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giovedì 22 ottobre 2015
La rivoluzione del 1820-1821 a Napoli e in Sicilia
Il successo della rivoluzione in Spagna, dove il 7 marzo 1820 fu reintrodotta la Costituzione di Cadice del 1812, si riverberò con particolare evidenza nel Regno delle due Sicilie, determinando un intenso lavorio tra i carbonari e i militari favorevoli alla Costituzione. Dopo una serie di tentativi falliti sul nascere, nella notte tra il 1° e il 2 luglio 1820, una trentina di carbonari della vendita di Nola, guidati dal prete Luigi Minichini, e 127 sottufficiali e soldati del reggimento di cavalleria Borbone, comandati dal tenente Michele Morelli e dal sottotenente Giuseppe Silvati, diedero inizio ad un moto insurrezionale, dirigendosi verso Avellino.La mattina del 3 luglio Morelli entrò in città e cedette pubblicamente il comando delle forze ribelli al tenente colonnello De Concilj, capo delle truppe locali. Contemporaneamente, le vendite del foggiano, della Calabria, della Basilicata, insieme alle milizie provinciali e alle truppe di linea, insorsero col favore delle popolazioni, rendendo difficoltose le comunicazioni tra Napoli, la Puglia e la Calabria, e condannando così al fallimento l'iniziale tentativo di repressione affidato al generale CarascosaNella notte tra il 5 e il 6 luglio, poi, il generale Guglielmo Pepe fece insorgere due reggimenti di cavalleria e uno di fanteria in stanza a Napoli e si diresse verso Avellino, dove la sera del 6 assunse il comando di tutte le forze ribelli.Lo stesso 6 luglio il re Ferdinando I acconsentì alla formazione di un governo costituzionale e nominò il principe ereditario Francesco, duca di Calabria, vicario del Regno.
venerdì 1 maggio 2015
Nel 1860, dopo lo sbarco in Sicilia, circa 50 mila volontari si unirono a
Garibaldi. Fu la componente militare democratica del Risorgimento. Ma ben
presto sarebbe stata liquidata dalla monarchia sabauda. Per quali ragioni?
«Il fenomeno del volontariato patriottico è assai complesso», spiega lo
storico Vittorio Scotti Douglas, allievo di Franco Della Peruta e massimo
studioso italiano della guerriglia risorgimentale. «È un' epopea quasi
sconosciuta, cui hanno partecipato decine di migliaia di italiani, spesso di
umili origini, di cui fino ad oggi si ignorava anche il nome. Le vicende del
volontariato sono un filo rosso continuo che si può seguire durante tutto il
Risorgimento, arrivando fino alla Guerra civile spagnola. In un certo senso,
si può dire che il volontariato italiano comincia in Spagna, dopo il
fallimento della rivoluzione liberale piemontese del 1821, e vi finisce,
quasi centovent' anni dopo». L' anno cruciale è il 1860, con l' impresa dei
Mille e la conquista della Sicilia. «La politica di Cavour fu quella del
"doppio binario": da un lato promettere alla Francia che non ci
sarebbero stati interventi militari nel Mezzogiorno o contro lo Stato
pontificio, dall' altro appoggiare in modo sotterraneo l' iniziativa
garibaldina, in realtà tutta fondata e costruita grazie alla struttura
cospirativa mazziniana e ai suoi uomini migliori, Crispi, Fabrizi, Bertani,
La Masa, Bixio, e il fondamentale Rosalino Pilo. Dopo la presa di Palermo i
Mille si erano ridotti a poco più di 600, ma il 18 giugno cominciarono ad
arrivare i rinforzi dall' Italia: 2500 uomini al comando di Giacomo Medici, e
poi via via altri contingenti, per oltre 20 mila volontari. Proseguiva
parallelamente l' azione di propaganda e reclutamento locale, per costituire
l' esercito meridionale. Questo esercito, che poté contare su 51 mila uomini,
di cui oltre 30 mila meridionali, venne rapidamente smantellato già nel
novembre dello stesso anno». Che cosa temevano Vittorio Emanuele II e Cavour?
