GRIFFINI, Paolo. - Nacque a Lodi il 22 genn. 1811 da Giulio e da Savina Dossena. Di famiglia non facoltosa, il G. intraprese nel 1828 la carriera militare arruolandosi nell'esercito asburgico come cadetto nel 1° reggimento cavalleggeri "Imperatore d'Austria". Promosso nel 1833 sottotenente e tenente, ottenne nel 1844 il grado di capitano nel 2° reggimento cavalleggeri "Hohenzollern". Di stanza a Cracovia al momento dello scoppio rivoluzionario del 1848, il G. scelse la via della diserzione e si portò a Milano, ove prese parte alle Cinque giornate. Partecipò poi allo scontro di Melegnano, ove pochi uomini tentarono senza successo di tagliare la via della ritirata al maresciallo J.J.F.K. Radetzky. In seguito, dopo aver organizzato in poche settimane a Lodi un battaglione di volontari, il G. si mise a disposizione del generale piemontese E. Perrone di San Martino, cui era stato affidato il comando della divisione lombarda. Fu allora nominato colonnello comandante del 3° reggimento di linea delle truppe lombarde e inquadrato nella brigata comandata da M. Fanti. Gli uomini del G. furono impiegati (giugno-luglio 1848) dapprima nelle operazioni fra l'Oglio e il Mincio, poi nell'assedio di Mantova. La sconfitta di Custoza costrinse la brigata Fanti a ripiegare su Brescia e, quando il suo comandante fu chiamato ad altro incarico, ne fu affidato il comando interinale al G., che, verificata l'impossibilità di difendere Milano, condusse i suoi uomini al di qua del Ticino (6 agosto). Con la riorganizzazione delle truppe lombarde seguita all'armistizio Salasco, il G. fu nominato luogotenente colonnello e assegnato al reggimento dragoni lombardi con il quale, alla ripresa della guerra, fu impegnato nella battaglia di Novara (marzo 1849).Dopo la conclusione del conflitto il G., in quanto ufficiale disertore dell'esercito austriaco, fu conservato al servizio attivo nell'esercito sardo come maggiore nel reggimento cavalleggeri di Saluzzo. Promosso nel 1853 luogotenente colonnello, prese parte alla guerra di Crimea, al termine della quale ottenne la nomina a colonnello e il comando del proprio reggimento (che avrebbe conservato fino al febbraio 1860). Nella guerra del 1859 i cavalleggeri di Saluzzo ebbero in prevalenza compiti tattici, che comportarono spesso delicate missioni oltre le linee nemiche. Particolarmente importanti furono le ricognizioni, che facilitarono il buon andamento della decisiva battaglia di Magenta (4 giugno). Gli uomini del G. si distinsero inoltre negli scontri di Palestro e Confienza (30-31 maggio) e, soprattutto, nella battaglia di San Martino (24 giugno), che valse al G. la medaglia d'argento al valor militare.Promosso maggiore generale, il G. si dedicò in Emilia, nei primi mesi del 1860, all'organizzazione di tre nuovi reggimenti di cavalleria. Nella successiva spedizione delle Marche e dell'Umbria comandò una brigata inquadrata nel IV corpo d'armata comandato dal generale E. Cialdini. Distintosi nell'occupazione di Pesaro (11 sett. 1860), a Castelfidardo (18 settembre) guidò un'ardita carica dei lancieri di Milano e di Novara e inseguì per alcune miglia le sbandate milizie del generale Ch.-L.