sabato 17 settembre 2011

Giovanni Vialardi, cuoco di Vittorio Emanuele II

La sua arte fece emergere l’Unità d’Italia in ogni aspetto del convivio

Percorse le cinque sale juvarriane, si giunge alla manica di collegamento tra Archivio di Stato e Prefettura. Questa sezione, curata da Mina Novello del Centro Studi Biellesi, è dedicata all’opera del grande Giovanni Vialardi, cuoco e pasticcere di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II. A Vialardi va riconosciuto il merito di aver levato una voce a conferma e difesa dell’esclusivo patrimonio gastronomico italiano e di averlo fatto con grande anticipo sui tempi. Egli fu inoltre testimone, non solo dietro le quinte, di importanti rivoluzioni a tavola. Il modo di servire detto «alla francese» in cui tutto il cibo viene portato sulla mensa fin dall’inizio del pranzo e lasciato a disposizione dei convitati che se ne servono direttamente, viene sostituito verso la metà dell’800 dal servizio «alla russa» che prevede una successione preordinata di vivande via via servite da valletti. In questo modo il pasto viene svelato a poco a poco. E, per informare i commensali - abituati con il servizio alla francese a vedere tutto insieme il cibo a disposizione - ecco nascere il menu, la piccola lista che anticipa l’elenco delle portate. L’altra grande rivoluzione - e non solo gastronomica - fu l’adozione del sistema metrico decimale (1845, nel regno di Sardegna): il Vialardi, con innegabile lungimiranza, lo utilizzerà, primo tra tutti gli autori di ricettari, nella composizione del suo «Trattato di cucina» del 1854. L’unità d’Italia emerge in ogni aspetto del convivio: la cucina francese, che aveva caratterizzato i pranzi delle corti europee, viene rielaborata da Giovanni Vialardi, cuoco del primo re d’Italia, con riferimenti a ricette dei territori italiani. Il suo trattato continuerà a influenzare i menù del Quirinale per decenni. Nei trent’anni trascorsi nelle cucine di casa Savoia il Vialardi percorse tutte le tappe di una straordinaria carriera rivelandosi particolarmente abile come pasticciere, ruolo che gli venne in effetti assegnato e che gli permise di mettere in risalto la sua arte nella esecuzione delle «piecès montées», le scenografiche costruzioni in pastigliaggio utilizzate per adornare le tavole reali. L’impronta che diede alla cucina e soprattutto alla pasticceria della tavola dei Savoia, continuerà ad influenzare i pranzi di Stato anche quando la Corte lascerà Torino per trasferirsi prima a Firenze e poi a Roma: con Vialardi infatti prodotti, modi ci cucinare e attrezzi della tradizione piemontese ma anche sarda, ligure e nizzarda scendono nella Capitale per salire gli scaloni del Palazzo a deliziare nobili palati. Accanto ai manuali francesi, che formarono generazioni di cuochi, nella mostra torinese sono esposti i manuali di Giovanni Vialardi, nei quali sono annotate ricette e segreti della sua cucina. Ma ci sono anche i disegni dei piatti sontuosi che arricchivano la tavola: pesci e selvaggina, timballi, «bombe» e soufflé erano infatti presentati come vere e proprie scenografie che dovevano destare allora l’ammirazione dei commensali come oggi quella dei visitatori (che avranno l’opportunità di ammirare alcune di queste «pièces montées», realizzate per l’occasione da veri artisti della cucina e della pasticceria). Nei suoi manuali, Vialardi descrisse e disegnò gli strumenti del mestiere, dai più semplici alle grandi gelatiere. Il pubblico può quindi ammirare fruste, mestoli, scavini ma anche forme, budiniere, marroniere e tante altre attrezzature che nel XIX secolo costituivano l’indispensabile patrimonio di un cuoco pasticcere.

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