«La nuova Italia sabauda non voleva immettere nel proprio esercito una massa
di potenziali repubblicani, assertori della conquista di Roma, e in qualche
caso addirittura di idee socialiste. Si arrivò allo scontro tra Cavour e
Garibaldi nell' aprile 1861.
Con lo scioglimento dell' esercito meridionale tramontava l' ultimo tentativo del partito democratico perché si impiegassero le forze popolari nella liberazione della patria. Aveva così termine il sogno della nazione armata e del cittadino-soldato. Ma il volontariato, ormai si può parlare di volontariato garibaldino, non aveva cessato di esistere, come provano i tentativi di liberare Roma, frustrati nel sangue, di Aspromonte nel 1862 e di Mentana nel 1867. E ancora gli italiani correvano a morire per aiutare altri popoli ad acquistare la libertà: così nel maggio 1863 Francesco Nullo "il bello dei Mille", ma anche "il Garibaldi del Nord", cadeva eroicamente in Polonia con un pugno di volontari italiani accorsi ad aiutare i polacchi insorti contro i russi». Dell' esercito meridionale, o meglio dell' armata perduta di Garibaldi, si sa ben poco. «È più corretto dire che si sapeva fino a oggi ben poco. Certo, si sapeva che nell' Archivio di Stato di Torino esisteva una gran quantità di materiale mai studiato, e praticamente tutto inedito. Ma nessuno vi aveva mai posto mano. In tempi di gretti provincialismi e di brividi secessionisti, rileggere con attenzione quelle carte ci consente di far uscire dall' ombra le figure di soldati ignoti, in gran parte meridionali». Il riordino delle carte custodite all' Archivio di Stato di Torino è dunque importante. «Certo. E per vari motivi. Per esempio si potrebbe far luce sul fenomeno del volontariato straniero in Italia in quel periodo, fenomeno di cui si conosce l' esistenza ma si ignora l' esatta consistenza. E soprattutto sarebbe un' opera meritoria e degna restituire alla conoscenza degli italiani di oggi i nomi e le vicende di questi nostri oscuri antenati, un modo sommesso e austero per dir loro adesso il "grazie" che la burocrazia sabauda volle negare quasi centocinquant' anni fa». |
venerdì 10 aprile 2015
Costanza Alfieri d’Azeglio
Tra le donne della famiglia Alfieri, tutte personalità notevolissime che incisero non solo sul destino della propria famiglia ma anche su quello dell’aristocrazia piemontese, spicca Costanza Alfieri d’Azeglio (1793-1862), donna aperta d’animo e di mente, sorella di Cesare e moglie di Roberto d’Azeglio, fratello di Massimo.Sono celebri le lettere che indirizzò al figlio dalle quali è possibile ricostruire la cerchia di parenti e amici che la gentildonna frequentava continuamente: Cesare Alfieri, Massimo d’Azeglio, Guglielmo Moffa di Lisio, Cesare Balbo, Giacinto di Collegno, Camillo di Cavour e Alfonso La Marmora.Lo stesso Massimo d’Azeglio accenna a Costanza e al marito con affetto sincero nei suoi Ricordi: “Il nome che lasciarono di sé fu quello di veri benefattori del popolo. Ambedue tenevano scuola a proprie spese per i figli dei poveri, nei quali impiegavano somme non piccole.”
lunedì 16 febbraio 2015
Ridolfi Cosimo
Firenze, 1794 – ivi, 1865
Marchese. Uomo politico. Membro dell'Accademia dei georgofili, fondò nel 1827 il «Giornale agrario toscano», con Lambruschini e Vieusseux. Deputato della Consulta (1847), da ministro dell'Interno realizzò l'annessione di Lucca al Granducato e represse le agitazioni democratiche di Livorno. Presidente del Consiglio dal giugno al luglio 1848, fu inviato in missione in Francia e in Inghilterra dal successivo gabinetto Capponi. Avverso al governo democratico di Guerrazzi, fu tuttavia contrario all'intervento austriaco. Ritiratosi dalla vita pubblica, tornò in politica nel 1859 come ministro dell'Istruzione e ad interim degli Esteri del governo della Toscana. Dal 1860 fu senatore del Regno.
