lunedì 21 dicembre 2009

Alessandro La Marmora

Alessandro La Marmora è l'ottavo dei tredici figli del marchese Celestino Ferrero della Marmora, capitano nel reggimento d’Ivrea, e della contessa Raffaella Argentero di Bersezio. Nacque a Torino alle 9.30 del 27 marzo 1799 e gli furono imposti i nomi di Alessandro Evasio Maria; come padrino ebbe il fratello Carlo Emanuele e madrina la sorella Cristina. All’età di 10 anni, Alessandro venne nominato, con altri undici bambini, paggio del principe Camillo Borghese, cognato di Napoleone e governatore dei possedimenti francesi al di qua delle Alpi. Il 28 luglio 1814, al ritorno dei Savoia in Piemonte dopo il periodo napoleonico, il re Vittorio Emanuele I nominò Alessandro Ferrero della Marmora sottotenente soprannumerario nel reggimento delle guardie. Nell’aprile del 1815 venne nominato sottotenente nei granatieri scelti. Alessandro dimostrò sin dall’inizio dei suoi studi un vivo interesse per le discipline scientifiche: il suo pallino era ottenere un fucile a retrocarica e per questo lavorava assiduamente ad un tornio costruendo congegni meccanici. Nell'improvvisata officina, una pompa rudimentale gli scoppia tra le mani causandogli un'ulteriore ferita al volto. Il 22 agosto del 1817 gli venne conferito il grado di luogotenente d’ordinanza nel medesimo corpo. Il 19 gennaio 1822 Carlo Felice conferì «l’Abito e Croce di giustizia della Sacra Religione dell’Ordine Militare dei Santi Maurizio e Lazzaro a favore del Vassallo Alessandro Evasio Maria Ferrero della Marmora, Luogotenente nel reggimento Granatieri Guardie». L’anno seguente, il re Carlo Felice promosse il conte Alessandro della Marmora capitano di categoria permanente per aver sempre soddisfatto «con esattezza e sollecitudine a’ propri doveri e [per essersi mostrato] in ogni circostanza animato da sentimenti di leale devozione» verso la Corona. Dopo i moti del 1821, ai quali Alessandro si mantiene estraneo, vi fu un periodo di relativa calma. Mentre la maggior parte degli ufficiali frequentano gli eleganti ritrovi della capitale, corteggiando le giovani dame, Alessandro La Marmora consacra il tempo libero alla caccia ed agli studi. L'esercito piemontese era ricco di gloriose memorie e celebre per i suoi condottieri, ma l'epopea napoleonica ha sconvolto gli eserciti e la loro preparazione. Così si esprime col fratello "Non sanno sparare, non sanno marciare, né sanno di manovre. In compenso lucidano la divisa tutti i giorni". Alessandro studia a fondo, mediante continue marce in montagna, le valli della cerchia alpina biellese, le boscaglie e le colline (oltre ad essere un esperto cacciatore è anche un formidabile camminatore, tanto che si reca spesso da Biella a Torino a piedi), e si rende conto della necessità di creare un nuovo strumento per superare le constatate difficoltà che si presentavano all’offesa e alla difesa dei confini dello Stato.
Per mettere a punto le sue riforme, intraprende, completamente a sue spese, lunghi viaggi in Francia, Inghilterra, Baviera, Sassonia, Svizzera, Tirolo, al fine di studiare armi, ordini, istituzioni delle milizie scelte dei vari eserciti. Indagò minuziosamente sui vari armamenti in dotazione agli eserciti stranieri; impiantò nella propria casa un’officina da meccanico e fabbro, e con pericolose esperienze creò l’arma più adatta per il suo nuovo corpo; tale arma doveva essere: leggera, maneggevole, fornita di un puntale aguzzo nel calcio, come egli stesso scrisse «onde render facile lo scalar picchi, il saltar fossi e crepe, lo scavalcar siepi e muretti», doveva inoltre essere a caricamento rapido, di maggiore portata e precisione. Nel 1831 formulò la «Proposizione per la formazione di truppe leggiere della terza specie sotto la denominazione di Bersaglieri». Fra il primo concepimento di tale progetto e la sua attuazione trascorse un periodo di cinque lunghi anni. Intanto Alessandro continuò a servire come capitano nei Granatieri.
