venerdì 26 agosto 2011

La lettera del conte di Siracusa, Leopoldo di Borbone


Leopoldo (Beniamino Giuseppe, nato il 22 maggio1813 a Palermo, morto il 4 dicembre 1860 a Pisa) era un fratello del defunto re Ferdinando II, e quindi zio di Francesco II.
Il 16 giugno 1837 sposò, in Napoli, Maria Vittoria Filiberta di Savoia. Le pressioni della moglie, le promesse del re sabaudo (nominarlo viceré di Sicilia!), unitamente alla sua scarsissima capacità neuronica, ne fecero uno dei protagonisti in negativo della dissoluzione del Regno delle due Sicilie.
Fino al 1860 era vissuto rinchiuso nella sua bella villa della Riviera di Chiaia: una vita dedicata al collezionismo e a catalogare reperti di Pompei.
Nell'agosto del 1860 scrisse la lettera che riportiamo di seguito. Formalmente diretta al nipote re Francesco, la lettera fu in realtà distribuita a tutte le cancellerie europee, ed ai giornali, allo scopo di indebolire il già traballante trono di Napoli, mentre Garibaldi ed i piemontesi avanzavano nell'invasione.
Il contenuto è di pura retorica, molto in uso in quei tempi. Leggendola oggi, fuori dal contesto di quei giorni, parrebbe pure sensata. Ma occorre ricordare che il destinatario, il re, non la ricevette mai, ma la lesse sui giornali, o in una delle migliaia di copie diffuse in città. Infatti lo scopo della missiva non era certo quello di convincere il re, ma di abbatterlo.
"Sire,
Se la mia voce si levò un giorno a scongiurare i pericoli che sovrastavano la Nostra Casa, e non fu ascoltata, fate ora che, presaga di maggiori sventure, trovi adito nel vostro cuore, e non sia respinta da improvvido e più funesto consiglio. Le mutate condizioni d'Italia, ed il sentimento della unità nazionale, fatta gigante nei pochi mesi che seguirono la caduta di Palermo, tolsero al governo di V.M. quella forza onde si reggono gli stati, e rendettero impossibile la Lega col Piemonte.
Le popolazioni della Italia superiore, inorridite alla nuova delle stragi di Sicilia, respinsero co' loro voti gli ambasciatori di Napoli, e noi fummo dolorosamente abbandonati alla sorte delle armi, soli, privati di alleanze, ed in preda al sentimento delle moltitudini, che da tutti i luoghi d'Italia si sollevarono al grido di esterminio lanciato contro la Nostra Casa, fatta segno alla universale riprovazione.Ed intanto la guerra civile, che già invade le province del continente, travolgerà seco la dinastia in quella suprema rovina, che le inique arti di consiglieri perversi hanno da lunga mano preparata alla discendenza di Carlo III di Borbone; il sangue cittadino, inutilmente sparso, inonderà ancora le mille città del reame, e voi, un di speranza e amore dei popoli, sarete riguardato con orrore, unica cagione di una guerra fratricida.
Sire, salvate, che ancora ne siete in tempo, salvate la Nostra Casa dalle maledizioni di tutta l'Italia! Seguite il nobile esempio della Regale Congiunta di Parma, che allo irrompere della guerra civile sciolse i sudditi dalla obbedienza, e li fece arbitri dei propri destini. L'Europa e i vostri popoli vi terranno conto del sublime sagrifizio; e Voi potrete, o Sire, levare confidente la fronte a Dio, che premierà l'atto magnanimo della M.V.
Ritemprato nella sventura il vostro cuore, esso si aprirà alle nobili aspirazioni della Patria, e Voi benedirete il giorno in cui generosamente Vi sacrificaste alla grandezza d'Italia.
Compio, o Sire, con queste parole il sacro mandato, che la mia esperienza m'impone; e prego Iddio che possa illuminarvi, e farvi meritevole delle sue benedizioni.
Di V.M. Affezionatissimo zio
Leopoldo conte di Siracusa
Napoli, 24 agosto 1860
"Ma neppure la pugnalata alle spalle che gli veniva da un membro della sua famiglia indusse Francesco II ad abdicare (anche se lo turbò enormemente). L'effetto sulla popolazione e sull'esercito, che consideravano Siracusa nulla di più che una «macchietta», restò, in pratica, nullo. Ma ebbe grande risalto in Piemonte, Inghilterra e Francia, cioè nella coalizione che conduceva l’invasione delle Due Sicilie". Qualche giorno dopo aver scritto e diffuso la lettera, Leopoldo andò a bordo della Maria Adelaide, nave piemontese dell'ammiraglio Persano, alla fonda nel golfo di Napoli (ufficialmente per "proteggere gli interessi del Piemonte", in pratica base operativa per prezzolare l'insurrezione antiborbonica di Napoli - che mai avvenne - e appoggiare i garibaldini, nelle cui fila militavano molti soldati sabaudi "in permesso" o "disertori").
Leopoldo di Borbone andava a "riscuotere", si aspettava complimenti e la conferma della promozione a "vicerè", e pensò bene di farsi precedere da un biglietto per Persano in cui scriveva:
"Pretendo di essere salutato colla bandiera allo stemma dei Savoia e non col borbonico, quale suddito di S.M. Vittorio Emanuele II, solo Re degno di regnare sull’Italia".
Di complimenti ne ricevette a iosa, ma ebbe anche la tremenda delusione di vedersi offrire da Persano solo una transitoria e platonica "Luogotenenza in Toscana".
Qualche mese dopo, Leopoldo morì a Pisa, in circostanze mai chiarite, anche se si diffuse la notizia di un possibile suicidio.

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