Nato nel 1885, dal 1951 il museo ha sede nel settecentesco palazzo Moriggia, progettato nel 1775 da Giuseppe Piermarini a ridosso del vasto complesso di Brera. Già sede, in epoca napoleonica, del Ministero degli Esteri e, in seguito, del Ministero della Guerra, il palazzo, passato nel 1900 alla famiglia De Marchi, fu donato al Comune di Milano dalla moglie del celebre naturalista Marco De Marchi e in quell'occasione destinato a sede museale.
Attraverso un articolato insieme di materiali composti da stampe, dipinti, sculture, disegni, armi e cimeli, le collezioni illustrano il periodo della storia italiana compreso tra la prima campagna di Napoleone Bonaparte in Italia (1796) e l'annessione di Roma al Regno d'Italia (1870).L'ultimo allestimento risale al 2011 in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Mantenendo intatta la sequenza cronologica, il percorso espositivo, suddiviso in 14 sale, evidenzia i nuclei salienti delle collezioni come, ad esempio, i cimeli dell'incoronazione di Napoleone in Italia (il manto verde e argento e le preziose insegne regali), lo stendardo della Legione Lombarda Cacciatori a cavallo, il primo Tricolore italiano.
Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi"
Il Risorgimento
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venerdì 1 marzo 2019
martedì 14 agosto 2018
I MILLE
«Nella tenda di Achille c'era una lira, e c'era un'arpa nella tenda di Giuda Maccabeo; Orlando scriveva in versi a Carlo Magno; Federico II dedicava odi a Voltaire. Gli eroi sono poeti. Anche lei lo dimostra». Così, in una commossa lettera del 20 gennaio 1868, Victor Hugo si rivolgeva a Giuseppe Garibaldi. Lo sguardo dello scrittore romantico leggeva la spedizione dei Mille come una straordinaria epopea e osservava i suoi protagonisti come i vati che l'avevano resa memorabile. Ma chi furono i Mille? Anime elette ad un più alto sentire, «una legione formidabile e quasi fatata», per dirla con Abba (clicca qui per leggere il brano I Mille di Giuseppe Cesare Abba), o uomini comuni che sceglievano l'esperienza del volontariato militare per ragioni di riscatto sociale, oltre che per il bene della patria?Il primo passo verso la scoperta del variegato mondo dei Mille è la lettura dei loro nomi (vedi in fondo per leggere l'elenco dei Mille nella scheda Mille nomi).Nell'aprile 1861 venne istituita una Commissione, composta dai generali Vincenzo Orsini e Francesco Stocco, dall'intendente generale Giovanni Acerbi, dai colonnelli Giuseppe Dezza, Guglielmo Cenni, Benedetto Cairoli, dal tenente Giorgio Manin, dai maggiori Luigi Miceli, Antonio Della Palù e Giulio Emanuele De Cretsckmann, dai capitani Francesco Curzio e Davide Uziel e dai deputati Salvatore Calvino e Achille Argentino, con l'incarico di comporre un Ruolo nominativo dei pensionati fra coloro che erano sbarcati a Marsala.Nel 1864 nel bollettino n. 21 delle nomine e promozioni venne compilata una nuova lista, curata dal Ministero della Guerra, in base alla quale furono concesse le pensioni, e completata solo nel 1877, dopo un'inchiesta informativa. L'elenco definitivo venne pubblicato il 12 novembre 1878 in un supplemento (vedi in fondo) alla "Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia" (vedi in fondo).La prima domanda da porsi scorrendo le pagine dell'elenco dei Mille è: da dove provenivano?I 1087 patrioti che sbarcarono a Marsala l'18 maggio 1860 erano in maggioranza lombardi, 435, di cui 180 bergamaschi, più di 300 tra veneti e liguri, 78 erano i toscani, 31 i siciliani e 25 i napoletani (vedi in fondo per visualizzare il grafico sulla provenienza geografica dei Mille Mille regioni). Ad un'attenta analisi di quei dati si comprende come una certa familiarità pregressa nel mondo della militanza armata fosse decisiva nella scelta di partire: molti erano infatti coloro che uscivano dall'esperienza dei Cacciatori delle Alpi nella seconda guerra di indipendenza, primo tentativo di organizzazione sistematica di un corpo di volontari
domenica 25 marzo 2018
Il partito di azione
giovedì 1 febbraio 2018
Il Risorgimento in Sicilia
Il periodo precedente l’unità italiana viene spesso indicato come “Risorgimento in Sicilia”, ed è ritenuto un periodo di transizione e preparatorio che portò all’annessione del 1860. Ma in realtà, se vogliamo fare una corretta, ma pur sempre soggettiva, revisione della storia si può arrivare a sostenere che per la Sicilia l’unità italiana ebbe come risultato la disgregazione di un processo di sviluppo economico e sociale, già pervenuto a buoni risultati. Quella della Sicilia preunitaria non è soltanto la storia di una dinastia ma è soprattutto la storia di una società, una società non inerte, statica come ci è stata rappresentata, anche da illustri scrittori come Tomasi di Lampedusa o Leonardo Sciascia, ma di una società in movimento, partecipe né più e né meno come le altre regioni d’Italia e d’Europa delle trasformazioni avvenute nel corso del XVIII e XIX secolo, che portarono alla transizione