Nellʼanno del 150° dell’Unità d’Italia leggere libri che narrano delle imprese dei nostri eroi risorgimentali è sicuramente cosa buona e giusta (anche perché una parte, una gran parte, dei nostri compatrioti non conosce una virgola della storia risorgimentale italiana) ma bisogna anche stare attenti a cosa si legge. In Il libretto rosso di Garibaldi gli autori, Pier Paolo e Massimiliano Di Mino, vanno ben al di là della semplice biografia di Giuseppe Garibaldi, per darne una visione abbastanza inedita. Nel loro testo, gli autori hanno raccolto una serie di pensieri, discorsi, proclami e scritti politici, estratti di lettere, che l’Eroe dei due mondi scrisse e indirizzò a molte diverse personalità della politica internazionale dell’epoca, ma anche dellʼeconomia, del giornalismo, del mondo del lavoro. Da questo testo non viene fuori la classica visione edulcorata del Garibaldi eroe del Risorgimento e padre della patria, ma conosciamo un Garibaldi diverso, più di parte: il Garibaldi fervente socialista. Il saggio racconta della formazione politica dellʼeroe di Caprera, vicino alle posizioni di Émile Barrault, seguace di Saint-Simon, padre del socialismo utopistico. Scopriamo così un Garibaldi sostenitore di un socialismo patriottico, che allo stesso tempo portava con sé una modernissima idea di Europa libera e democratica. Ovunque ci fosse un popolo oppresso o in lotta per la propria libertà, Garibaldi non faceva mai mancare il suo apporto e il suo sostegno, sia con la sua presenza, quando gli era possibile, sia con le sue parole. Alcune di queste parole sono contenute nel saggio, testimoniandoci la modernità e la grande attualità della visione politica e sociale dell’eroe nizzardo. Un chiaro esempio lo ritroviamo nella lettera diretta alle potenze europee del tempo, in cui Garibaldi prefigura chiaramente unʼEuropa unita fondata su pace e fratellanza. Le parole più dure Garibaldi le riserva alla Chiesa e al clero ma ciò non deve farci pensare ad un Garibaldi ateo. La sua visione religiosa univa il Dio laicamente inteso come “Grande Architetto” (idea propria della Massoneria) con la Ragione di aristotelica memoria. Per Garibaldi, la religione è un fatto privato che deve rimanere tale, soprattutto perché il sentimento religioso non può essere posto sotto il controllo di un sacerdote intermediario. Appare chiaro quindi il costante appello alla libertà di coscienza e allʼautonomia spirituale di ogni individuo. Molto celebre, ma allo stesso tempo estrema, lʼaffermazione di Garibaldi rivolta ai preti:
Se esistesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, certamente mi arruolerei nelle sue file.
Nel quinto capitolo conosciamo il Garibaldi “operaio”, che vediamo sempre al fianco degli operai nelle prime lotte di rivendicazione sindacale e ciò che sorprende è la grande quantità di associazioni, sindacati, circoli, società operaie che riconoscevano a Garibaldi il titolo, quasi sempre onorifico, di loro presidente. Appare inoltre sorprendentemente moderna la visione garibaldina del lavoro come strumento di liberazione dei popoli e come spina dorsale della nuova Italia unita, concetto che sarà ripreso poi anche nella nostra Costituzione dopo le rovine della guerra, a testimonianza della grande modernità di Garibaldi. Leggere un testo come questo aiuta a conoscere meglio la figura di uno dei nostri più grandi padri della patria, per avere uno sguardo più profondo sul suo pensiero politico, sul suo sogno di una Italia e di un’Europa libere e democratiche e per capire quanto sia ancora attuale questo messaggio. L’unico neo sta forse nellʼaver posto i diversi pensieri e discorsi in ordine sparso, mentre magari sarebbe stato più interessante proporli in ordine cronologico, ma questa è una scelta degli autori che non mi sento di criticare fino in fondo.