Marchese. Uomo politico. Membro dell'Accademia dei georgofili, fondò nel 1827 il «Giornale agrario toscano», con Lambruschini e Vieusseux. Deputato della Consulta (1847), da ministro dell'Interno realizzò l'annessione di Lucca al Granducato e represse le agitazioni democratiche di Livorno. Presidente del Consiglio dal giugno al luglio 1848, fu inviato in missione in Francia e in Inghilterra dal successivo gabinetto Capponi. Avverso al governo democratico di Guerrazzi, fu tuttavia contrario all'intervento austriaco. Ritiratosi dalla vita pubblica, tornò in politica nel 1859 come ministro dell'Istruzione e ad interim degli Esteri del governo della Toscana. Dal 1860 fu senatore del Regno.
mercoledì 11 febbraio 2015
Borbone , la sanguinaria dinastia di carnefici nel sud Italia
Califfato delle Due Sicilie ,testimonianze di viaggiatori sulle condizioni del popolo.Napoli , con i suoi 400 mila abitanti , nel 1850 e ‘la terza citta’ d’europa . Migliaia e migliaia di persone vivono ammassate in tuguri e nei bassi , o anche all’aperto , mentre tutto intorno a loro c’e un lusso sfrenato di cui usufruiscono i nobili e i cortigiani dei Borboni . Il lavoro e’ un caso e la sopravvivenza legata a piccole azioni illegali e criminali che non vengono mai perseguite . Esistono gruppi di poveri derelitti , chiamati “ Lazzari “ perche’ vestono di poveri stracci . Nonostante la miseria e le difficolta’ quotidiane i Lazzari vedono , nei consumi sfrenati della Corte , l’unica possibilita’ di sopravvivenza . Il loro attaccamento alla monarchia non e’ dovuto a motivi ideali , ma perché dalle briciole che lascia loro la Corte dipende la loro sopravvivenza .“ Che cosa non darei perché tu potessi vedere i lazzaroni come sono in realtà: meri animali, squallidi, abietti, miserabili, per l'ingrasso dei pidocchi; goffi, viscidi, brutti, cenciosi, avanzi di spaventapasseri!. Non lavorano , si nutrono , non sono perseguiti dalla giustizia perché’ assieme ai camorristi e agli sbirri garantiscono la sopravvivenza della monarchia minacciata dalle istanze liberali e dei patrioti che vogliono l’Unità d’Italia . “" E' la Sicilia dei Borboni , la Sicilia del Reame di Napoli . L'isola e' incredibilmente povera e incredibilmente arretrata . Non ci sono veicoli a ruata di nessuna specie , ne' calessi , ne' carrozze , fuori dalla citta ' . Tutto viene caricato su asini e muli . Gli uomini viaggiano in arcioni o a piedi , o se malati , in una lettiga adattata sul dorso del mulo . La terra e' nelle mani dei grandi proprietari terrieri , i contadini sono quasi schiavi . Tutto e' insomma altrettanto povero e selvaggio "" LI' cominciammo ad imparare che non e' la bellezza , ne' la ricchezza naturale di un Paese che fanno il benessere dei suoi abitanti " Attualmente, l'oppressione politica, amministrativa, e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti. Ma quasi tutte le terre sono ancora nelle mani di un numero relativamente piccolo di latifondisti o baroni. In Sicilia vengono tuttora mantenuti i diritti medievali del possesso della terra, salvo che chi coltiva non è più un servo della gleba; non lo è più circa dall'undicesimo secolo, quando divenne un libero fittavolo. Le condizioni dell'affitto sono, tuttavia, generalmente così oppressive, che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell'esattore delle imposte e del barone, producendo a malapena qualcosa in più rispetto alle imposte e all'affitto, e rimanendo essi stessi o disperatamente, o almeno relativamente, poveri. Pur producendo il famoso grano siciliano e frutti eccellenti, costoro vivono miseramente di fagioli tutto l'anno.
