sabato 1 ottobre 2011

GARIBALDI A PALERMO

Giuseppe Cesare Abba nella sua “Storia dei Mille” fornisce un racconto dettagliato

degli incredibili giorni che segnarono la fine del dominio borbonico a Palermo.
Dopo lo sbarco a Marsala l’11 maggio, Garibaldi a Salemi il 14 maggio assume la
dittatura dell’isola in nome di Vittorio Emanuele II e l’indomani viene combattuta la
battaglia di Calatafimi dove “o si fa l’Italia o si muore”.
A questo punto inizia la marcia verso Palermo, attraverso Alcamo, Partinico ,
Gibilrossa e il 27 durante le prime ore del mattino i Mille, a cui si erano uniti
numerosi picciotti” guidati dal La Masa, dopo qualche scaramuccia e varie manovre
diversive, entrarono a Palermo: il primo scontro con i Borbonici avvenne presso il
Ponte dell’Ammiraglio. I soldati posti a guardia del ponte furono colti di sorpresa,
anche grazie alla strategia del Generale che aveva fatto credere al nemico di essersi
ritirato verso Corleone. I borbonici ripiegarono una colonna verso porta Termini, una
verso porta Sant’Antonino. Proprio durante gli scontri tra porta Termini e porta S.
Antonino cadevano Tukory, Benedetto ed Enrico Cairoli.
I garibaldini fecero irruzione nella via verso la Fiera Vecchia, oggi via Garibaldi.
“Qualche finestra si aperse, qualche testa si sporse, ma gente non ne compariva. Fu
un istante da tragedia”,.Tuttavia,Garibaldi col suo Stato maggiore si inoltrò fino a
piazza Bologni e si fermò nell’atrio del palazzo che dà nome alla piazza. Intanto le
campane cominciarono a suonare a martello e tutta la città si svegliava.
La città si trasformava in un campo di combattimento: verso S. Antonino si
combatteva, da porta Maqueda i cannoni del generale Cataldo tiravano lungo la via,
quelli del generale Lanza da Palazzo Reale colpivano tutta la via Toledo (corso
Vittorio Emanuele). Verso le sette del mattino si udì un gran rombo al Castellamare:
cominciavano i bombardamenti che sarebbero durati 3 giorni. Scoppiarono incendi,
mentre a mezzogiorno anche le navi si misero a bombardare.
Intanto Garibaldi era passato col suo Quartier generale nel palazzo Pretorio. A quel
punto, dopo quattro ore dall’ingresso di Garibaldi, per i borbonici era passato il
momento buono per riprendere il controllo della città. “ Nelle vie sorgevano come
per incanto barricate, per tutto” e i borbonici si asserragliavano a Palazzo Reale; le
carceri non più custodite si apersero , ma Garibaldi provvide a tenere a bada i
fuggiaschi, decretando la pena di morte in caso di furto e saccheggio.
I mortai del Castellamare presero di mira soprattutto il palazzo Pretorio, provocando
gravi danni agli edifici circostanti.
La notte tra il 27 e il 28 la parte bassa della città era in mano degli insorti, salvo il
palazzo delle Finanze a piazza Marina che però era tenuto d’occhio affinché i
borbonici non portassero via il tesoro.
“La seconda giornata passò come la prima e peggio, ma la terza furono cose
indescrivibili. Tutte le vie erano gremite di gente”, anche perché a causa dei
bombardamenti stare dentro le case era peggio che star fuori.
I garibaldini posero un gran tendone tra due palazzi presso i Quattro Canti che celava
la metà di via Toledo verso porta Felice all’altra metà verso il Palazzo Reale. In tal
modo i borbonici dal Palazzo non potevano più comunicare a segni con le loro navi
da guerra nel porto.
Alle quattordici del terzo giorno l’ottava Compagnia riuscì ad occupare la Cattedrale.
Furono vani i tentativi dei borbonici di riprendere il controllo della Cattedrale, del
convento dei Benedettini, dell’Annunziata, di porta Montalto.
Ormai scarseggiavano le munizioni. Per fortuna il 30 maggio Garibaldi ricevette un
messaggio da parte del generale Lanza il quale chiedeva un armistizio di 24 ore e un
incontro.
L’abboccamento tra Garibaldi e i generali borbonici avvenuto a bordo di una nave
ammiraglia inglese si trasformò quasi in un diverbio, per cui Garibaldi ruppe la
trattativa e si ritirò.
Dopo qualche ora apparve dal balcone sinistro del palazzo Pretorio e disse “che il
nemico gli aveva fatto proposte ingiuriose per Palermo e che egli, sapendo il popolo
pronto a farsi seppellire sotto le rovine della sua città, le aveva rifiutate”.
L’armistizio fu prolungato di tre giorni e poi di altri tre, al termine dei quali fu
stipulata una convenzione in base alla quale i borbonici si impegnavano a sgombrare
Palermo, ma con “l’onore delle armi” . Ciò avvenne l’8 giugno.
I giorni che seguirono furono di euforia per il popolo palermitano: ignaro della piega
che poi avrebbe preso la storia credeva in quel momento che tutto fosse possibile.

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