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domenica 26 giugno 2011
sabato 25 giugno 2011
Mazzini: Un Grande
Mazzini aveva un senso religioso dell’esistenza, era un credente, anche se la sua originale religiosità era più vicina al Protestantesimo che non al Cattolicesimo; per questo, a differenza di altri personaggi dell’Ottocento, egli non appartiene al bagaglio della cultura anticlericale, aveva una sorella suora che trattò sempre con profondo rispetto e mai, neppure nei più cupi momenti della sua esistenza, povero in canna, esiliato e braccato dalle polizie di mezza Europa, venne meno alla fede in Dio, anzi… Per quanto riguarda la politica, allora c’era l’Italia da unire, questo era il primo imperativo, cui dedicò l’intera vita e fu sempre coerente con le proprie idee: egli era un sostenitore della democrazia pura e nella sua breve esperienza di Capo di Stato (fu Triumviro della Repubblica Romana), permise ai nemici della Repubblica in Roma, i nostalgici del potere temporale dei Papi, di esprimere liberamente le proprie idee, a voce e per iscritto, e questo mentre la città era assediata dai francesi ed il territorio della Repubblica veniva invaso da vari eserciti tra cui, purtroppo, anche uno italiano, quello del Regno delle Due Sicilie.
Mazzini propugnava anche l’unità europea: promosse movimenti patriottici in altri paesi (Germania, Polonia) e sognava un’Europa unita su basi morali e spirituali assai più solide di quelle su cui oggi si fonda l’Unione Europea.Ma oggi voglio soffermarmi sugli ideali sociali di Mazzini. Egli era contrario sia al liberismo sfrenato sia al collettivismo. Credeva nel dovere del lavoro (oggi si parla di diritto al lavoro, Mazzini si poneva in un’altra prospettiva, in questo ed in tutti gli aspetti dell’esistenza egli poneva l’accento sul dovere, prima che sul diritto), unico fondamento della proprietà. Il lavoro non era inteso solo come lavoro manuale, ma anche come lavoro intellettuale e dirigenziale. Il capitalista doveva far fruttare il proprio capitale impiegandolo in imprese economiche che portassero vantaggi a tutti, non creando rendite parassitarie. Mazzini vedeva la società come una grande famiglia, quindi era contrario alla lotta di classe e per risolvere la questione sociale auspicava l’associazione dei lavoratori-produttori.
E la cooperazione non è altro che un modo di essere concreto di questo principio di associazione auspicato da Mazzini. Mazzini visse a lungo in esilio in Inghilterra, che è considerata la patria della cooperazione poiché là, a Rochdale, venne fondata nel 1844 la prima cooperativa. Ebbene, in Inghilterra Mazzini partecipò attivamente al dibattito sulla cooperazione con articoli e discussioni in riviste politiche britanniche, dandogli nuovo impulso e vigore (non dimentichiamo che la cooperativa di Rochdale era solo di consumo, un aspetto un po’ limitativo di questo importante fenomeno sociale). Egli fu grande amico, ne frequentava abitualmente la casa, di George Jacob Holyoake, il grande teorico del cooperativismo britannico, e non solo britannico.
Il primo convegno cooperativo internazionale si svolse a Londra nel 1869 e ad esso parteciparono tre italiani, tutti e tre in rappresentanza del movimento mazziniano, il toscano Giuseppe Dolfi, presidente della Fratellanza Artigiana, l’avvocato genovese Cesare Cabella, che un anno dopo diverrà Senatore del Regno, ed il banchiere lombardo Francesco Viganò, anche lui un pioniere della cooperazione ed autore di un libro, “La Fratellanza Umana” che, consentitemi di dirlo, rappresenta la controparte spirituale e morale del movimento cooperativo il quale, a ben vedere, sia detto senza retorica, trae origine dall’amore per il prossimo.
Nel 1864 Mazzini scriveva al presidente di una Cooperativa britannica, J. Dixon: “E’ mia profonda convinzione che noi ci avviciniamo a un’epoca di umanità, di storia e di vita in cui il principio dominante in tutti i rami dell’attività morale, politica e sociale sarà questo: ogni uomo sia giudicato, amato, stimato e compensato secondo il suo lavoro. Di tutti questi principi, voi, lavoratori associati di tutta Europa, siete i precursori nella sfera economica”. Un anno dopo ad un’altra società cooperativa scriveva queste altre significative parole: “Io ho osservato seriamente e ansiosamente lo spandersi delle idee cooperative come il principio di un’immensa rivoluzione che farà più per la fratellanza degli uomini di qualsiasi altra influenza esercitata durante i passati diciotto secoli purché sia evitato il pericolo dell’egoismo smoderato, col risolvere il problema morale, intellettuale ed economico”.
