mercoledì 30 marzo 2016

Papa Mastai Ferretti

Papa Mastai Ferretti si spense il 7 febbraio 1878, all'età di ottantacinque anni. Il suo pontificato, durato quasi trentadue anni, è stato il più lungo nella storia della Chiesa e, per molti aspetti, il più controverso. Pio IX fu infatti molto amato, ma anche molto odiato; e il sentimento dei romani verso di lui restò a lungo diviso.Quando la salma del pontefice fu traslata nella basilica di San Lorenzo in Campo Verano, nel 1881, si verificarono gravi incidenti nonostante il trasporto fosse avvenuto, per precauzione, di notte, previo accordo segreto con il governo.Di contro, nella capitale anno dopo anno si intensificarono i pellegrinaggi dei fedeli, alimentati anche, dopo il 1870, dal culto del papa «prigioniero» e dalla perdita della sovranità territoriale.Al di là dei sentimenti e delle passioni estreme, il nodo irrisolto stava soprattutto nel «voltafaccia», o «tradimento» di Pio IX, come era parso alla maggioranza dell'opinione patriottica italiana.Chi si è occupato di Pio IX e della storia di quegli anni ha fornito varie spiegazioni del supposto «tradimento», concordando quasi sempre sull'ipotesi dell'equivoco; un equivoco in cui caddero anzitutto i cattolici liberali, ma che Pio IX in parte alimentò, non sapendo o non volendo disfarsi del mito creatosi sulla sua persona.Ma appunto l'equivoco, così come la rigida opposizione di Pio IX di fronte al nuovo Stato, risulterebbero difficili da spiegare senza tener conto del temperamento e della personalità del pontefice: un pontefice dotato di un forte fascino – sottolinea Giacomo Martina, biografo di Pio IX –, ma segnato da una forte emotività, accresciuta dai disturbi giovanili; un pontefice fermissimo nella difesa del potere temporale e degli interessi religiosi, ma assolutamente irresoluto in politica; severo e intransigente, dunque, ma al tempo stesso insicuro; certamente consapevole, nell'ultimo periodo di vita, delle trasformazioni avvenute durante il suo lungo pontificato: «Tutto è cambiato attorno a me – diceva –, il mio sistema e la mia politica hanno fatto il loro tempo, ma io sono troppo vecchio per mutare indirizzo: sarà l'opera del mio successore».D'altra parte il giudizio più immediatamente storico-politico – connesso all'immagine di un papa comunque ostile alla causa italiana – ha talvolta fatto passare in secondo piano il richiamo agli aspetti legati alla vita interiore del pontefice: la spiritualità semplice e profonda, la fama di santità di cui godette presso le persone a lui più vicine, la difesa della moralità. Soprattutto, la devozione profondissima per Maria, come ricordò Giovanni Paolo II nell'omelia del 3 settembre 2000, in Piazza San Pietro a Roma, mentre solennemente lo proclamava beato.

giovedì 17 marzo 2016

FOCOSI, Roberto

FOCOSI, Roberto. - Nacque a Milano il 13 luglio 1806 da Luigi, attore ed impresario teatrale, e da Francesca Perfetti, pittrice dilettante.Iscritto dal 1819 all'Accademia di belle arti di Brera, nel 1824 conseguì un premio "per elementi di figura disegnati dalla stampa"; nello stesso anno partecipò all'annuale appuntamento espositivo braidense, con un "disegno a matita d'invenzione" Il fine tragico di Gabriella di Vergy, ispiratogli da un ballo di G. Gioia rappresentato alla Scala. Nel 1827, ultimo suo anno a Brera, vinse un premio "per l'invenzione in disegno" La sua attività professionale di disegnatore e litografo iniziò nel 1827 con un lavoro di alto livello: fornì otto disegni per i grandi ritratti di illustri contemporanei, che furono incisi da L. Rados (Mazzocca, 1981, tavv. 444, 490; La Braidense, 1991, p. 301). In questi ritratti, come nei molti altri eseguiti nel corso della sua carriera di litografo (Arrigoni - Bertarelli, 1934, che ne segnalano 45), il F. manifesta la sua spiccata capacità di cogliere la fisionomia e fissare con naturalezza l'espressione dell'effigiato: ritrasse personaggi celebri in ambito teatrale. culturale e politico, ed anche persone meno note, in tavole pubblicate sciolte, o inserite in volumi.Sulle orme di F. Hayez, impegnato nel perfezionamento tecnico della litografia, il F. illustrò i Promessi sposi con tredici tavole sciolte che vennero stampate tra il 1828 e il 1830 dalla Litografia Vassalli. Dell'opera manzoniana diede un'interpretazione grafica "spigliata e narrativa" Nel 1830 il F. sposò Giuditta Elena, sorella del pittore e litografo Giuseppe, e anch'essa autrice di alcune litografie (Calabi, 1931, tav. 184). Dal loro matrimonio nacquero sette figli, tra cui Alessandro, pittore, Eugenio ed Emilia, dei quali si conosce qualche litografia. Rimasto vedovo, il F. sposò in seguito Anna Maria De Monti, dalla quale ebbe due figlie, nate nel 1850 e 1852.Nel 1838 il F. illustrò il Marco Visconti di T. Grossi in otto litografie, anch'esse pubblicate da Vassalli separatamente dal romanzo. Affiancò questa produzione di tavole, di formato medio e grande, destinate al collezionismo o all'arredo domestico, ad una intensa attività di illustratore; lavorò per prodotti editoriali molto diversi: dal romanzo storico con dignità letteraria, ai testi teatrali, alle novelle, sino alla letteratura di evasione di strenne e almanacchi (Baretta - Griffini, 1986).Oltre alla serie di immagini inserite nella citata edizione dei Promessi sposi, il F. illustrò molti altri libri pubblicati a Milano. Si ricordano: i venti disegni per il Marco Visconti di T. Grossi (Borroni e Scotti, 1840); i ventinove disegni, tradotti in incisione da G. Buccinelli, per La signora di Monza di G. Rosini (Manini, 1840); le diciotto immagini, incise da G. Bonatti, per Caterina Medici di Brono di A. Mauri (1841); le dodici litografie per Il marchese Annibale Porrone ... di I. Cantù (Borroni e Scotti, 1842); i ventidue disegni, incisi da G. Bonatti e G. Buccinelli, per Isnardo o sia Il milite romano di G. Colleoni (Borroni e Scotti, 1842); i 4 disegni per Corinna ossia L'Italia di G. de Staël (Borroni e Scotti, 1844); i nove disegni tradotti nelle xilografle delle Opere varie di A. Manzoni (Redaelli, 1845) e le più tarde sedici litografie che illustrano La giornata di Tagliacozzo di Cletto Arrighi (Sanvito, 1858), cui si aggiungono innumerevoli altre tavole.Il F. affrontò anche soggetti ispirati alla storia contemporanea: tra le stampe di maggior formato, le cinque Tavole storico-pittoresche dell'opera del barone Alessandro Zanoli sulla milizia cisalpino-italiana 1796-1814 (Milano, Borroni e Scotti, 1845) e L'incendio di Mosca, tradotto in incisione da G. Stuppi (1850), testimoniano il diffondersi di un'iconografia napoleonica che si ebbe nel Lombardo-Veneto negli anni Quaranta. Alle lotte risorgimentali sono invece riconducibili, tra l'altro, i figurini per la guardia nazionale adottati dal governo provvisorio di Milano del 1848 e le grandi scene tratte dalle battaglie del 1859 per l'indipendenza Nonostante la grande abilità manifestata nel riprodurre opere di altri artisti, come nel caso della litografia, tratta dai Vespri Siciliani di Hayez, esposta a Brera tra unanimi consensi nel 1834 (Glissons, n'appuyons pas, I [1834], pp. 2 s., ripr.), il F., per le sue spiccate doti di inventiva, fu essenzialmente un creatore di immagini. Le sue illustrazioni sono tuttora utilizzate per la loro qualità e per il valore di documento visivo dell'epoca: soprattutto i ritratti di personaggi illustri e tutto quanto testimonia la vita e gli avvenimenti storici e culturali fino all'Unità d'Italia. In particolare le sue litografie hanno un posto importante nell'iconografia manzoniana dei Promessi Sposi.Il F. morì a Milano il 3 sett. 1862.



