giovedì 15 settembre 2011
1861 I pittori del Risorgimento
Dopo la consapevolezza dell'Illuminismo e la spinta emotiva del Romanticismo, l'Italia guarda all'unità con la premessa ideologica e rivoluzionaria del biennio 1848-49 e il successivo decennio denso di eventi. Ma è solo tra il 1859 e il 1861 che si arriva alla vera unità, con la seconda guerra di indipendenza, le complesse operazioni diplomatiche del conte di Cavour e la spedizione dei Mille, ideata e guidata da Garibaldi. L'unità d'Italia è un sogno fin dall'epoca medioevale: da Dante in poi, attraverso Machiavelli e Guicciardini, accompagna il pensiero politico italiano, fino alla rivoluzione francese e all'arrivo di Napoleone in Italia, che infiamma le coscienze e il patriottismo di molti italiani da Nord a Sud, a cui, nei decenni successivi, si uniscono il desiderio di libertà politiche e civili e di indipendenza dallo straniero, valori riuniti nel concetto di Risorgimento.
La mostra ha come tema il confronto tra la pittura italiana e gli eventi che hanno portato all'unità nazionale, prendendo in esame quegli anni decisivi in vista delle celebrazioni per il 150° anniversario della proclamazione dell'unità d'Italia, avvenuta a Torino il 17 marzo 1861, anni vissuti e rievocati da pittori e patrioti (Giovanni Fattori, Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, tra gli altri). Nelle grandi tele al primo piano un nuovo soggetto, la pittura a soggetto militare, dove i protagonisti sono soldati e volontari, consapevoli di combattere per un'Italia nuova e pronti a morire per essa. Al secondo piano opere più piccole nelle dimensioni imperniate su un diverso registro narrativo, più intimo, che riflette speranze, sentimenti e aspettative di quegli anni (il deludente armistizio di Villafranca, che lasciava il Veneto all'Austria, oppure il tradimento di Aspromonte).
Il percorso si apre con il ritratto in pietra di Vittorio Emanuele II in uniforme militare e col collare dell'Annunziata, realizzato da Lio Gangeri e posizionato all'inizio delle scale. Le sale sono decorate con il tricolore drappeggiato alle pareti, una lunga scia tricolore che obbliga lo sguardo in avanti. La prima sezione, “Oh mia patria sì bella e perduta! Il popolo e i suoi eroi”, si apre con “Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria” di Francesco Hayez (1826-31), ricordo di un episodio della guerra combattuta dai Greci contro i Turchi: il destino del popolo greco che doveva abbandonare la propria città invasa dall'esercito nemico ed imbarcarsi per l'esilio colpì il pittore e l'opinione pubblica italiana, una vicenda che può paragonarsi a quella del popolo ebraico e dei babilonesi cantata da Giuseppe Verdi nel Nabucco del 1842 (guardando la tela pale di sentire le note del Va' pensiero). Anche “Masaniello chiama il popolo alla rivolta” di Alessandro Puttinati e “Spartaco” di Vincenzo Vela (entrambe del 1846) prefigurano le lotte risorgimentali, in quanto i protagonisti (il pescatore napoletano del Seicento e lo schiavo ribelle dell'antichità) si pongono a capo di due rivolte popolari armate, prese a modello per il loro valore simbolico.
La seconda sezione, “L'epopea delle battaglie”, prende in esame prima il periodo dalla Crimea alla seconda guerra di indipendenza, quindi da questa alla breccia di Porta Pia, una imperdibile teoria di quadri realizzati seguendo le truppe nei teatri di guerra. Gerolamo Induno è il creatore della pittura militare, genere nuovo che rappresenta la storia moderna. Induno combatte in Crimea (i piemontesi sono al fianco dell'esercito ottomano insieme a Francia e Inghilterra contro la Russia zarista) e qui incontra altri pittori impegnati a documentare il conflitto. Tornato in Italia, dipinge il monumentale “Battaglia della Cernaja” (1857), inserendo in primo piano i soldati semplici ed i feriti (un moribondo), rendendoli per la prima volta i veri protagonisti della Storia. Induno similmente fa ne “La presa di Palestro” (1860) e “La battaglia di Magenta” (1861) e, come lui, Giovanni Fattori ne “L'assalto a Madonna della Scoperta”. Nel corale “Il passaggio del Ticino a Sesto Calende dei Cacciatori delle Alpi” Garibaldi assiste al varcare il fiume che allora rappresentava il confine tra Piemonte e Lombardia: vi si riconoscono, fra gli altri, Ippolito Nievo, Gerolamo Induno, Nino Bixio, Ernesto e Benedetto Cairoli. Federico Faruffini, nella sua opera “militare” (“Battaglia di Varese”) mostra il momento della morte di Ernesto Cairoli durante uno scontro tra Cacciatori delle Alpi e austriaci (il pittore dipinge l'opera su richiesta, espressa nel testamento, del suo amico Cairoli). In fondo, in posizione privilegiata per la vista, il celebre “I bersaglieri alla presa di Porta Pia” (1871) di Michele Cammarano, affiancato dallo statico “I bersaglieri” di molti anni successivo (1915).