Amore ed educazione sono per Mazzini, quindi, i fondamenti da cui si deve partire per risolvere la questione sociale, ma anche quella nazionale, come ben sa chi ha studiato il pensiero politico e patriottico dell’ Apostolo.E purtroppo è proprio l’educazione del cittadino che oggi manca, lo si può osservare da molti particolari, anche nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo riflettere su queste cose, a 150 anni da quando non siamo più “un volgo disperso che nome non ha”, secondo il verso del Manzoni. E se ci rifletteremo, capiremo che ci sono state persone, pur vissute nell’Ottocento, che hanno saputo vedere molto lontano e che sono in grado di insegnarci tante cose buone ancora oggi.
Una di queste persone fu Mazzini e mi sembra davvero un segno positivo e di grande sensibilità che la LegaCoopBund di Bolzano lo abbia voluto pubblicamente onorare dando ufficialmente il via alle manifestazioni per il 150° dell’unità nazionale nella nostra città.
Mazzini propugnava anche l’unità europea: promosse movimenti patriottici in altri paesi (Germania, Polonia) e sognava un’Europa unita su basi morali e spirituali assai più solide di quelle su cui oggi si fonda l’Unione Europea.Ma oggi voglio soffermarmi sugli ideali sociali di Mazzini. Egli era contrario sia al liberismo sfrenato sia al collettivismo. Credeva nel dovere del lavoro (oggi si parla di diritto al lavoro, Mazzini si poneva in un’altra prospettiva, in questo ed in tutti gli aspetti dell’esistenza egli poneva l’accento sul dovere, prima che sul diritto), unico fondamento della proprietà. Il lavoro non era inteso solo come lavoro manuale, ma anche come lavoro intellettuale e dirigenziale. Il capitalista doveva far fruttare il proprio capitale impiegandolo in imprese economiche che portassero vantaggi a tutti, non creando rendite parassitarie. Mazzini vedeva la società come una grande famiglia, quindi era contrario alla lotta di classe e per risolvere la questione sociale auspicava l’associazione dei lavoratori-produttori.
E la cooperazione non è altro che un modo di essere concreto di questo principio di associazione auspicato da Mazzini. Mazzini visse a lungo in esilio in Inghilterra, che è considerata la patria della cooperazione poiché là, a Rochdale, venne fondata nel 1844 la prima cooperativa. Ebbene, in Inghilterra Mazzini partecipò attivamente al dibattito sulla cooperazione con articoli e discussioni in riviste politiche britanniche, dandogli nuovo impulso e vigore (non dimentichiamo che la cooperativa di Rochdale era solo di consumo, un aspetto un po’ limitativo di questo importante fenomeno sociale). Egli fu grande amico, ne frequentava abitualmente la casa, di George Jacob Holyoake, il grande teorico del cooperativismo britannico, e non solo britannico.
Il primo convegno cooperativo internazionale si svolse a Londra nel 1869 e ad esso parteciparono tre italiani, tutti e tre in rappresentanza del movimento mazziniano, il toscano Giuseppe Dolfi, presidente della Fratellanza Artigiana, l’avvocato genovese Cesare Cabella, che un anno dopo diverrà Senatore del Regno, ed il banchiere lombardo Francesco Viganò, anche lui un pioniere della cooperazione ed autore di un libro, “La Fratellanza Umana” che, consentitemi di dirlo, rappresenta la controparte spirituale e morale del movimento cooperativo il quale, a ben vedere, sia detto senza retorica, trae origine dall’amore per il prossimo.
Nel 1864 Mazzini scriveva al presidente di una Cooperativa britannica, J. Dixon: “E’ mia profonda convinzione che noi ci avviciniamo a un’epoca di umanità, di storia e di vita in cui il principio dominante in tutti i rami dell’attività morale, politica e sociale sarà questo: ogni uomo sia giudicato, amato, stimato e compensato secondo il suo lavoro. Di tutti questi principi, voi, lavoratori associati di tutta Europa, siete i precursori nella sfera economica”. Un anno dopo ad un’altra società cooperativa scriveva queste altre significative parole: “Io ho osservato seriamente e ansiosamente lo spandersi delle idee cooperative come il principio di un’immensa rivoluzione che farà più per la fratellanza degli uomini di qualsiasi altra influenza esercitata durante i passati diciotto secoli purché sia evitato il pericolo dell’egoismo smoderato, col risolvere il problema morale, intellettuale ed economico”.