dalla feudalità al mondo borghese. Per semplicità stabiliamo due date tra le quali questo processo può essere analizzato: il trattato di Utrecht del 1713 e lo sbarco di Garibaldi a Marsala nel 1860.Un ruolo importante in questo periodo lo ha svolto la dinastia borbonica di ramo napoletano ed il regime da essa instaurato, che abbraccia ben 125 anni, e la coincidenza del regno meridionale borbonico con l’età delle rivoluzioni borghesi in Occidente.La monarchia meridionale di Carlo Borbone sorse nel 1734 quando in seguito ad una guerra il Napoletano e la Sicilia furono strappati all’Austria. Questo fu sicuramente un fatto positivo e forse il più importante di tutto il settecento in quanto dava al Mezzogiorno della penisola italiana ed alla Sicilia lo “status” di paese indipendente.I Borbone di Napoli erano principi italiani, eccezion fatta per Carlo italiano solo per metà.Il loro governo fu per lungo tempo inspirato al principio della nazionalità italiana e impegnato a darsi una struttura giuridica e statuale moderna in grado di affrontare e gestire i cambiamenti sociali dell’epoca. I Borbone determinarono l’abbattimento del feudalesimo, grazie al loro assolutismo; introdussero un sistema d’amministrazione civile e giudiziario moderno; avviarono uno sviluppo industriale notevole, in relazione ai tempi. Fu grazie alla politica borbonica che Napoli divenne una capitale di prestigio a livello europeo. Personaggi come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Antonio Genovesi, Domenico Caracciolo a Napoli o come Agostino De Cosmi, Tommaso Natale, Paolo Balsamo, Rosario Gregorio in Sicilia possono far emergere il loro talento e svolgere la loro opera sia culturale che politica. Dopo la rivoluzione francese, purtroppo, il sistema borbonico dimostrò la sua incapacità di accogliere le nuove istanze costituzionali e borghesi e soprattutto, e questo fu un grande errore, non fu capace di accogliere le istanze di autonomia della Sicilia che da regno indipendente si trovò, di colpo, regno gregario di Napoli. Ripetutamente concessero e ritirarono la costituzione e ciò non li rese simpatici ai siciliani.A questo punto per capire come si è verificata la dissoluzione dello stato borbonico e l’affermazione dello stato sabaudo dovremmo fare, brevemente, qualche considerazione. I due stati erano contemporanei ed anche territorialmente erano simili avendo entrambi domini in terra ferma e domini insulari. Le differenze tra i due stati non sono tanto da ricercare nell’economia, nella politica o nella cultura, ché lo stato meridionale non era certo da meno, anzi! Ma nella capacità che il regno settentrionale ebbe nell’affermare l’egemonia peninsulare sulla Sardegna e nella lacerazione interna tra Napoli e Sicilia: la società sarda accettava supinamente la supremazia piemontese, la Sicilia no, a torto o a ragione rifiutava l’egemonia partenopea. Se appena ci pensiamo, questo diverso atteggiamento se non giustificabile è comprensibile. La Sardegna non aveva alle spalle una storia ed un regno importanti, non poteva rivendicare né un Ruggero né un Federico, la Sicilia sì. La Sicilia aveva avuto o creduto di avere un ruolo storico e politico influente, nel bene o nel male, in tutta Europa, la Sardegna no.Il risultato di tale situazione è che l’atteggiamento del “baronaggio” siciliano è uno se non il principale artefice della dissoluzione della monarchia borbonica. La Sicilia non si identifica nei Borbone e nel processo di consolidamento e sviluppo da essi avviato ed è sempre protagonista di tutte le rotture rivoluzionarie a partire da quella del 1812, a quella del 1820, del 1837, del 1848 ed infine del 1860.Proprio per l’importanza geopolitica dell’Isola la questione siciliana non è purtroppo solo un problema interno ma assume caratteristiche internazionali. Lord Bentinck, fu inviato in Sicilia non per sostenere il re ma i suoi oppositori e la Sicilia era ben cosciente di essere una pedina importante della politica internazionale; ha cercato di usare a proprio vantaggio questo stato di cose ma i Borbone di Napoli, nell’ultimo periodo del loro regno, non l’hanno capito. Diversamente da quanto succedeva ai tempi di Carlo III e della reggenza dell’illuminato Tanucci, dopo l’accorpamento nel regno Due Sicilie nessuno è stato capace di sanare i dissidi interni.Sul piano diplomatico internazionale erano state proposte diverse soluzioni per la “questione italiana” le più importanti delle quali prevedevano una federazione con a capo il Papa o la formazione di due Stati italiani (settentrionale e meridionale) distinti ma in collaborazione fra loro. Quest’ultima ipotesi rimase in piedi fino alla vigilia dello sbarco a Marsala, quando la Sicilia, spiazzando tutti sposò, pentendosene poi amaramente, la causa sabauda.A questo periodo che all’inizio abbiamo chiamato “Risorgimento siciliano” va fatta risalire la nascita del separatismo e dell’indipendentismo sfociato poi nell’autonomia.
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