Nel 1835 il capitano La Marmora presentava al re Carlo Alberto la sua «Proposizione per la formazione di una compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per suo uso». Ma solo nell’anno seguente, dopo la sistematica opposizione del ministro della guerra Villamarina, si crearono le compagnie di fanteria dette di "bersaglieri", destinate all’impiego di armi rigate. A chi giunge primo nella corsa dà uno scudo dalla sua borsa ed egli stesso, cacciatore e gran camminatore, non esita dal mettersi in gara. Si disse che, subito dopo la costituzione del corpo, il Re partisse per Genova in calesse. La 1a compagnia dopo gli onori corre per scorciatoie sulle colline e si rischiera a Villanova D'asti lasciandolo incredulo e convinto di trovarsi di fronte ad una seconda compagnia.
Il 30 gennaio 1836 la divisione di fanteria del ministero presentava al re una relazione, nella quale erano esposte le norme generali secondo le quali sarebbe stato possibile creare un corpo di Bersaglieri. Suo scopo doveva essere quello di "compiere guerra minuta, avanguardia o esplorazione, fiancheggiamento, infestare le comunicazioni e i convogli nemici, andare per siti montuosi alla scoperta di facili piste anche sul confine". Si proponeva perciò che questi Bersaglieri si muovessero rapidamente, esercitandosi in estate soprattutto nelle marce forzate, andando per tali esercitazioni in siti montuosi e specialmente lungo i confini dello Stato, affinché percorrendoli acquistassero conoscenza del terreno e dei vari passi. Il 18 giugno 1836, il re Carlo Alberto «institu[iva] nell’Armata un Corpo di Bersaglieri». Dopo aver firmato l’atto di nascita del corpo, e nominato il maggiore Alessandro Ferrero della Marmora comandante dei Bersaglieri, il 30 gennaio 1840 lo promosse luogotenente colonnello confermandolo comandante del corpo. Successivamente il re gli donò la croce di Malta con una pensione di lire 1.500. Il 9 aprile 1844 il La Marmora fu promosso colonnello e il 6 febbraio 1845 fu insignito di una commenda dell’ordine di San Giovanni in Gerusalemme da lire 2.000 annue. Alessandro La Marmora guidò personalmente i suoi Bersaglieri al battesimo del fuoco, l’8 aprile 1848 nella battaglia di Goito. Parte della seconda compagnia, guidata dal La Marmora in persona, con un attacco alla baionetta impedì alle truppe che presidiavano il ponte di ripiegare verso il grosso dell’esercito nemico. Questi non riuscivano a porre alcuna resistenza all’impeto dell’attacco dei Bersaglieri, si ritirarono velocemente coperti da alcuni pezzi posti sull’altra sponda.
Durante la ritirata nemica Alessandro La Marmora venne colpito da una palla che gli fiaccò la mascella inferiore e lo fece cadere da cavallo. Un ufficiale austriaco vedendo il comandante piemontese ferito si scagliò su di lui al fine di farlo prigioniero, ma Alessandro, nonostante la terribile ferita, con un poderoso fendente di sciabola lo uccise. Curato dal dottor Lai, dovrà portare un ferro per la guarigione. Gli Austriaci furono sconfitti dall’incredibile audacia dei Bersaglieri e fuggirono lasciando dietro di loro cannoni, feriti e prigionieri. Alessandro La Marmora, il 14 aprile 1848 venne decorato e obbligato al riposo. Scrisse le "Istruzioni provvisorie per i Bersaglieri" ed un "Trattato di tiro ad uso dei Volontari", visto poi che la guarigione procedeva con molta lentezza si costruì una cornice di ferro, con cui tenere collegate le ossa infrante della mandibola ed uno speciale strumento per tritare il cibo che non poteva masticare.
Il 27 luglio 1848 Alessandro Ferrero della Marmora comandante del corpo dei Bersaglieri, venne nominato Maggiore Generale ed il 15 febbraio 1849 venne nominato Ispettore del Corpo dei Bersaglieri, a Capo dello Stato Maggior Generale all’Armata con l’annuo stipendio di Lire Settemila duecento». Il 20 marzo 1849 il re ruppe l’armistizio con l’Austria, una serie di tragici errori portò nel giro di tre giorni l’esercito piemontese alla disfatta di Novara (23 marzo 1849).