Amore ed educazione sono per Mazzini, quindi, i fondamenti da cui si deve partire per risolvere la questione sociale, ma anche quella nazionale, come ben sa chi ha studiato il pensiero politico e patriottico dell’ Apostolo.E purtroppo è proprio l’educazione del cittadino che oggi manca, lo si può osservare da molti particolari, anche nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo riflettere su queste cose, a 150 anni da quando non siamo più “un volgo disperso che nome non ha”, secondo il verso del Manzoni. E se ci rifletteremo, capiremo che ci sono state persone, pur vissute nell’Ottocento, che hanno saputo vedere molto lontano e che sono in grado di insegnarci tante cose buone ancora oggi.
Una di queste persone fu Mazzini e mi sembra davvero un segno positivo e di grande sensibilità che la LegaCoopBund di Bolzano lo abbia voluto pubblicamente onorare dando ufficialmente il via alle manifestazioni per il 150° dell’unità nazionale nella nostra città.
mercoledì 15 giugno 2011
I cimeli di Garibaldi a Museo Risorgimento di Roma
Roma, I pantaloni che Garibaldi indossava quando sbarcò a Marsala, il proiettile con cui fu ferito in Aspromote e le vere camice rosse dei Mille: sono solo alcuni degli oggetti che da domani saranno visibili al Museo Centrale del Risorgimento di Roma. Il Museo ospitato nel complesso del Vittoriano riapre con un nuovo allestimento per raccontare l'unità d'Italia dal periodo napoleonico alla prima guerra mondiale, attraverso 650 opere, tra fotografie, documenti, dipinti, cimeli. Oltre ad una scansione cronologica semplificata sono stati inseriti nel museo rarissimi filmati d'epoca dell'Istituto Luce, come quello realizzato nel 1905 che racconta la presa di Roma del 1870, e una serie di pannelli di fronte ai quali, scaricando un'applicazione dello smart phone, si potranno vedere filmati con attori che impersonano i protagonisti della storia del Risorgimento.
"Queste celebrazioni dei 150 anni stanno modificando i musei: anche qui l'uso dei filmati e l'interattività aiuteranno a rendere meno passivo e noioso per i più giovani il racconto della nostra storia" ha affermato Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei Garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il nuovo allestimento punta proprio a coinvolgere i ragazzi, anche grazie alle possibilità interattive già sperimentate con la mostra "Gioventù ribelle", promossa proprio al Vittoriano nel novembre scorso dal Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. "In sei settimane quella mostra è stata vista da 120mila ragazzi, che hanno capito che il Risorgimento è stato fatto da giovani come loro, e che oggi anche loro possono fare la differenza" ha detto la Meloni, che di fronte ad un ritratto di Mameli realizzato nel 1849 ha affermato: "Da anni sogno di vedere un giovane che indossi una maglietta con un'immagine di Mameli, che non ha niente da invidiare a personaggi come il Che. Finora la nostra storia e i giovani eroi risorgimentali non sono stati raccontati ai ragazzi con la giusta suggestione".
"Queste celebrazioni dei 150 anni stanno modificando i musei: anche qui l'uso dei filmati e l'interattività aiuteranno a rendere meno passivo e noioso per i più giovani il racconto della nostra storia" ha affermato Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei Garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il nuovo allestimento punta proprio a coinvolgere i ragazzi, anche grazie alle possibilità interattive già sperimentate con la mostra "Gioventù ribelle", promossa proprio al Vittoriano nel novembre scorso dal Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. "In sei settimane quella mostra è stata vista da 120mila ragazzi, che hanno capito che il Risorgimento è stato fatto da giovani come loro, e che oggi anche loro possono fare la differenza" ha detto la Meloni, che di fronte ad un ritratto di Mameli realizzato nel 1849 ha affermato: "Da anni sogno di vedere un giovane che indossi una maglietta con un'immagine di Mameli, che non ha niente da invidiare a personaggi come il Che. Finora la nostra storia e i giovani eroi risorgimentali non sono stati raccontati ai ragazzi con la giusta suggestione".