Al secondo piano la sezione “1849-1849. Oh giornate del nostro riscatto!”, con la presenza dell'opera più famosa, una vera icona: “Meditazione” di Francesco Hayez del 1851 (purtroppo rirpodotta rovesciata in catalogo). Qui l'Italia assume le sembianze di una giovane donna col seno scoperto (una madre che allatta i suoi figli, assolutamente innovativa rispetto alla matrona turrita tradizionale) che tiene tra le mani un volume della “Storia d'Italia” e una croce con su scritte in rosso le date delle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848), che sembrano far rivivere le “giornate del nostro riscatto” cantate da Manzoni nel poema “Marzo 1821”. Non in mostra il simile “Melanconia” di Francesco Canella di collezione privata ma riprodotto in catalogo in bianco e nero nel saggio di Carlo Sisi (pagina 51). Napoleone Nani, in “Daniele Manin e Niccolò Tommaseo liberati dal carcere e portati in trionfo in piazza San Marco”, ricorda che la Repubblica di San Marco dura più a lungo di tutte le altre esperienze rivoluzionarie del 1848-49, grazie alla partecipazione popolare. A fianco due piccoli ricordi del 31 marzo 1849 di Faustino Joli e una commovente scena delle cinque giornate di Anonimo. A testimoniare che partecipano ai moti rivoluzionari del 1848 le diverse classi sociali (aristocratici, borghesi e popolo), ecco due ritratti di Giuseppe Molteni e Gerolamo Induno, “Ritratto della marchesina Anna Pallavicino Trivulzio con la divisa delle Cinque giornate” (il padre, amico e sostenitore di Garibaldi, è tra i protagonisti delle giornate milanesi) e “Trasteverina uccisa da una bomba”.
“Garibaldi, le camicie rosse e l'impresa dei Mille”. La partecipazione popolare agli ideali e alle lotte del Risorgimento è stata interpretata dai pittori in opere di piccolo formato che consentono di rappresentare con immediatezza i risvolti umani e familiari legati alle vicende storiche, dipinti di interni (come “26 aprile 1859” di Odoardo Borrani sul giorno dell'annessione della Toscana al Regno d'Italia, e “La lettera dal campo”, “Il racconto del ferito”, “Aspettando la notizia del giorno” e “Il ritorno del marinaio” di Gerolamo Induno) o di esterni (“L'imbarco a Genova del generale Garibaldi” di Induno e il celebre ritratto di Garibaldi del macchiaiolo e patriota Silvestro Lega: Garibaldi “scandalosamente” si presentò alla Camera dei deputati in camicia rossa e poncho). Quindi Fattori e i “Soldati francesi del '59”, di cui è in mostra anche “Garibaldi a Palermo”, tra le rare tracce delle battaglie combattute il Sicilia. Commovente “Sepoltura garibaldina (un episodio del bombardamento di Palermo del 1860)” di Filippo Liardo: due donne piangono davanti alla bara di un garibaldino, a ricordo del sacrificio dei tanti che morirono in nome del sogno unitario (il tricolore si profila sullo sfondo). Parimenti commovente “Camicie rosse” di Umberto Coromaldi del 1898, con gli anziani garibaldini che si riconoscono ancora nel sogno unitario, sogno parzialmente infranto dal ferimento di Garibaldi in Aspromonte ad opera dei soldati italiani su ordine del primo ministro Urbano Rattazzi (per fermarlo e non farlo proseguire verso Roma), episodio ricordato ne “La discesa di Aspromonte” di Gerolamo Induno e in “Aspettando la notizia del giorno”: qui le donne in abiti ciociari aspettano la liberazione di Roma, città visibile oltre la finestra.
“La delusione di Villafranca” è espressa nella veduta del duomo di Milano “illuminato al bengala” (che altresì documenta le dimensioni della piazza, senza Galleria), nella pace di Villafranca di Domenico Induno e nel celebre “Venezia che spera” di Andrea Appiani, che mi ha fatto pensare alla poesia di Arnaldo Fusinato “A Venezia”. Chiude il percorso “Il sacrificio e la gloria”, che si apre con la “Partenza dei coscritti del 1866) in cui Gerolamo Induno ricorda l'addio alle famiglie dei soldati chiamati alle armi e benedetti da un parroco di campagna alla presenza dei paesani (un particolare del quale è l'icona della mostra). Ne “I fratelli sono al campo” Mosè Bianchi descrive le silenziose preghiere di tre donne veneziane in attesa del ritorno dei loro congiunti, mentre Giuseppe Sciuti ne “Le gioie della buona mamma” ritrae una madre che allatta ed è orgogliosa che il figlio più grande indici sulla carta geografica Roma, capotale del Regno. A testimoniare i tanti, anonimi sacrifici “Lo staffato” e “Lo scoppio del cassone” di Giovanni Fattori. La mostra si chiude con “La veglia. Bollettino del 9 gennaio 1878”: in uno scuro interno borghese, dominato da una luce caravaggesca, tre donne di tre diverse età apprendono la notizia della morte di Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia, la fine di un'epoca.
Nessun commento:
Posta un commento