lunedì 21 dicembre 2009

Giuseppe Libertini


(1823-1874)

Nacque a Lecce il 2 aprile 1823 da Luigi, proprietario, e Francesca Perrone. Le condizioni di soggezione della Penisola lo infiammarono e lo coinvolsero nella lotta che aveva saldo punto di riferimento in Mazzini. Da Genova a Napoli, sempre in stretto contatto con l’esule, maestro nel cospirare per la costruzione della libertà e dell’unità d’Italia, fu sulle barricate del ’48 con Beniamino Rossi, Salvatore Brunetti, Epaminonda Valentini. Fallita la spedizione di Sapri emigra, cambiando più volte identità (Libetta, Pietro Lambrez, Enrico Barrè), a Corfù dove riceve da Giuseppe Fersini, apparente borbonico, i mezzi di sussistenza che la famiglia gli inviava; nel 1857 ripara a Malta e poi a Londra. Tornato a casa nel 1860, Garibaldi, dittatore del Regno napoletano, lo incarica reggente del Banco di Napoli ma egli rinuncia al “lucrativo impiego”, forte della convinzione che meglio: “Potrò propugnare la causa dell’Unità nazionale, rimanendo semplice privato, ... in quanto che veggo al potere uomini i quali o hanno a viso aperto ostacolata la rivoluzione, ovvero l’hanno neutralizzata e minata in segreto, sentendo ancora la necessità di dover combattere tali uomini”. Dal 1864 alla sua morte, Giuseppe Libertini, nominato delegato del Grande Oriente per la Terra d’Otranto (Lecce, Brindisi e Taranto), si dedica alla ripresa e alla ricostruzione della Massoneria nella Provincia. L’inizio della vita massonica di Giuseppe Libertini non è chiaro. E’ probabile che egli sia stato iniziato dallo stesso Garibaldi, come molti uomini che nel 1860 gli furono vicini; ma non è anche da escludere una iniziazione napoletana all’epoca degli studi e dei contatti con la Giovane Italia, se si pensa che i primi aderenti alla nuova setta - specie nell’Italia meridionale - risultarono liberi muratori. Il 30 agosto 1874, il Giornale della Sera annunziava con una malinconica colonna di stampa (Lettere da Roma) che era uscito di scena un altro uomo rappresentativo della democrazia italiana. Aveva cinquant’anni. Suo acuto interprete è stato Carlo Gentile, Fratello onorario della Loggia Libertini, il quale nel commemorarlo a cento anni dalla morte così si espresse: “Nel 1894, ricordando in Lecce il monumento a Giuseppe Libertini, Francesco Brandi, in sonante ritmo neoclassico, disse che l’antica città di Lupiae era emersa dal mistero del tempo per incidere ancora un nome tra i Fasti Salentini, nella continuità gloriosa della Sapienza italica: Salve, alma gloriosa di Libertini. Venendo incontro al nostro secolo, Giuseppe Libertini presenta infatti qualcosa dell’eroe dantesco ghibellino: è Farinata degli Uberti, mondato dalla sete di sangue, ma sempre immune da compromessi. In Libertini onorate il Carattere, diceva Giovanni Bovio. Però, se da una parte risale fino alla fonte italica di Dante etrusco pontefice redivivo (Carducci) non esclude una componente romantica e moderna di profonda intensità emotiva; se, dunque Benedetto Croce avesse inteso estendere ad altri il cliché psicologico– storico di un libro, avrebbe considerata quella di Libertini, una delle Vite di avventure, di fede, di passione. I contemporanei (Campanella, Tinelli, Pisacane) si sono ritrovati d’accordo nel riconoscere Libertini era forza. Tu sei la forza! Diceva Pascoli a Bismarck. Un uomo che abbia rinunziato a tutto e mai voluto nulla per sé può veramente incarnare la potenza di trasformazione della storia: nel significato che Mazzini dava alla portata del Genio, non demiurgo, ma interprete dell’Anima del Mondo. Esatta, quindi, dopo un secolo, la diagnosi di Leonardo Stampacchia: “le sue aspirazioni son quelle del popolo – le sue opere sono esigenze del popolo – il suo scopo è quello che tien dietro il popolo – le sue gioie e i suoi dolori sono gioie e dolori del popolo”.






Nessun commento:

Posta un commento