Ora la Sicilia è di nuovo insanguinata, e l'Inghilterra è la distaccata spettatrice di queste nuove orge dell'infame Borbone, e dei suoi non meno infami favoriti, laici o clericali, gesuiti o uomini d'arme. I chiassosi declamatori del parlamento britannico riempiono l'aria di vuote chiacchiere sulla Savoia e i pericoli della Svizzera, ma non hanno neppure una parola da dire sui massacri delle città siciliane. Non un grido di indignazione si leva in tutta Europa. Nessun capo di governo e nessun parlamento chiede la messa al bando di quell'idiota assetato di sangue di Napoli). Solo Luigi Napoleone, per questo o quello scopo - naturalmente non per amore della libertà, ma per rafforzare la sua famiglia o l'influenza francese - può forse fermare il macellaio nella sua opera distruttiva. L'Inghilterra griderà alla perfidia, sputerà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione napoleonica, ma i napoletani e i siciliani saranno alla fin fine i vincitori, anche sotto un Murat o qualsiasi nuovo dominatore. Ogni cambiamento non sarà che verso il meglio.
Ora la Sicilia è di nuovo insanguinata, e l'Inghilterra è la distaccata spettatrice di queste nuove orge dell'infame Borbone, e dei suoi non meno infami favoriti, laici o clericali, gesuiti o uomini d'arme. I chiassosi declamatori del parlamento britannico riempiono l'aria di vuote chiacchiere sulla Savoia e i pericoli della Svizzera, ma non hanno neppure una parola da dire sui massacri delle città siciliane. Non un grido di indignazione si leva in tutta Europa. Nessun capo di governo e nessun parlamento chiede la messa al bando di quell'idiota assetato di sangue di Napoli). Solo Luigi Napoleone, per questo o quello scopo - naturalmente non per amore della libertà, ma per rafforzare la sua famiglia o l'influenza francese - può forse fermare il macellaio nella sua opera distruttiva. L'Inghilterra griderà alla perfidia, sputerà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione napoleonica, ma i napoletani e i siciliani saranno alla fin fine i vincitori, anche sotto un Murat o qualsiasi nuovo dominatore. Ogni cambiamento non sarà che verso il meglio.
lunedì 2 febbraio 2015
Bernardino Verro
Nel 2015 si commemora la tragica uccisione mafiosa del patriota e sindaco socialista di Corleone,Bernardino Verro.Tra i capi dei Fasci siciliani nella stagione rivoluzionaria 1890-94, dopo aver militato nelle file dei garibaldini repubblicani di Ricciotti, rappresentò per la Sicilia e in particolare per Corleone l'alternativa progressista al latifondo e alla mafia. Dopo essere stato scarcerato nel 1895 dopo la repressione crispina si dedicò con entusiamo alla rinascita di Corleone, nell'entroterra palermitano, riprendendo le gloriose lotte contro il latifondo e i gabelloti mafiosi già iniziate all'indomani del 1860.La sua uccisione fu una vera congiura ordita dai mafiosi locali e dai servizi repressivi sabaudi del tempo.Questo tipo di congiure tra "Stato" e mafia sono all'origine di una tradizione di sangue che si allunga fino a PiazzaFontana e alle varie "Trattative".Corleone sul suo esempio avrà altri capi popolo ed eroi popolari come Placido Rizzotto che rappresenteranno sempre una alternativa credibile al sottosviluppo e ai conplotti di regime!
