domenica 1 maggio 2011

L'eroe Garibaldi, le donne e gli amori


 L'anticlericalismo era una delle tante peculiarità di Giuseppe Garibaldi, guerrigliero, stratega, personalità complessa e sfaccettata, dotato di un fascino in cui brillava il coraggio fisico e l'assoluto disinteresse nel segno di una causa che per lui significava libertà. Proprio qui a Padova, in Prato della Valle l'eroe tenne un comizio sulfureo occupato in gran parte da un'invettiva feroce contro i preti. Il suo «livre de chevet» era il «Nouveau Christianisme» di Saint Simon, un credo senza gerarchie e autorità, quasi un panteismo venato di fratellanza massonica. Il generale si inserisce perfettamente nel milieu culturale di Padova, una polveriera dal 1848 in poi, un serpeggiare di confraternite, società segrete, complotti antiaustriaci che affiancavano studenti e docenti universitari, professionisti, operai, contadini, un mix formidabile e incendiario. C'è anche una «coté» mangereccia di questa inquietudine che si estendeva ai ceti popolari del Portello, di borgo Santa Lucia e delle viuzze delle botteghe artigiane attorno al centro storico: «vuoi puenta e sepe o risi, bisi e fragole?». Preferisci il giallo e il nero, colori asburgici, cibo austriacante o il bianco rosso e verde di una ricetta primaverile e curiosa? Il libro di Colasio, ricchissimo di illustrazioni, srotola un filo rosso che percorre tutto il Risorgimento, rievoca personaggi e avvenimenti nel contesto monumentale della città: il Pedrocchi, il Prato, il palazzo del Bo. Agosto 1866. Garibaldi aveva sconfitto gli austriaci a Bezzecca e si accingeva a puntare su Trento. Ma riceve un dispaccio, il 1073, mentre si trova nel paesino di Storo, è firmato dal generale La Marmora, dice: «Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo. D'ordine del re ella disporrà quindi in modo che per le ore 4 antimeridiane di posdomani 11 agosto, le truppe da lei dipendenti abbiano ripassato la frontiera del Tirolo». Una copia di quest'ordine è conservata nel Museo del Risorgimento di Padova. La risposta di Garibaldi è anche nei libri di storia di scuola media. Il messaggio arrivò al Comando Supremo dell'Esercito che si trovava a Palazzo Mantua Benavides in piazza Eremitani. Questo il testo: «Ho ricevuto il dispaccio 1073. Obbedisco. G. Garibaldi». Risposta, appunto, telegrafica, nessun commento, anche se piegare il capo deve essergli costato parecchio. Nel 1867 il condottiero nizzardo si concede un viaggio nel Nordest, non è il riposo del guerriero, piuttosto una perlustrazione e un sondaggio degli umori. Il 5 marzo è a Padova ospite di Paolo Da Zara. In quell'occasione il generale incontrò gli studenti universitari. Fu un momento di grande entusiasmo, i giovani volevano imbracciare le armi e partire con lui. Oggi in via Umberto una targa ricorda il soggiorno dell'eroe in camicia rossa: «Giuseppe Garibaldi, nel marzo del 1867 con sua breve dimora, glorificò questa casa per secoli». Fu posta nel 1883 un anno dopo la morte di Garibaldi. Si era spento il 6 giugno del 1882 e la città aveva deciso di erigere alla memoria un grande monumento. Il lavoro fu affidato allo scultore Ambrogio Borghi: Garibaldi è ritratto a figura intera, sciabola al fianco, mantello, la testa leonina, sul risvolto della giubba pende un paio di occhiali a pince-nez. La statua su un alto piedistallo fu collocata in piazza dei Noli, oggi piazza Garibaldi, ma negli anni Trenta fu trasferita nell'area dei giardini dell'Arena. Al suo posto la Madonna dei Noli, opera seicentesca del Bonazza. Sia il Veneto che Padova con la sua Università parteciparono alla spedizione dei Mille con una schiera numerosa. I padovani erano una ventina, c'era anche un ragazzino di 11 anni a condividere la passione e i rischi dell'impresa con il padre. Ma uno dei personaggi di spicco, trasportati dai due vapori da Quarto alla Sicilia fu il padovano Ippolito Nievo. Scrittore, brani delle «Confessioni di un Italiano» li abbiamo letti nei sussidiari delle medie. Vibrante di patriottismo e malato d'amore, tratto comune in molti giovani di allora, Nievo ebbe una parte importante nella spedizione non solo come combattente, ma anche per il delicato incarico di tesoriere. Muore nel naufragio del piroscafo Ercole, nella notte tra il 4 e il 5 marzo del 1861 mentre attraversa il mare da Palermo a Napoli. Umberto Eco nel suo ultimo romanzo «Il cimitero di Praga» lascia trapelare un sospetto: l'inabissamento dell'Ercole fu frutto di un attentato. Insomma, Nievo come Mattei, vittima di un misterioso intrigo. Le donne e l'eroe. Garibaldi è quasi un santo-guerriero per il mondo femminile del tempo. Antonia Masanella, al secolo Tonina Marinelli di Cervarese Santa Croce si traveste da uomo e combatte in Sicilia con i Mille, ma anche nei salotti della nobiltà, a Padova e a Venezia si trama contro l'Austria e a favore di Garibaldi. Due nomi: Leonilde Lonigo e Maddalena Montalban Comello. Volantinaggi, sottoscrizioni, carbonari nascosti in casa. Ma, più curioso, il progetto di regalare a Garibaldi una daga con il manico finemente cesellato. Le due patriote volevano anche organizzare un battaglione femminile che desse manforte agli insorti. Garibaldi tenne con entrambe un fitto carteggio concludendo ogni sua lettera con la frase «Vi baccio le mani». Indubbiamente era più uomo di spada che di lettere. Particolare macabro. La Montalban teneva in casa come una reliquia il braccio imbalsamato del generale Giacomo Antonini che gli era stato amputato nella difesa di Vicenza. Leonilde e Maddalena condannate per alto tradimento scontano un anno e mezzo ai Piombi di Venezia. Questa l'Italia del Risorgimento calda di amor di patria e di spirito di sacrificio: «Chi per la patria muor, vissuto è assai». Un neo: l'Italia nasce a Torino nel 1861. Alle elezioni partecipa l'1 per cento degli italiani: 240 mila maschi con un carico di imposta di almeno 40 lire.

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