venerdì 30 settembre 2011

La Battaglia della Bicocca

Di solito le ricorrenze, le celebrazioni, le feste di paese rievocano vittorie, trionfi, conquiste. Novara, invece, andando controcorrente, ricorda anche quest’anno il 154° anniversario di una durissima sconfitta: era il 23 marzo del 1848, e presso le cascine della Bicocca, a Novara, si fronteggiano l’esercito austriaco e quello piemontese. In principio la battaglia si trascina stanca, è un continuo arretrare e avanzare dei due eserciti. Tutto è ancora possibile, i giochi sono aperti…
Lasciamo per un momento i due schieramenti, ancora intenti a studiarsi, ritornando a undici giorni prima, il 12 marzo, quando Carlo Alberto, cedendo alle pressioni dei suoi consiglieri, dichiara guerra all’Austria. Una follia, sembrerebbe: c’è un re, Carlo Alberto, poco entusiasta della faccenda, e che, forse non sentendosi all’altezza di guidare l’esercito piemontese, nomina come comandante un rivoluzionario polacco, il generale Chrzanowski; c’è un esercito altrettanto poco entusiasta, che vive la nomina di Chrzanowski come uno sfregio all’autorità sabauda e al prestigio dell’esercito stesso, e in cui molti, fra ufficiali e soldati, sono “contrari, se non addirittura ostili alla guerra” (secondo una testimonianza di Gioberti); infine, dall’altra parte, c’è ancora lui, ora ottantatreenne ma sempre temibile, con alle spalle una grande esperienza e tante vittorie: il comandante dell’esrcito austriaco, Radetzky, alla sua ventiseiesima battaglia.
L’esercito piemontese si era concentrato sul medio Ticino, pronto a dislocare le sue forze verso Mortara, nel caso di una attacco da Pavia, o verso Novara, nel caso di un attacco da Milano. Come è noto, Radetzky decise per Novara, ma senza far capire che questo era il suo vero obiettivo. L’esercito piemontese se ne rese conto troppo tardi, e rispose in modo confuso, senza coordinazione, concentrando le sue truppe verso la cittadina piemontese fra il 21 e il 22 marzo, e lasciando quasi scoperta la destra del Po, il che avrebbe lasciato al nemico la strada spianata verso Torino in caso di difficoltà. E le difficoltà ci furono. Siamo tornati ora a quelle ore, fra le 11 del mattino e le 17 di sera, del 23 marzo 1848: gli austriaci sono guidati dal solo generale D’Aspré, e il loro primo attacco non causa grandi danni. Se lo Stato Maggiore dell’esercito piemontese fosse stato più deciso nel lanciare un tempestivo contrattacco, gli austriaci potevano essere sconfitti: ora, non soltanto ciò non accadde, ma ad aggravare la situazione ci fu il generale Ramorino, che pensò bene di allontanarsi dal luogo dello scontro con un numero consistente di uomini. Immaginate un po’: c’è un esercito alleggerito delle sue forze, lasciato in una situazione di stallo, in attesa che accada qualcosa. Ed ecco ciò che avviene: Radetzky, dopo l’uscita di scena di Ramorino, attacca dai lati e chiude in una morsa i piemontesi. Le cascine della Bicocca vengono perse e riconquistate più volte, ma alle 18 la battaglia è definitivamente perduta. Per ognuna delle due armate quella giornata costò quasi 5.000 uomini, fra morti, feriti, prigionieri e dispersi. Carlo Alberto non può fare altro che chiedere a Radetzy un armistizio, ma il comandante austriaco risponde con condizioni talmente dure da significare una sola cosa: resa incondizionata. Per Carlo Alberto rimane soltanto una cosa da fare, abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele II: ciò avvenne a Palazzo Bellini, alle 21.15, come conclusione di una giornata maledetta.
Questa sconfitta cambiò il corso del Risorgimento italiano. Come ha ricordato ultimamente anche Ciampi, in visita a Novara lo scorso novembre, quell’evento tragico fu una lezione importante, perché insegnò al Piemonte che se si voleva vincere l’impero asburgico era necessario prima un consolidamento delle istituzioni, una riorganizzazione dell’esercito, l’appoggio diplomatico delle grandi potenze europee. Dieci anni dopo, grazie anche a questa sconfitta, fu raggiunto l’obiettivo: l’unificazione dell’Italia.

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