martedì 27 gennaio 2015
Artom Isacco
Asti, 1829 – Roma, 1900
Diplomatico. Volontario nel 1848, fu collaboratore dal 1850 al 1857 del «Crepuscolo» e dell'«Opinione». Segretario particolare di Cavour (1858-61), fu, insieme a Costantino Nigra, il principale e intelligente esecutore delle direttive dello statista piemontese.Di loro Cavour scrisse: «Collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozi i più delicati e difficili d'ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo».Con quelle parole il conte replicava alle accuse del foglio cattolico «Armonia» che lo accusava della «specialissima confidenza» che intratteneva con «un ebreo, applicato al suo gabinetto particolare, nel ministero dell'estero». Nel 1861 Artom fu inviato a Parigi in missione straordinaria al fine di sondare Napoleone III sul problema del Veneto.Svolse poi altri incarichi diplomatici a Parigi e Copenaghen. Segretario generale al ministero degli Esteri (1870), collaborò con Emilio Visconti Venosta fino al 1876, anno nel quale fu nominato senatore.
Diplomatico. Volontario nel 1848, fu collaboratore dal 1850 al 1857 del «Crepuscolo» e dell'«Opinione». Segretario particolare di Cavour (1858-61), fu, insieme a Costantino Nigra, il principale e intelligente esecutore delle direttive dello statista piemontese.Di loro Cavour scrisse: «Collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozi i più delicati e difficili d'ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo».Con quelle parole il conte replicava alle accuse del foglio cattolico «Armonia» che lo accusava della «specialissima confidenza» che intratteneva con «un ebreo, applicato al suo gabinetto particolare, nel ministero dell'estero». Nel 1861 Artom fu inviato a Parigi in missione straordinaria al fine di sondare Napoleone III sul problema del Veneto.Svolse poi altri incarichi diplomatici a Parigi e Copenaghen. Segretario generale al ministero degli Esteri (1870), collaborò con Emilio Visconti Venosta fino al 1876, anno nel quale fu nominato senatore.
lunedì 12 gennaio 2015
l terremoto del 1693 e la festa del patrocinio di Santa Rosalia
Correva l’anno 1693 ed esattamente la domenica 11 gennaio. Nelle prime ore del pomeriggio, un violento terremoto con epicentro in Val di Noto distrugge quasi tutta la Sicilia Orientale, danneggiando circa 60 tra città e paesi e provocando quasi 60.000 vittime.La città di Catania venne completamente distrutta e la sua popolazione di 27.000 abitanti contò ben 18.000 morti. Sicuramente è stato il più catastrofico movimento sismico che abbia colpito la Sicilia nei secoli della sua storia. Palermo – secondo quanto ci racconta nel suo diario il canonico Antonino Mongitore – fu presa dallo spavento ma non ebbe alcun danno nè agli edifici e nè alle persone e ciò si attribuì all’intercessione della Santa Vergine Rosalia che proprio qualche anno prima, esattamente nel 1625, aveva liberato la città dalla peste.Le cronache del tempo testimoniano l’accaduto e un certo Padre Stanislao Alberti, gesuita, racconta che molte case pericolanti caddero dopo che tutti gli abitanti le abbandonassero e ciò non può che ritenersi un intervento divino. Per questo avvenimento il Vicerè duca di Osuna si recò a piedi in pellegrinaggio, con numeroso popolo al seguito, alla grotta del Monte Pellegrino in rendimento di grazie. L’Arcivescovo Ferdinando di Bazan celebrò Messa solenne in cattedrale innanzi la cappella delle reliquie e la sera si cantò il vespro solenne con la presenza del Vicerè e del Senato cittadino e di tutti i magistrati civici.Da quell’anno il Senato palermitano istituì la festa del patrocinio in memoria dello scampato terremoto e annualmente si iniziò a celebrare in Cattedrale