Giorgio Asproni nacque a Bitti alla fine del 1808 da Giorgio Asproni,
pastore di Gorofai (all’epoca centro abitato nei pressi di Bitti ed ora
inglobato in questo comune) e da Rosalia Demurtas di Bitti. Non ne conosciamo
esattamente la data di nascita, ma sappiamo che fu battezzato a Bitti il 6
dicembre del 1808 e che poco dopo la sua famiglia si stabilì a Gorofai dove
risiedevano gli altri esponenti della famiglia Asproni. Rimasto orfano di padre in tenera età fu
grazie al sostegno di uno zio prete, il canonico Melchiorre Dore, che
intraprese la via degli studi, prima a Gorofai fino al ginnasio, poi a Sassari.
Andando contro il volere dello zio, che lo voleva avviato alla carriera
ecclesiastica, intraprese dapprima lo studio della filosofia per poi dedicarsi
a quello del diritto, che concluse all'università di Cagliari dove si laureò
nel 1833. Contemporaneamente alla laurea venne ordinato sacerdote e subito dopo
tornò nella terra natia per esercitare il suo ministero. In quegli anni la
diocesi di Nuoro era guidata dall’arcivescovo Bua che lo destinò a Cagliari per
far pratica legale, ma che già nel 1835 lo rivolle a Nuoro. Proprio con mons.
Bua ebbe duri scontri che portarono a una drastica rottura, tanto che l’Asproni
si ritirò in un volontario esilio dal quale tornò solo dopo la morte di mons.
Bua. Ma quelli non erano tempi sereni per la diocesi e anche all’interno del
Capitolo (nel quale Giorgio Asproni rivestiva l’incarico di canonico
penitenziere e insegnante di teologia morale nel seminario diocesano) erano
presenti due fazioni opposte che di fatto impedivano il sereno svolgimento
delle attività.Nel frattempo Giorgio Asproni si appassionò di temi politici e negli
anni 1847-48 seguì da vicino le vicende che portarono alla cosiddetta fusione
perfetta del regno di Sardegna con la monarchia sabauda, per effetto della
quale lo Statuto Albertino venne esteso anche all’isola. Affascinato dalla
politica decise di candidarsi e venne eletto deputato nel parlamento subalpino
nel 1848. A quel punto, visto anche il clima estremamente avverso che respirava
nella diocesi, decise di rinunciare al canonicato (nonostante l’incarico non
fosse incompatibile con la carica politica) e allo stato clericale. Nonostante
questo e la sua partenza dall’isola, mantenne ottimi rapporti con alcuni
esponenti del mondo ecclesiastico che di fatto lo sostennero anche negli appuntamenti
elettorali. Dal 1848 venne sempre riconfermato nei mandati successivi (fatta
eccezione per l’8a legislatura) sino alla 12a legislatura del parlamento
italiano. Lasciata la Sardegna si stabilì a Genova dove si impegnò attivamente
nell’associazionismo patriottico e operaio e dove collaborò intensamente con
fogli giornalistici di corrente mazziniana e democratica. Nel 1864 si trasferì
a Napoli con l’idea di potersi impegnare meglio per la causa sarda (mai
dimenticata) unendola alle battaglie per la Sicilia e il meridione d’Italia.
Qui diresse per due anni il giornale Popolo d’Italia e fu corrispondente per
lungo tempo per Il Pungolo. Scrisse tantissimo, incluso un Compendio i storia
sarda. Ma la sua opera più importante resta senza dubbio Il Diario politico,
un’opera autobiografica ed estremamente densa di analisi dei fatti
storico-politici di un’epoca di grandi cambiamenti che abbraccia gli anni che
vanno dal 1855 fino alla sua morte, avvenuta nel 1876. Il diario venne pubblicato in sette
volumi.La sua posizione politica, sin dagli inizi, fu chiaramente italiana,
repubblicana e antipiemontese. Ebbe la stima dei maggiori esponenti della
sinistra liberale, come Mazzini, Cattaneo e Garibaldi (prese anche parte alla
Spedizione dei Mille), e il rispetto degli esponenti di destra tra i quali lo
stesso Cavour. Si scontrò invece con il generale Alberto La Marmora quando
questi, nel 1849, divenne commissario straordinario per la Sardegna. Di lui si
dice vivesse una vita sobria e ordinata, professando sempre la sua fede in Dio
e il suo amore per la patria e la libertà repubblicana. E proprio all’Italia e a Dio dedicò i suoi
ultimi pensieri quando morì nel 1876 a Roma, colpito dalla malaria. Gli furono
tributati solenni funerali di Stato. Nel maggio del 1879 il comune di Roma e i
suoi amici gli fecero omaggio erigendogli un monumento nel cimitero del Verano.
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