domenica 6 novembre 2011

ANDREOLI, Giuseppe

 Nacque a San Possidonio (Modena) intorno al 1791 da genitori di umile condizione. Avviato agli studi letterari dal parroco del paese natio, da giovinetto indossò l'abito clericale coll'intenzione di abbracciare il sacerdozio, ma la mancanza di mezzi economici per portare a termine gli studi e l'ostilità paterna lo costrinsero a seguire per il momento un'altra strada. Aiutato dallo zio Giovan Battista A., arciprete di S. Martino in Rio, ed ottenuto un sussidio dai marchesi Taccoli, feudatari di San Possidonio, poté iscriversi nel 1811 all'università di Bologna e compiervi gli studi di perito agrimensore. Ma l'A. non amava questa professione e, seguendo le non sopite aspirazioni di adolescente, entrò nella vita sacerdotale e si dedicò agli studi lettetari. Nel 1819 divenne istitutore in casa dei conti Soliani Raschini a Reggio Emilia, con l'appoggio dei quali, non si sa bene se nel '20 o nel '21, ottenne la cattedra di retorica nel collegio degli oblati a Correggio. Alla primavera del 1820 pare, secondo gli atti del processo, che si possa far risalire la sua affiliazione alla carboneria, alla quale era stato iniziato in casa Fattori a Reggio Emilia.Nel clima di malcontento e di agitazione, diffusosi nel ducato modenese con la Restaurazione, si può inserire, secondo i contemporanei, il consenso dell'A. alle idee carbonare, ma attraverso quale evoluzione di pensiero in lui sacerdote sia maturata, l'adesione a questa società segreta e quale sia stata la sua reazione di fronte alla bolla Ecclesiam a Iesu Christo con la quale Pio VII nel 1821 condannava la carboneria, non è possibile accertare con esattezza, data la scarsità di documenti e, soprattutto, di suoi scritti.Dagli atti processuali risulta che l'A. era stato un attivo diffusore delle idee liberali e che aveva saputo conquistare alla causa numerosi giovani. Non avrebbe interrotto la sua azione clandestina neppure quando, nel 1821, erano cominciati gli arresti per la scoperta a Modena di un proclama in latino, coi quale si incitavano i soldati ungheresi dell'esercito austriaco diretto a Napoli a non combattere contro un popolo fratello che difendeva la propria libertà. All'inizio del 1822, in occasione di altri fermi eseguiti dalla polizia, sembra che il suo nome venisse rivelato all'autorità inquirente nel corso degli interrogatori. La notte del 26 febbraio egli fu arrestato a Correggio e condotto prima a Reggio, poi a Modena, nelle prigioni del palazzo comunale.In realtà, la sua attività politica, quale risulta dagli atti del processo, appare piuttosto vaga ed incerta; manca qualsiasi altra documentazione e gli stessi suoi biografi sorvolano sugli anni precedenti all'arresto.Sul periodo trascorso in carcere e sulle vicende della condanna e dell'esecuzione i compagni di prigionia e i contemporanei hanno scritto pagine patriotticamente appassionate, ma, alle volte, tra loro contraddittorie nei fatti e nelle valutazioni. L'A. avrebbe sopportato coraggiosamente sofferenze ed umiliazioni, resistendo alle lusinghe e alle minacce del governatore L. Coccapani e del capo della polizia G. Besini. Ma avrebbe poi confessato a un compagno di cella - forse una spia - di essere carbonaro e, in base alla delazione di costui, si sarebbe istruito il processo, svoltosi a Rubiera, dove si era insediato il tribunale statario straordinario, istituito nel maggio 1822 con un decreto ducale col quale veniva abolito qualsiasi privilegio di foro; di conseguenza il sacerdote modenese fu giudicato dal solo tribunale civile senza che si tenesse conto di quello ecclesiastico.L'11 sett. 1822 fu emessa la sentenza di condanna alla decapitazione per lui e per altri nove carbonari, rei di lesa maestà e di appartenenza a sette segrete. Francesco IV, con lettera autografa dell'11 ottobre successivo, commutava la pena di morte a qualche detenuto, riconfermandola per l'A. e per alcuni altri accusati, i quali, però, o perché contumaci o perché graziati, sfuggirono tutti al supplizio. Il solo per cui il duca non si lasciò commuovere, respingendo ogni domanda di grazia (tra le quali quella di mons. A. Ficarelli, vescovo di Reggio), fu l'A. e la sua fu l'unica esecuzione capitale. La pena inflittagli appare assolutamente sproporzionata alle sue responsabilità: egli sembra essere stato piuttosto vittima delle circostanze; soprattutto la sua condizione di sacerdote e di educatore fornì al sovrano la possibilità di dare ai sudditi un tragico esempio e un severo monito. Il 16 ottobre fu ridotto allo stato laicale, prima ancora che ne giungesse l'autorizzazione da Roma; esecutore della triste cerimonia fu mons. G. M. Cattani, vescovo di Carpi, essendovisi rifiutato, secondo alcuni storici, quello di Reggio. Il 17, verso mezzogiomo, l'A. salì serenamente sul patibolo.

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