domenica 20 dicembre 2009

Rosalia Montmasson Crispi

Rosalia Montmasson, la lavandaia

Rose Montmasson detta Rosalia nasce il 12 gennaio 1825 a Saint Jorioz, nella Savoia. E’ figlia di gente umile, sarà lavandaia e stiratrice. Quando, a Torino, capitale del Regno sabaudo incontra per caso Francesco Crispi, rivoluzionario siciliano in esilio, ha ventiquattro anni e da almeno dieci se ne va di casa in casa, dalla mattina alla sera, offrendosi di lavare e stirare la biancheria delle signore borghesi. In questa prima metà del XIX secolo, solo le grandi aristocratiche si permettono lavandaie fisse di palazzo, per le signore della piccola nobiltà e della borghesia ci sono le lavandaie e le stiratrici a cottimo, le chiamano quando serve, per montagne di biancheria a pochi spiccioli.
Quando Francesco Crispi incontra per caso Rose è il 1849: lui è un giovane rivoluzionario riparato in esilio in Piemonte dopo il fallimento della rivoluzione indipendentista siciliana del 1848. Lei, Rose, resta incantata dal suo ardore patriottico e dall’utopia di società in cui lui crede e per la quale si batte, senza tirarsi indietro davanti a nulla: Francesco è repubblicano, mazziniano, un cospiratore. A Palermo, un anno prima ha guidato gli insorti contro il regime borbonico e ripristinato il Parlamento di Sicilia, ha fatto parte del governo provvisorio; la sua attività rivoluzionaria è talmente nota che quando i Borboni riconquistano il controllo della Sicilia lo escludono dall’amnistia concessa ai rivoltosi, costringendolo alla fuga e all’esilio in Piemonte. Francesco è stato anche sposato ( ma questo Rose lo saprà solo più tardi), ha avuto due figli, morti poco più che neonati, come la madre, Rosa D’Angelo, una popolana di Palermo. Crispi l’ha sposata nel 1837, - all’insaputa dei genitori, borghesi commercianti di granaglie che vivono a Ribera, vicino Agrigento -, mentre è ancora un giovane studente appena iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Palermo. In famiglia non se ne sa niente, lui non l’ha presentata a nessuno, tanto meno allo zio vescovo.
Acqua passata. Adesso è il 1849; la sera, smesso il grembiale di lavandaia, le mani ancora gonfie e arrossate dell’azolo, Rose raggiunge Francesco nelle bettole fumose del quartiere operaio, s’infiamma alle sue idee repubblicane e patriottiche, ascolta le lettere che lui invia a Giuseppe Mazzini, a Carlo Cattaneo.
E’ il 1853. Coinvolto nell’insurrezione mazziniana di Milano del 6 febbraio, Crispi è costretto a fuggire dal Piemonte, scappa a Malta, Rose è con lui, nell’isola si sposano (un matrimonio frettoloso, celebrato da un prete sospeso “ a divinis” con le conseguenze che verranno vent’anni dopo…).
Gli anni che seguono sono anni di fughe e di cospirazioni; Rose è ormai votata anima e corpo alla causa dell’unità italiana, della repubblica, dell’uguaglianza.
Nel 1858 ripara con Francesco a Parigi (il Governatore inglese li ha espulsi da Malta perché lui ha attaccato sul suo giornale oltre ai Borboni anche il clero maltese), poi, dopo l’accusa di complicità nell’attentato di Felice Orsini a Napoleone III, fuggono insieme prima a Londra poi a Lisbona.
1859. Francesco Crispi torna clandestino in Sicilia e viaggia in incognito in diverse città dell’isola: vuole riaccendere i moti liberali per indurre Garibaldi ad andare nell’Isola a capeggiare la rivolta e la guerra contro i Borboni. Dopo la seconda guerra d’indipendenza, l’intransigenza repubblicana e democratica di Crispi non è più quella di un volta, si è unito a Garibaldi; a Genova preparerà con lui e con Bixio la spedizione dei Mille.
Da Malta, Rose è la sua collaboratrice più preziosa: suo il famoso telegramma che, forzando la realtà, fa superare a Garibaldi ogni esitazione facendolo salpare da Quarto alla volta di Marsala. Rose raggiunge il marito a Genova, parte con lui e con i Mille. E’ l’unica donna a bordo del “Piemonte”; durante la traversata, gioca a carte con altri garibaldini. Segue la truppa e imbraccia il fucile nella battaglia di Calatafimi, poi rimane tra Alcamo, Vita e Salemi a curare i feriti. I siciliani la ribattezzano Rosalia, il nome che la seguirà sino alla morte.
Non molto altro sappiamo, di Rose/Rosalia Montmasson Crispi, l’unica donna della spedizione dei Mille.
La Storia ce la farà ritrovare dopo l’Unità d’Italia prima a Firenze, e poi a Roma; la relazione con Crispi è diventata tempestosa, lui adesso è deputato del Parlamento del Regno d’Italia, ha abbandonato i repubblicani per schierarsi con i monarchici, lei invece è rimasta fedele a quegli ideali. Lui sa di avere un grande avvenire politico, aspira alla presidenza del Consiglio, gli anni della cospirazione repubblicana, gli anni con Rosalia, i loro ideali sono come una palla al piede. Crispi le gira le spalle.
Si mette a corteggiare una giovane leccese, Lina Barbagallo, figlia di un ex magistrato borbonico che lui vuole introdurre nella nuova corte, la seduce, nasce un figlia. La piccola ha cinque anni quando, - dopo avere spulciato il diritto ecclesiastico e quello maltese per trovare l’aggancio che gli consenta di dimostrare che il matrimonio di Malta è nei fatti nullo -, la sposa.
E’ il 1878, scoppia lo scandalo: Francesco Crispi viene accusato di bigamia, l’”inesistenza” del matrimonio con Rosalia non è così pacifica: a Malta il dominio inglese ha lasciato intatto il sistema matrimoniale con valore civile del matrimonio cattolico, e benché sospeso, il celebrante che li ha sposati era pur sempre un prete, “Semel sacerdos semper sacerdos”. Crispi sarà assolto, ma la vicenda gli peserà addosso per tutta la vita. Lei, Rosalia, invece se ne resterà lontana dal chiasso, a Roma, vivendo con la pensione assegnata ai Mille.
Muore in povertà nel 1904, e viene seppellita in semplice loculo messo a disposizione gratuitamente dal cimitero del Verano dove ancora riposa.
Di lei si sa poco altro, e pochissimo si è cercato di saperne. Nei libri di storia, la piccola lavandaia che fece l’Italia non è quasi neppure citata.

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