venerdì 11 marzo 2016

Zucchi Carlo

Reggio Emilia, 1777 – ivi, 1863
Generale napoleonico, prese parte ai moti del 1831 nella Romagna alla testa di formazioni volontarie. Catturato in mare dagli austriaci dopo la caduta di Ancona, fu condannato a morte; la pena gli fu commutata in quella del carcere a vita. Liberato allo scoppio della rivoluzione del 1848, fu poco dopo chiamato da Pellegrino Rossi a far parte del governo romano, quale ministro della Guerra. Quando Pio IX abbandonò Roma, il generale Zucchi seguì il pontefice. La sua carriera fu, così, chiusa. Alla proclamazione del Regno d'Italia, fu nominato luogotenente generale a riposo.

giovedì 3 marzo 2016

Giuseppe Mazzoni (1808 – 1880)

Nacque a Prato da nobile famiglia e si laureò in giurisprudenza all'università di Pisa. Fu avvocato, uomo politico, filantropo e Gran Maestro della Massoneria italiana. Fino da giovane abbracciò gli ideali democratici e mazziniani. Chiamato a far parte nel 1835 della pratese Accademia degli Infecondi, assunse poi iniziative politiche sempre più importanti. Ispirato dagli ideali risorgimentali, si fece promotore con l'amico Pier Cironi della sezione pratese della Associazione Nazionale. Insieme ad Atto Vannucci, fondò il giornale L’Alba ed animò il “Circolo del popolo”, punto di raccolta di spiriti democratici. Eletto deputato al Consiglio Generale nel 1848, fu chiamato da Giuseppe Montanelli a ricoprire la carica di ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici nel governo democratico costituito in ottobre. L'anno successivo, insieme a Montanelli e Guerrazzi, fu acclamato triumviro, per reggere le sorti della Toscana dopo la fuga del Granduca. Con la restaurazione granducale, fu costretto all'esilio, prima a Marsiglia, quindi a Parigi ed infine a Madrid. Nei dieci anni trascorsi all’estero si legò a personaggi della Massoneria e, al suo ritorno in patria, fondò la loggia pratese Intelligenza e lavoro, dopo essere stato cooptato Gran Maestro. Ebbe contatti col rivoluzionario anarchico russo Bakunin, cercando un'azione sociale comune tra il movimento anarchico e la massoneria. Eletto deputato nell'Assemblea Nazionale, assunse una linea politica antipiemontese, ispirata dalla delusione verso il moderatismo dello Stato unitario, cui contrapponeva una visione federalista. Fu il fondatore di un Movimento Federalista, ispirato all'omonimo gruppo creato anni prima in Lombardia da Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari e di cui facevano parte studenti, artisti, garibaldini, ex-mazziniani. Vi aderì anche Alberto Mario, allievo di Cattaneo. Deluso dalla politica, dedicò gli ultimi anni della sua vita ai destini operai e agli ideali massonici. Per la coerenza e l'intransigenza delle sue posizioni fu soprannominato il “Catone toscano