mercoledì 30 novembre 2011
L'esercito borbonico e la fine del regno
L'esercito borbonico nei suoi 127 anni di vita ebbe sempre una doppia anima. Rimase un esercito "uno di nome, doppio di fatto" come scriveva il De Sivo, separato in due fazioni da ideologie diverse, opportunismi e contrasti. Nel 1798 si divise tra ufficiali rimasti devoti ai Borboni e ufficiali giacobini e, subito dopo, si ebbero contrasti tra quelli che avevano seguito il re nell'esilio siciliano e i capi sanfedisti inseriti nell'esercito come Michele Pezza detto Frà Diavolo ex soldato semplice nominato colonnello. Nel novennio napoleonico molti servirono prima Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat re di Napoli, altri seguirono Ferdinando IV in Sicilia. Nel 1820 i moti carbonari generarono una nuova divisione fra borbonici e carbonari, nel 1848 fra i leali al re e quelli, in numero limitato, che continuarono a partecipare alla guerra agli Austriaci anche dopo l'ordine reale di tornare in patria e, ancora nel 1860, tra i pochi rimasti fedeli al prestato giuramento al re e i molti che lo abbandonarono per viltà, opportunismo o adesione alla nuova Italia.Quando Ferdinando IV ritornò a Napoli dopo il secondo e lungo esilio siciliano, pesantemente esortato a non ripetere le stragi del 1799, fece stipulare a Capua il 20 maggio 1815 il trattato di Casalanza (dalla famiglia dei baroni Lanza, nobili capuani, proprietari della casa ove venne firmato il documento), col quale si confermarono nel grado gli ufficiali che avevano combattuto per Murat, mentre ai reduci dalla Sicilia, detti "fedelini", fu concessa una medaglia di fedeltà. Tra gli ufficiali murattiani spiccò per il suo valore Carlo Filangieri il quale il 4 aprile 1815 nella battaglia sul Panaro condusse i soldati napoletani all'attacco degli austriaci trincerati intorno al Ponte di Sant'Ambrogio e fu lasciato per morto sul terreno con sette otto palle in corpo. Miracolosamente ripresosi fu dai suoi concittadini solennemente chiamato 'o principe do Panar' che in dialetto sta anche per sedere.Immancabili furono contrasti e gelosie fra le due parti; i murattiani, che avevano mostrato il loro valore a Bautzen e a Danzica, superiori per capacità tecniche, spesso costretti a servire sotto gli ordini di ufficiali "siciliani", mostravano tutta la loro insofferenza. Dopo il fallimento del governo costituzionale l'inossidabile Ferdinando IV, che aveva assunto il nome di Ferdinando I, scampato ai francesi, ai giacobini e ai carbonari e sopravvissuto alle "attenzioni" degli alleati inglesi, turchi, portoghesi, russi e austriaci, sciolse l'esercito, al quale con un proclama del primo luglio 1821 addebitò che "L'Armata è principalmente colpevole di tanti mali; ... mancando di tutte le condizioni necessarie all'esistenza di un'armata, abbiamo co' fatti dovuto riconoscere che essa più non esisteva". Ritenne allora necessario "Il ben essere dei nostri Stati reclama però l'appoggio di una forza protettrice; Noi siamo stati obbligati a sollecitarla da' Sovrani nostri alleati; essi l'hanno messa a nostra disposizione; ..." e sollecitò l'imperatore asburgico a far presidiare da truppe austriache il regno. I reparti, al comando del generale Nugent, vi rimasero fino al 1827, con un ingentissimo esborso per il loro mantenimento. Tutti gli ufficiali e i soldati furono sottoposti a procedimento per accertare il loro comportamento nel periodo costituzionale ed espulsi se ritenuti non fedeli al sovrano. Dalla "purga" furono escluse la Guardia Reale che, ironia della sorte, non avrebbe dato nessun contributo alle forze borboniche durante la battaglia del Volturno del 1860, rifiutandosi di muoversi e la Guardia d'interna sicurezza della città di Napoli sia a piedi che a cavallo.
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