I rapporti tra il Regno d'Italia e la Curia romana
Approvata il 13 maggio 1871, la legge delle Guarentigie fu considerata un atto unilaterale e come tale respinta dal Papato. Tale legge incontrò l'opposizione sia dei clericali sia dei giurisdizionalisti.
Essa prevedeva l'impegno italiano a garantire il libero svolgimento del magistero papale ed ecclesiastico, l'attribuzione al Papa di una protezione giuridica simile a quella accordata al re, il diritto di mantenere un corpo di guardie armate, il privilegio della extra-territorialità (la condizione delle sedi diplomatici nei Paesi ospitanti) per i palazzi del Vaticano e del Laterano, nonché per la residenza di Castelgandolfo.La legge si ispirava al principio cavouriano del "libera Chiesa in libero Stato", cioè ad una forma di separatismo liberale.Dopo aver lanciato la scomunica maggiore contro quanti avevano attuato o favorito "l'usurpazione", Pio IX si chiuse nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero e appellandosi alle potenze cattoliche.In risposta alla legge delle Guarentigie, fu emessa l'enciclica "Ubi nos" del 15 maggio, con la quale fu ribadito il principio che il potere spirituale non potesse andare disgiunto da quello temporale.Il problema dei rapporti fra cattolicesimo e Stato liberale divenne ancora più grave di quanto non fosse già in passato. Nel 1874 la Curia romana giunse a vietare esplicitamente ai cattolici la partecipazione alla vita politica, in particolare alle elezioni con la formula del "non expedit" ("non conviene").Soltanto dopo alcuni decenni, nell'età giolittiana, questo divieto sarebbe stato attenuato e poi progressivamente eliminato, fino al completo rientro dei cattolici, sia in quanto elettori sia in quanto eletti, nella vita politica italiana.Riportiamo gli articoli più importanti della legge, ricordando che essa regolò i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede per quasi sessanta anni, fino al 1929.
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