domenica 20 dicembre 2009

Giovanni Acerbi

In occasione del 150° Anniversario della Spedizione dei Mille, dopo aver ricordato i due asolani che vi parteciparono: Benedini e Ghirardini, figlio del Pretore di Asola e primo cugino di Ippolito Nievo e il medolese Pietro Scaratti, mio bisnonno materno, mi pareva ingiusto non ricordare anche gli altri tre figli della nostra terra. Primo fra tutti il Goffredese Giovanni Acerbi (Castel Goffredo, 14 novembre 1825 –Firenze, 4 settembre 1869)Nipote dell'esploratore Giuseppe Acerbi, svolse fin dalla giovinezza una intensa attività cospirativa. Partecipò alla difesa di Venezia (1848-1849), fu fra i cospiratori di Mantova 1850; scampò al martirio di Belfiore, ma dovette lasciare il Regno Lombardo Veneto.
A Genova collaborò con Giuseppe Mazzini alla preparazione del moto milanese del 1853. Nel 1860 fu uno dei Mille e diresse, con Ippolito Nievo come vice, i servizi di intendenza della spedizione garibaldina. Tale incarico gli venne rinnovato anche in occasione dellaTerza Guerra d'Indipendenza italiana (1866), a cui partecipò sempre a fianco a Garibaldi come colonnello comandante dell'Intendenza e del 2° Reggimento Volontari Italiani dopo la destituzione del Tenente Colonnello Pietro Spinazzi, e nella Spedizione nell'agro romano dell'anno successivo.
Nel corso della campagna garibaldina del 1867 proclamò la prodittatura a Torre Alfina, una frazione di Acquapendente, e occupò Viterbo. Fu deputato al parlamento fin dal 1865, militando nelle schiere della sinistra. Morì a Firenze all'età di soli 44 anni per un incidente con la carrozza.
Nel 1917 la Regia Marina varò il cacciatorpediniere Giovanni Acerbi, della Classe Sirtori, poi distrutto da un bombardamento aereo britannico, sul porto di Massaua, il 4 aprile 1941.
Poiché la spedizione doveva avere un’ Intendenza, questa fu costituita, benché la cassa di guerra non contenesse più di trentamila povere lire. Incaricato fu Giovanni Acerbi, sfuggito al martirio di Belfiore, a Mantova ed impegnato a recuperare l’onore del suo nome macchiato da Giuseppe Acerbi, uno del casato che aveva venduto l'ingegno e le lettere all'Austria, prima ch'egli nascesse. Fra i suoi collaboratori all’Intendenza aveva compagni Ippolito Nievo, Paolo Bovi, Francesco De Maestri e Carlo Rodi, tre veterani questi ultimi, mutilati ciascuno d'un braccio che, con la loro presenza, sembrava volessero dire ai giovani: "Vedete che cosa ci si guadagna? Eppure non fa male!" In quanto al Nievo chi lo osservava capiva che era già grande, o che era destinato a divenirlo. Egli era noto per due suoi romanzi sentimentali: 'Angelo di bontà' e 'Il conte pecoraio'; e anche si sapeva che stava lavorando alle sua opera più importante, le maravigliose 'Confessioni d'un Ottuagenario', (Confessioni di un italiano) la cui scrittura aveva accantonato, per partecipare alla grande impresa. Egli stesso diceva che gli sarebbe rincresciuto morire senza averla finita! Nel 1859 aveva cantati gli 'Amori garibaldini', liriche scintillanti come spade, scritte sull'arcione cavalcando alla guerra di Lombardia, e stampate poco prima di partire per la Sicilia. E, 'Partendo per la Sicilia', fu appunto il titolo che egli diede alla sua ultima opera. Forse egli presagiva che non sarebbe più ritornato? Morì, infatti nel marzo del 1861, in una notte di tempesta nel Tirreno, con un vapore che fu ingoiato dalle acque. Perì con lui il poeta che avrebbe cantato davvero l'Epopea garibaldina; e un cadavere che fu creduto lui, venne poi trovato sulla riva d'Ischia, l'isola dei poeti.

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