Centocinquanta anni fa, in un mondo che le voleva ubbidienti, dedite alla famiglia e silenziose, ci furono donne che fecero invece il contrario: disobbedirono, viaggiarono e presero la parola. Troppo poco vengono ricordate quelle donne che hanno contribuito al lungo e tormentato processo dell’Unità d’Italia, che oggi si festeggia con importanti celebrazioni tutte declinate al maschile. Eppure furono tante le “sorelle d’Italia” che coraggiosamente intrapresero il cammino della lotta e dell’azione. Donne di estrazione sociale e culturale diverse, che sfidarono le convenzioni famigliari, infrangendo clamorosamente le regole che le tenevano lontane dalla grande Storia.Alcune, le aristocratiche e altoborghesi, lo fanno aprendo salotti che diventano centri di resistenza patriottica, come la milanese Clara Maffei, la mazziniana Teresa Barra Kramer, le genovesi Bianca Rebizzo e Nina Giustiniani, la fiorentina d’adozione Emilia Toscanelli e molte altre che pagano prezzi altissimi per il loro impegno. Altre, intellettuali, giornaliste, artiste, diffondono le loro idee libertarie attraverso articoli, saggi, racconti, biografie, come Costanza D’Azeglio, autrice del Giornale delle giornate memorabili. Alcune di loro non sono italiane ma sposano con altrettanta passione la causa del tricolore e si chiamano Margaret Fuller, giornalista statunitense, o l’inglese Jessie White Mario autrice di “Garibaldi e i suoi tempi” e di una monumentale storia dell’unificazione d’Italia appena terminata quando morì qui a Firenze nel 1906.E le donne del popolo? Di quelle, in una storia scritta tutta al maschile, si sono persi anche i nomi e l’iconografia ufficiale le confina al capezzale dei feriti in un ruolo di assistenza e volontariato. Invece ci sono testimonianze dirette di come queste donne siano state attive in molti episodi di resistenza, come per le dieci giornate di Brescia, o nei moti di Palermo, o ancora nella congiura di Belfiore, nelle imprese garibaldine in Sicilia e nelle cinque giornate di Milano quando scesero in piazza a combattere e molte morirono: cucitrici, fioraie, contadine spesso giovanissime, ricordate senza nome nella targa posta nel duomo di Milano il 6 aprile 1848.Pochi o nulli i riconoscimenti ufficiali, queste donne restano invisibili nella retorica virile e nazionalista che avvolge ancora oggi il racconto del Risorgimento italiano. Finché non impareremo a conoscerle, una per una, questo racconto sarà mutilo e ingannevole. Grazie dunque non solo a Anita Garibaldi, a Cristina di Belgioioso, alla contessa di Castiglione ma a tutte le altre, nostre sorelle d’Italia.
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