il triduo solenne che culminasse il giorno dell’anniversario con il Te Deum e la processione delle reliquie. Nel 1693 la festa si celebrò ad un mese dell’avvenimento esattamente l’11 febbraio e la sera della vigilia, dopo il vespro, l’Arcivescovo e il Senato fece voto di celebrare annualmente questa ricorrenza che venne estesa a tutta l’Arcidiocesi.Questa festività si celebrò solennemente almeno fino al 1866 secondo quando ci riporta il diario di Gaspare Palermo che ci descrive le funzioni dei due giorni: “10 (gennaio) La sera l’Eccellentissimo Senato si porta al Duomo ed assiste al Te Deum, alla processione del Venerabile (S.S. Sacramento) nella Chiesa, alla Benedizione ed al Vespro in ringraziamento a S. Rosalia […]. 11 (gennaio) Commemorazione solenne di Santa Rosalia. L’Eccellentissimo Senato si porta al Duomo, assiste alla Messa cantata ed al Panegirico e poi alla Processione delle reliquie della Santa […]. Alle ore 21 (che anticamente corrispondevano alle tre del pomeriggio proprio l’ora in cui avvenne la scossa sismica) si canta il Te Deum in tutte le Chiese Sacramentali, si dà la benedizione del Divinissimo e suonano le campane tutte della città”.Un’altra festa commemorativa si celebrava con cerimonie analoghe anche il 5 marzo in ricordo del terremoto del 1823. Dopo l’Unità d’Italia, cui seguì la soppressione degli Ordini religiosi e l’abolizione dell’antico Senato, questi anniversari commemorativi caddero in disuso finendo nel dimenticatoio. Oggi non si celebra più in Cattedrale neanche una Messa che ricordi questo evento, mentre in molti paesi dell’Isola in questo giorno si effettuano processioni e funzioni commemorative in rendimento di grazie.Noi palermitani, purtroppo, siamo afflitti da memoria corta.
mercoledì 7 gennaio 2015
Domani, 7 gennaio, la festa a Reggio del 218° anniversario del Primo Tricolore
Domani, mercoledì 7 gennaio 2015, Festa nazionale della Bandiera, si celebrerà a Reggio Emilia la nascita del Primo Tricolore, che vide la luce proprio nella città emiliana il 7 gennaio 1797, quale bandiera della Repubblica Cispadana. Come ogni anno, la ricorrenza coinvolgerà istituzioni e cittadini nel riaffermare, attraverso il vessillo nazionale, i valori della Costituzione, della Repubblica, della Cittadinanza e dell’unità del Paese.Ospite delle celebrazioni, in qualità di rappresentante delle istituzioni nazionali, sarà il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Paolo Gentiloni, mentre il regista e sceneggiatore Giorgio Diritti terrà una Lectio magistralis.Ai tre principali momenti delle celebrazioni – l’Alzabandiera e gli onori militari in piazza Prampolini, l’incontro con gli studenti in Sala del Tricolore e gli interventi istituzionali al teatro Ariosto – parteciperanno inoltre il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, il presidente della Provincia Gianmaria Manghi, il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini.Le celebrazioni istituzionali inizieranno alle ore 10.30 in piazza Prampolini, con la cerimonia alla presenza del ministro Gentiloni e delle autorità civili e militari: Onori militari, Alzabandiera ed esecuzione dell’Inno nazionale. Parteciperanno un reparto della storica Guardia civica e i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma e saranno presenti i gonfaloni della Città di Reggio, della Provincia e della Regione; della Bandiera del Reggimento artiglieria contraerei Ravenna; del Medagliere dell’Istituto del Nastro Azzurro, dei Medaglieri e Labari delle Associazioni combattentistiche e d’Arma.Alla cerimonia, alla quale sarà presente il comandante regionale dell’Esercito, generale di divisione Antonio Li Gobbi, parteciperà un reparto di formazione interforze. Il