-L. Juchalt de Lamoricière, guadagnandosi la croce di cavaliere dell'Ordine di Savoia. Nei giorni seguenti prese parte all'assedio di Ancona e alla presa del forte di San Leo.Nelle prime fasi della campagna dell'Italia meridionale il G., al comando dell'avanguardia del IV corpo d'armata, fu il primo a scontrarsi con le truppe borboniche. Giunto la sera del 19 ottobre (con due battaglioni di bersaglieri, una sezione d'artiglieria e uno squadrone dei lancieri di Novara) presso il monte Macerone, decise, contravvenendo apertamente agli ordini del Cialdini, di occuparne la sommità, ritenendola una posizione chiave per il controllo della valle del Volturno. Assaliti nottetempo da un distaccamento borbonico comandato dal generale L. Scotti Douglas, gli uomini del G., nettamente inferiori di numero, riuscirono a resistere fino al mattino seguente, grazie a un'abile tattica dilatoria. L'arrivo delle truppe del Cialdini capovolse le sorti dello scontro e il G., postosi alla testa del primo squadrone lancieri di Novara, inseguì le milizie nemiche in fuga fino all'abitato di Isernia, ove il generale Scotti Douglas si arrese con oltre 500 soldati. Il fatto d'armi del Macerone valse al G. (che, pochi giorni dopo, si sarebbe distinto anche nello scontro di San Giuliano) la medaglia d'oro al valor militare.Nel 1861 il G. fu nominato ispettore di cavalleria per le rimonte e, l'anno successivo, comandante della brigata "Bologna". Nel 1864 ottenne la promozione a luogotenente generale e l'ingresso nel comitato di cavalleria, nel 1865 il comando della divisione militare di Chieti. L'anno seguente il G. non fu impiegato nella fase iniziale della campagna per la liberazione del Veneto ma, dopo la riorganizzazione dell'esercito seguita alla battaglia di Custoza (24 giugno), a lui venne affidato il comando della divisione di cavalleria di linea, inquadrata nel corpo di osservazione, posto alle dipendenze dirette di Vittorio Emanuele II. Dalla metà di luglio il G. guidò le sue truppe attraverso il Veneto senza essere mai impegnato in scontri significativi. La notizia dell'armistizio ne arrestò l'avanzata nei pressi di Thiene e Marostica.Negli anni seguenti il G. comandò nuovamente la divisione militare di Chieti, tenne la presidenza del comitato di cavalleria e, infine, fu collocato a riposo nel 1871. Da alcuni anni aveva fatto il suo ingresso anche nella vita politica: il collegio di Lodi lo elesse una prima volta deputato nel dicembre 1864, nel 1865 (in tale occasione sulla elezione del G. gravò il sospetto di pesanti irregolarità), nel 1867 e nel 1876. Alla Camera sedette tra gli indipendenti, schierandosi in genere con la Sinistra su grandi questioni come Roma capitale e la tassa sul macinato. Durante le discussioni sul bilancio del ministero della Guerra non furono rari i suoi interventi: interessato soprattutto a un'efficiente organizzazione della cavalleria, criticò spesso le politiche dei vari governi che considerava sempre oscillanti fra spese improduttive ed economie dannose.Il G. contribuì anche, più in generale, al dibattito sulla riforma dell'esercito, con uno scritto sul Riordinamento dell'esercito italiano (Torino 1870): vi preconizzava una riorganizzazione dell'esercito che, lungi dal ricalcare supinamente modelli stranieri, fosse consona alle reali esigenze dell'Italia, adatta alla conformazione geografica e al retroterra storico e culturale. La sua proposta prevedeva la bipartizione fra un esercito permanente (composto da non più di 120.000 effettivi) e due riserve, destinate a completarne gli effettivi in caso di guerra e a tutelare l'ordine pubblico in tempo di pace, compito che sarebbe stato favorito dall'istituzione dei reggimenti provinciali. Persuaso inoltre che "per essere liberi cittadini bisogna essere prima buoni soldati" il G. si professava nettamente contrario a qualsiasi tipo di esonero dal servizio militare. I contenuti dell'opuscolo (che comprendeva inoltre una minuziosa serie di provvedimenti per le varie armi) furono almeno in parte recepiti dalla legge di riforma dell'esercito promulgata il 19 luglio 1871.Il G. morì a Roma il 20 giugno 1878.
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