontari non si contò alcun morto e nemmeno un ferito.
L'esito sfavorevole del combattimento destò notevole sorpresa e rabbia nel Governatore Gorzkowsky il quale aveva già preparato grandi festeggiamenti in onore delle sue truppe che, senza alcun dubbio, riteneva sarebbero ritornate vittoriose.
La battaglia di Governolo costituisce senza dubbio il fatto d'arme più rilevante compiuto dalla Colonna Mantovana - Bersaglieri Carlo Alberto, i cui componenti parteciparono anche a varie battaglie successive. Fra alterne vicende la loro avventura proseguì per vari mesi fino a quando vennero incorporati nella Legione Italica di Giuseppe Garibaldi che si coprì di gloria nella difesa della Repubblica Romana del 1849 durante la quale molti dei suoi uomini più valorosi sacrificarono la loro vita per la rinascita della Patria.
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