reparto sarà composto, oltre che dal comandante di compagnia del 2° reggimento Genio pontieri di Piacenza, dal 2° reggimento Genio Pontieri, dalla Marina militare del comando marittimo nord di La Spezia, dall’Aeronautica militare della 1^ brigata aerea operazioni speciali di Cervia, dalla Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Emilia. La fanfara della Brigata alpina Julia scandirà i diversi momenti della cerimonia.La presenza della Bandiera di Guerra del 2° reggimento Genio pontieri suggellerà la solennità della manifestazione. La bandiera, custodita da ciascuna unità militare, è l’insegna che racchiude e testimonia le tradizioni delle unità e l’essenza dell’amor di patria.La manifestazione proseguirà, alle ore 11, nella storica Sala del Tricolore, con la consegna della Costituzione italiana a delegazioni di studenti (l’accesso alla Sala sarà possibile con tessera-pass rilasciata dal Comune di Reggio Emilia).Alle 11.30, nel teatro Ariosto di piazza della Vittoria, si svolgerà l’incontro del ministro Gentiloni con le autorità civili e militari, i rappresentanti di istituzioni, associazioni e studenti. Qui interverranno il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, il presidente della Provincia Gianmaria Manghi, il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini. A seguire, l’intervento del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Paolo Gentiloni. Infine, si terrà la Lectio magistralis di Giorgio Diritti, regista e sceneggiatore, arricchita da materiali multimediali (ingresso a invito).LE INIZIATIVE NELL'AMBITO DELLA FESTA DEL TRICOLORE Sarà un pomeriggio intenso. Nel pomeriggio del 7 gennaio, il programma delle iniziative dedicate al 218° anniversario del Primo Tricolore prevede, alle 15.30, nella Sala del Tricolore, una cerimonia promossa dall’associazione nazionale ‘Comitato Primo Tricolore’, con una Lectio magistralis del Vescovo Massimo Camisasca sul tema “L’educazione al Tricolore”, al quale verrà inoltre consegnato il Primo Tricolore. Seguirà la consegna dei premi “Primo Tricolore” e sarà possibile vedere l’esposizione “Domenica del Corriere: 1915-1918 – Centenario”.Alle 17.30, nell’Aula Magna ‘Pietro Manodori’ dell’Università di Modena e Reggio Emilia (viale Allegri 9), si terrà il convegno ‘Antonio Panizzi, un letterato, un patriota, un reggiano ’, con una Lectio magistralis di Denis Ready, direttore della British Library di Londra. L’iniziativa è promossa da Rotary Club Reggio Emilia e Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, con il patrocinio del Comune di Reggio Emilia.Mercoledì 7 gennaio sarà possibile visitare il Museo del Tricolore, all’interno del palazzo municipale, che effettuerà un’apertura straordinaria dalle ore 12 alle 18.In occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, commemorato nel corso dell’anno appena trascorso, è stata realizzata la mostra “Dalla guerra alla pace: giornali originali dei paesi belligeranti (1914-1919)”, che viene allestita e inaugurata a Palazzo Casotti (piazza Casotti 1), in occasione delle celebrazioni del Tricolore, mercoledì 7 gennaio alle ore 15. Questi i giorni e gli orari in cui sarà possibile visitare l’esposizione: mercoledì 7 gennaio dalle ore 15 alle 17.30, poi da giovedì 8 fino a domenica 11 gennaio dalle ore 10 alle 13 e nel pomeriggio dalle ore 16 alle 18.30. La mostra è a cura di: Comune di Comune di Reggio Emilia, Unuci di Reggio Emilia, Ingortp, La Squadriglia del Grifo del Museo Francesco Baracca di Lugo di Romagna, Centro di documentazione La Palazza di Budrio di Cotignola. Insomma, una giornata piena di impegni, quindi... buon compleanno Primo Tricolore.
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