La Mostra itinerante
La mostra si articola in 24 pannelli documentari e fotografici che ripercorrono la vita dei giovani Garibaldi: con la madre nella breve fase iniziale, poi nell'ombra di un padre altrettanto carismatico quanto esigente, infine confrontati con gli impegni di vite necessariamente non banali. Nella luce del mito vivono anche le loro famiglie, con onori ma soprattutto oneri personali. Alcuni si fanno portatori di una complessa tradizione garibaldina : essa restituisce un protagonismo alla famiglia, ma é giustamente raccolta anche da movimenti che si pongono, nel suo nome, su posizioni politiche diverse.
La mostra ha per scopo di inaugurare una serie di studi sui figli di Giuseppe ed Anita, che passano da una riscoperta delle grandi linee delle loro biografie, ai loro volti, alle loro famiglie, ai loro immediati discendenti. Il mito che li ha avvolti é stato così presente nella storia d'Italia che loro stessi ne sono stati, o se ne sono sentiti, partecipi.
Questo primo approccio s'inserisce nel filone della mostra di ritratti d'Anita durante la breve vita italiana, presentata nel 2002 in Brasile, ed e preludio agli studi approfonditi che si svolgeranno in varie sedi quest'anno e negli anni successivi.
Il primo albero genealogico dei figli di Giuseppe ed Anita, fondato sui documenti anagrafici, è presentato nel Museo di Riofreddo (Lazio) Appare nel volume d'accompagnamento della mostra, e tra i primi pannelli. Seguono quattro pannelli che illustrano la formazione della famiglia e la sua vita tra Brasile ed Uruguay. I tre successivi presentano il periodo che va dall'arrivo a Nizza, nel 1848, al ritorno nella stessa città di Garibaldi dopo il secondo esilio. Negli anni successivi si snoda la gioventù di Menotti, Teresa e Ricciotti, vissuta militarmente o idealmente a fianco del padre, fino all'ultima guerra, quella dei Vosgi, nel 1871. Quello è il momento in cui l'iconografia avvolge Garibaldi ed i suoi figli in un unico mito. Il ritiro a Caprera di Giuseppe Garibaldi significa per i figli d'Anita tentare un difficile rientro nella vita civile. Con la morte di Garibaldi iniziano tre vite assai diverse. Seguono una serie di pannelli biografici di ognuno dei figli, mentre gli ultimi illustrano sinteticamente la dislocazione dei loro dei loro discendenti nel labirinto del '900. A grandi linee sono suggeriti il ruolo in Italia e la presenza nel mondo, alla stregua di tanti italiani che tra imprese coloniali e speranze di lavoro, si sono allontanati. Questa mostra è l'occasione di rintracciarli uno ad uno, seguendoli anche sulle strade del mondo, nel caso di molti discendenti di Teresa Garibaldi e Stefano Canzio, ma non solo, ed indicando alcuni luoghi della memoria affinché non si perda la traccia di questa affascinante e singolare vicenda.
La mostra ha tre percorsi:
Due percorsi italiani partono uno dal Lazio, nel mese di maggio ed uno da Cagliari durante l'estate. Il terzo è un percorso internazionale, che inizia in America Latina in autunno a cura dell'Istituto Italiano di Cultura di San Paolo del Brasile e dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo in Uruguay.
La mostra ha per scopo di inaugurare una serie di studi sui figli di Giuseppe ed Anita, che passano da una riscoperta delle grandi linee delle loro biografie, ai loro volti, alle loro famiglie, ai loro immediati discendenti. Il mito che li ha avvolti é stato così presente nella storia d'Italia che loro stessi ne sono stati, o se ne sono sentiti, partecipi.
Questo primo approccio s'inserisce nel filone della mostra di ritratti d'Anita durante la breve vita italiana, presentata nel 2002 in Brasile, ed e preludio agli studi approfonditi che si svolgeranno in varie sedi quest'anno e negli anni successivi.