Il padre dei Bersaglieri vedendo il ritirarsi delle truppe piemontesi, dinanzi al nemico incalzante, quando seppe del prossimo attacco sulla città dell’avanguardia austriaca, sebbene ferito ad una gamba, balzò in sella, oltrepassò il ponte di "Porta Mortara" e fiero si mise in mezzo alla strada, fissando minaccioso l’avvicinarsi delle truppe croate. Queste, reputando che dietro al temerario generale piemontese fossero appostate considerevoli forze avversarie, si fermarono facendo di conseguenza fermare tutta l’avanzata austriaca, in tal modo Alessandro La Marmora, rischiando la propria vita, fece in modo che l’esercito piemontese potesse ritirarsi con maggior ordine e calma. Nel 1852 cadde da cavallo e fù ricoverato a Genova dove incontrò la compagna della sua vita: Rosa Roccatagliata, che sposò sabato 1° luglio 1854. Tra l’estate e l’autunno del 1854 a Genova scoppiò un’epidemia di colera, Alessandro si trasformò da uomo di guerra in uomo di pietà, visitava quasi ogni giorno infermerie, ospedali e ammalati; la sua casa divenne il ricetto di qualsiasi bisognoso. Durante questa epidemia oltre al soccorso che prestava agli indigenti, studiò di persona le cause del tremendo contagio e le cure da somministrare, a tal proposito scrisse anche un opuscolo dal titolo Cholera Morbus. La sua eccezionale fibra però andava via via consumandosi, l’eccessivo e continuo strapazzo a cui aveva sempre sottoposto il suo corpo gli stava esaurendo le forze, e proprio nel momento in cui si sentiva più oppresso dalla fatica gli veniva offerto dal fratello Alfonso il 22 marzo 1855 il comando della seconda divisione del corpo di spedizione in Oriente, per la guerra di Crimea. Il 16 gennaio 1855, il Piemonte entrava a far parte dell’alleanza antirussa, e Cavour, nonostante l’opposizione di gran parte dell’opinione pubblica, decise l’invio in Crimea, dove si erano concentrate le operazioni militari, di 15.000 soldati al comando del generale Alfonso La Marmora. Fra i tanti soldati inviati, ci sono 5 battaglioni di bersaglieri, che dovettero subire la falcidia del colera. " Alessandro La Marmora che nel frattempo aveva assunto il comando della 2a divisione, prima di partire, nel mese di marzo decise di condurre la moglie a Torino, affinché facesse conoscenza dei suoi parenti e le fossero d’appoggio qualora egli non avesse dovuto far ritorno. Il 19 maggio il generale Alessandro La Marmora si imbarcava a Genova ed il 29 maggio sbarcava a Balaclava. "Mia cara Rosetta" così scriveva a casa "siamo giunti a Balaclava. Vi sono alquanti ammalati, ma però senza importanza fuorché qualche caso di colera nei siti bassi stante la cattiva aria di paludi e di 2000 turchi lì sotterrati son persuaso che non farà strage il colera essendo siti molto ventilati e purché non bere, stare coperti Attendo con impazienza le tue lettere" concludeva La Marmora dalla Crimea. La posta allora impiegava 15 giorni per arrivare e quelle risposte non le avrebbe mai lette. Proprio quando i suoi Bersaglieri iniziavano a distinguersi per il loro valore, Alessandro, che da vari giorni aveva la dissenteria, nascondendo il suo reale stato di salute, sette giorni dopo l’arrivo nella terra di Crimea, venne colto dal colera. Dopo una breve agonia, si spegneva improvvisamente nella notte tra il 6 e 7 giugno 1855. Alessandro La Marmora, una fra le più spiccate figure del Risorgimento italiano, uomo franco e leale, sprezzante degli onori, si spense a all’età 56 anni. Il cadavere venne avvolto in una coperta da campo di lana e il giorno 8 giugno 1855 venne seppellito presso il quartier generale a Kadikoi.
Il corpo del generale Alessandro La Marmora rimase sepolto in Crimea per oltre 56 anni. La gloriosa salma giunse a Biella mercoledì 14 giugno 1911, scortata da 46 ufficiali e preceduta da un Battaglione del 4° Rgt. Bersaglieri di Torino, 320 uomini circa. Tale battaglione rese gli onori alla salma al suo arrivo, e gli fece la scorta d’onore per tutta la notte. La cerimonia ufficiale avvenne il giorno successivo nel piazzale della stazione. Alla salma resero gli onori anche due batterie di artiglieria che a quel tempo stanziavano in Biella, ed i Carabinieri Reali a cavallo. L’atto solenne venne annunciato da due sezioni di artiglieria che spararono 20 colpi di cannone. La salma fu inumata nella Basilica rinascimentale di San Sebastiano, voluta nel 1504 da Sebastiano Ferrero. Così il fiero soldato riposa nella sua città, accanto al fratello Alfonso ed alla gente dei Ferrero della Marmora.

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