sabato 23 luglio 2011

Colomba Antonietti

Giuseppe Garibaldi nelle sue Memorie così racconta la morte di Colomba Antonietti, caduta durante la difesa di Roma dove la Repubblica Romana, il 26 aprile 1849, aveva dichiarato la resistenza a oltranza contro i francesi del generale Oudinot. Della brigata agli ordini di Garibaldi facevano parte, fra gli altri, quattrocento studenti universitari, trecento doganieri, trecento emigrati, fino a formare un tutto di duemilacinquecento uomini, tra i quali c’erano (nonostante l’apparente contraddizione del genere grammaticale) molte donne, che la numerazione ufficiale non rileva.

“La palla di cannone era andata a battere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le reni di un giovane soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era Colomba Antonietti, sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco.”
Nata a Bastia in provincia di Perugia nell’ottobre del 1826, Colomba visse gli anni della sua “prima” giovinezza a Foligno, insieme alla sua numerosa famiglia occupata presso il forno municipale nella panificazione e nella produzione dolciaria. Accanto al forno era stanziato il Corpo di Guardia della guarnigione pontificia (all’epoca l’Umbria apparteneva allo Stato Pontificio), dove prestava servizio il cadetto conte Luigi Porzi di Imola. I due giovani ebbero così modo di incontrarsi e innamorarsi. Lei appena diciottenne (alta, snella, occhi e capelli nerissimi, ce la descrivono le cronache), lui di poco più grande, dovettero affrontare le resistenze di entrambe le famiglie che, per motivi al tempo stesso simili e opposti, non vedevano di buon occhio la relazione tra due giovani di classi sociali così distanti.
I due però non si diedero per vinti e riuscirono a sposarsi con un matrimonio che doveva rimanere segreto. Per questo Porzi non aveva chiesto l’autorizzazione a contrarlo alle superiori autorità militari, come da regolamento, sperando che la notizia non trapelasse, ma invece venne presto arrestato e recluso a Roma in Castel Sant’Angelo, a scontare un periodo di carcere. Fortunatamente ai due sposi non fu impedito di vedersi, anzi fu loro concesso di stare insieme dall’alba al tramonto e questo rese meno dura la punizione. La prigionia sviluppò nel giovane ufficiale e in Colomba l’odio per l’oppressione e sentimenti che li avvicinarono poco alla volta alla causa dell’indipendenza nazionale, di cui danno testimonianza le lettere scritte dalla giovane alla famiglia. Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza, Porzi corse volontario al Nord con le truppe guidate dal generale Durando, e la moglie, tagliati i bellissimi capelli neri, si vestì da soldato per combattere in Lombardia e in Veneto a fianco del marito. Per gli esiti infausti della guerra nel 1849 la Legione Lombarda in cui militavano il tenente Porzi e Colomba Antonietti, dopo l’armistizio Salasco, divenne una formazione regolare dell’esercito Sardo-Piemontese, assumendo la numerazione di VI battaglione Bersaglieri che fu lasciato partire alla volta di Roma, dalla Liguria dove si trovava, al comando di Luciano Manara, per contribuire alla sua difesa. Il 19 di maggio Luigi e la sua Colomba parteciparono con Garibaldi alla battaglia di Velletri, per fermare l’esercito borbonico guidato da Ferdinando II.
Nell’Assedio di Roma Francesco Domenico Guerrazzi rievoca quest’evento, con parole che ci restituiscono tutta intera la breve vita di Colomba che seppe scegliere in libertà, sia per la sua vita personale che per i destini d’Italia:
Aperte le brecce ferve l’opera per metterci riparo; un vero turbine di ferro e di fuoco mulinava su l’area avversa alle brecce francesi, ed una moltitudine di cannonate la solcava per seminarvi pur troppo la morte; tu vedevi i Romani brulicare come formiche portando sacca, sassi, e trainando carretti di terra, né i romani soli, bensì ancora le Romane, e fra queste Colomba Antonietti, che non potendo lasciare solo il marito esposto al pericolo volle ad ogni costo parteciparlo ed in cotesta vita ella aveva durato due anni, che lo sposo suo accompagnò in tutte le guerre d’Italia, e a Velletri fu vista, precorrendo, incorare i soldati: in quel giorno la supplicarono di là si rimovesse, ed ella sorridendo, “Ma se ci lascio il marito morirei di affanno”.
Poi, il 13 giugno, alla disperata difesa del quartiere Porta S. Pancrazio di Roma, dove i francesi avevano aperto una breccia, avvenne ciò che Garibaldi ci racconta. Colomba morì compianta nei giornali dell’epoca e dalle parole di storici e politici, ma la manifestazione più alta l’ebbe dal popolo romano, che accompagnò il feretro coprendolo di rose bianche e seguendolo lungo le vie di Roma fino alla cappella di Santa Cecilia dell’Accademia Musicale, dove la salma fu tumulata. Il suo nome risulta accanto a quello del marito scolpito in molte lapidi che ricordano i caduti delle guerre risorgimentali e naturalmente due epigrafi la ricordano a Bastia e Foligno.

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