Il primo albero genealogico dei figli di Giuseppe ed Anita, fondato sui documenti anagrafici, è presentato nel Museo di Riofreddo (Lazio) Appare nel volume d'accompagnamento della mostra, e tra i primi pannelli. Seguono quattro pannelli che illustrano la formazione della famiglia e la sua vita tra Brasile ed Uruguay. I tre successivi presentano il periodo che va dall'arrivo a Nizza, nel 1848, al ritorno nella stessa città di Garibaldi dopo il secondo esilio. Negli anni successivi si snoda la gioventù di Menotti, Teresa e Ricciotti, vissuta militarmente o idealmente a fianco del padre, fino all'ultima guerra, quella dei Vosgi, nel 1871. Quello è il momento in cui l'iconografia avvolge Garibaldi ed i suoi figli in un unico mito. Il ritiro a Caprera di Giuseppe Garibaldi significa per i figli d'Anita tentare un difficile rientro nella vita civile. Con la morte di Garibaldi iniziano tre vite assai diverse. Seguono una serie di pannelli biografici di ognuno dei figli, mentre gli ultimi illustrano sinteticamente la dislocazione dei loro dei loro discendenti nel labirinto del '900. A grandi linee sono suggeriti il ruolo in Italia e la presenza nel mondo, alla stregua di tanti italiani che tra imprese coloniali e speranze di lavoro, si sono allontanati. Questa mostra è l'occasione di rintracciarli uno ad uno, seguendoli anche sulle strade del mondo, nel caso di molti discendenti di Teresa Garibaldi e Stefano Canzio, ma non solo, ed indicando alcuni luoghi della memoria affinché non si perda la traccia di questa affascinante e singolare vicenda.
La mostra ha tre percorsi:
Due percorsi italiani partono uno dal Lazio, nel mese di maggio ed uno da Cagliari durante l'estate. Il terzo è un percorso internazionale, che inizia in America Latina in autunno a cura dell'Istituto Italiano di Cultura di San Paolo del Brasile e dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo in Uruguay.
sabato 4 giugno 2011
Unità d'Italia (riassunto)
Unità d'Italia 1861 -
Riassunto dell'Unità d'Italia (1859-1861) - Giuseppe Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II, Napoleone III, Giuseppe Mazzini, Roma capitale, Regno d'Italia, Spedizione dei Mille.
LA FORMAZIONE DELL'UNITÀ (1859-1861)
II guerra di indipendenza
> 1859
II generale austriaco Giulay tenta di prevenire l'arrivo dei Francesi, ma viene fermato dall'allagamento del Vercellese e della Lomellina. Congiungimento dell'esercito piemontese e di quello francese giunto dalle Alpi e dalla Riviera genovese.
> 20 maggio
Vittoria dei Franco-piemontesi a Montebello.
> 23 maggio
Garibaldi con i volontari «Cacciatori delle Alpi» varca il Ticino a Sesto Calende. Battaglia di Varese e di S. Fermo.
> 30/31 maggio
Vittorioso fatto d'armi piemontese a Palestro.
> 4 giugno
I Franco-piemontesi, varcato il Ticino a Boffalora, battono gli Austriaci nella battaglia di Magenta. Successo del generale Mac Mahon.
> 8 giugno
Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano in Milano. Ritirata austriaca nel Quadrilatero; il comando è assunto personalmente dall'imperatore Francesco Giuseppe.
> 23-24 giugno
Battaglia di S. Martino e Solferino. Ritirata austriaca. La scarsa popolarità della guerra in Francia, osteggiata dalla corte e dall'imperatrice, il pericolo di un intervento prussiano, la preoccupazione di Napoleone III che l'Italia (moti annessionistici del Centro) si avvii all'unità, spingendosi così oltre i limiti convenuti a Plombières, inducono l'imperatore francese a porre termine alla guerra col
Convegno di Villafranca. I due imperatori stipulano l'armistizio. Cessione della Lombardia fino al Mincio alla Francia, perché la consegni a Vittorio Emanuele II.
Dimissioni di Cavour.
> 10 novembre
Pace di Zurigo. Clausola della restaurazione dei legittimi sovrani nell'Italia Centrale (ma senza intervento armato). Le decisioni relative alla situazione italiana sono demandate a un congresso delle grandi potenze.
