Il 5 maggio 1860, guidati da Giuseppe Garibaldi, figura leggendaria di rivoluzionario e di combattente, soprannominato “L’eroe dei Due mondi” per aver partecipato a lotte di liberazione anche in Sudamerica, partirono da Genova-Quarto circa 1150 volontari, alla volta della Sicilia. Dopo avere fatto una breve sosta in Toscana, i Mille sbarcarono a Marsala e in due mesi conquistarono la Sicilia. Successivamente, passati nel Continente, Garibaldi e i Mille conquistarono Napoli.
Nello storico incontro di Teano, del 26 ottobre del 1860, le regioni meridionali, il cosiddetto Regno delle Due Sicilie, in precedenza sotto il dominio dei Borboni, vennero consegnate da Garibaldi a Vittorio Emanuele II, della dinastia dei Savoia, che reggeva il Piemonte, le cui truppe avevano intanto invaso lo Stato Pontificio.
L’avanzata dei Mille non fu priva di ostacoli e contraddizioni. Contrariamente a quanto dicono certi racconti agiografici ed edulcorati, Garibaldi e i suoi seguaci, nella loro vittoriosa avanzata, incontrarono spesso, tra le popolazioni locali, la resistenza se non l’aperta ostilità dei contadini, e si verificarono talvolta incresciosi incidenti e disordini, come è documentato, ad esempio, nel celebre racconto Libertà (Novelle rusticane) di Giovanni Verga, trasposto con efficacia al cinema dal regista Florestano Vancini, nel film dal titolo Bronte.
Realizzata da Garibaldi, la spedizione dei Mille era stata progettata da Francesco Crispi e Rosolino Pilo. Grazie alla spedizione dei Mille e all’impresa militare di Garibaldi ha luogo la storica unità d’Italia. A dire il vero l’idea dell’Italia come unità geografica è antecedente all’Ottocento e si profila in letteratura già negli scritti di Dante, Petrarca, Boccaccio e Machiavelli.
Al processo di unificazione nazionale, oltre al coraggio e l’intraprendenza del generale Garibaldi, contribuirono in maniera determinante le predicazioni e le idee di Mazzini e l’abile tessitura diplomatica di Cavour. Oltre a una serie di contingenze internazionali favorevoli. Con l’unità d’Italia si portarono a compimento gli ideali del Risorgimento.
L’unificazione italiana fu comunque opera di un’elite e non la realizzazione di una rivoluzione di massa. “Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, la celebre frase attribuita a Massimo d’Azeglio sintetizza bene i problemi che si accompagnarono all’avvenuta unificazione.
Come, per esempio, i forti squilibri tra città e campagna e tra Nord e Sud.
E anche oggi, che si celebra il centocinquantesimo anniversario dell’unità, non mancano discussioni e polemiche.
I partiti politici che governano attualmente lo Stato italiano sembrano in larga parte estranei alla cultura risorgimentale. Possiamo oggi rilevare ciò che già lo storico Rosario Romeo sottolineò nel 1961, ossia che si percepisce “sotto la cornice grandiosa delle manifestazioni ufficiali, un certo senso di distacco non solo delle masse ma anche delle classi colte e dirigenti”. Idee antirisorgimentali circolano attualmente anche nel mondo cattolico, ancora ferito dall’aggressione allo Stato Pontificio e nell’opinione pubblica meridionale, che recrimina sul “saccheggio del Sud”.
Una attuale forza politica di peso, come la Lega, inoltre, accarezza l’idea del federalismo se non addirittura della secessione, mentre molti avvenimenti della vita politica e civile della nazione segnalano l’incompiutezza del processo di unità. Ed è proprio e soprattutto all’interno della società italiana, nei modi in cui si svolge la vita sociale e civile quotidiana, che si avvertono i segnali più inquietanti dell’incompiutezza dell’unità italiana. Sono quelli che ha indicato il filosofo Massimo Cacciari in un suo recente articolo pubblicato sulla stampa nazionale.
Gli italiani sono cinici, disincantati, egoisti, individualisti, poco rispettosi delle leggi e delle regole, sempre pronti alle dispute violente, privi di una classe dirigente degna di tale nome. Incapaci, anche oggi, di perseguire il bene comune, l’onore e la virtù. Gli abitanti dello Stivale, - afferma Cacciari, parafrasando il Leopardi del Saggio sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, "non sanno essere un popolo, ma soltanto un aggregato di individui”.Un’effettiva unità nazionale potrà nascere, dunque, al di là degli eroismi del Risorgimento, soltanto da una maturazione civile ed etica di tutti i cittadini italiani.
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