I moti dell'Italia Centrale e le annessioni
> 27 aprile 1859
Una grande manifestazione popolare a Firenze guidata dal mazziniano Giuseppe Dolfi convince il Granduca ad abbandonare la città. Governo provvisorio presieduto da Bettino Ricasoli. Carlo Buoncompagni, commissario di Vittorio Emanuele II, non accetta la «dittatura» offerta al re dai Fiorentini. I ducati cacciano i loro sovrani; insurrezione di Bologna e delle Legazioni; repressione delle truppe pontificie nelle Marche e in Umbria (eccidio di Perugia). A Parma, Modena e Bologna, dopo il richiamo dei commissari piemontesi (in base agli accordi di Villafranca), si formano le «dittature» di Manfredi, Farini e Cipriani, e viene costituita (insieme alla Toscana) una forza militare comune agli ordini di Manfredo Fanti e Garibaldi. Il fallimento dei piani napoleonici (confederazione italiana, sotto l'egemonia francese) sull'Italia orienta il governo britannico a favore della soluzione unitaria.
> 21 gennaio 1860
Ritorno al potere di Cavour, che succede al ministero Lamarmora-Rattazzi. Cavour indice i plebisciti in Emilia e Toscana.
> 11/12 marzo
La Toscana (con 366.571 voti contro 19.869) e l'Emilia (con 462.000 voti contro 1056) votano l'annessione al Piemonte.
> 15 aprile
Nizza e Savoia votano con un plebiscito per l'annessione alla Francia.
Spedizione dei Mille
A Ferdinando II di Napoli succede, nel 1859, il figlio Francesco II, incapace di dominare la difficile situazione interna.
> 4 aprile 1860
I rintocchi del campanile della Gancia danno il segnale della rivolta a Palermo. Il moto, represso in città, dilaga nelle campagne siciliane; il mazziniano Rosolino Pilo contribuisce a tenere desta la rivolta; Francesco Crispi incita Garibaldi a uno sbarco.
> 5-6 maggio
Garibaldi salpa dallo scoglio di Quarto (Genova) con un migliaio di volontari (camicie rosse) sulle navi «Lombardo» e «Piemonte». Cavour, che non approva le intenzioni del generale, tenta invano di fermarlo, mentre l'iniziativa trova consenziente Vittorio Emanuele.
> 11 maggio
Dopo una sosta a Porto Talamone, dove viene sbarcato un piccolo gruppo (Zambianchi) per tentare una spedizione contro lo Stato Pontificio, Garibaldi approda a Marsala. Navi inglesi ancorate nel porto favoriscono lo sbarco.
> 13 maggio
Proclama di Salemi; Garibaldi assume la dittatura dell'isola in nome di Vittorio Emanuele II.
> 15 maggio
Vittorioso scontro a Calatafimi. Il popolo accoglie con entusiasmo il liberatore. > 30 maggio
Dopo una dura lotta di tre giorni, cui partecipa anche la popolazione della città, i garibaldini conquistano Salemi. Impadronitosi della Sicilia, Garibaldi varca lo Stretto di Messina e risale vittoriosamente la penisola verso Napoli mentre l'esercito borbonico si sgretola.
> 7 settembre
Entrata trionfale a Napoli. I successi del dittatore preoccupano le cancellerie europee, tanto più che Garibaldi ha intenzione di marciare su Roma. Cavour ne approfitta per strappare a Napoleone III il consenso a una spedizione piemontese nelle Marche e nell’Umbria.
> 18 settembre
I Piemontesi (generale Cialdini) sconfiggono le deboli truppe pontificie a Castelfidardo. Caduta di Ancona.
> 8 novembre
Vittorio Emanuele, giunto nel Napoletano attraverso gli Abruzzi, si incontra a Teano con Garibaldi che rimette nelle mani del re il Mezzogiorno e parte per Caprera.
> 1860, ottobre-novembre
Nuovi plebisciti sanzionano l'annessione del Regno di Napoli, delle Marche e dell'Umbria.
> 1861, gennaio-marzo
Cessa l'estrema resistenza borbonica a Gaeta e Messina.
> 17 MARZO
CON VOTAZIONE UNANIME, IL PARLAMENTO TORINESE PROCLAMA VITTORIO EMANUELE II «PER GRAZIA DI DIO E VOLONTÀ DELLA NAZIONE» RE D'ITALIA.
> 27 marzo
Dopo un discorso di Cavour («libera Chiesa in libero Stato») la Camera proclama Roma capitale del Regno d'Italia.
> 6 giugno 1861
Morte di Cavour.
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