lunedì 16 gennaio 2012

Enrico Albanese


Un segreto durato mezzo secolo:
«Mio nonno curò Garibaldi»
Livia Albanese Ginammi, nipote di Enrico Albanese che fu medico di Giuseppe Garibaldi, nella sua casa di Almenno San Bartolomeo.Suo nonno era stato il medico di fiducia di Giuseppe Garibaldi, ma lei, Livia Albanese Ginammi, che per più di mezzo secolo ha vissuto ad Almenno San Bartolomeo, lo aveva confidato solo a pochissime persone. A confermare l'illustre parentela e a ricordare la sua figura è stato un architetto almennese che durante un viaggio in Sicilia è andato alla ricerca del luogo in cui la signora Livia Albanese Ginammi è stata sepolta nel 1993.È stato Marco Agazzi di Almenno San Bartolomeo a fare la scoperta, con non poche difficoltà, della tomba di famiglia in cui la signora almennese Livia Albanese è stata sepolta nel cimitero di Santa Maria del Gesù, nel centro di Palermo, accanto al nonno Enrico Albanese, deceduto nel 1889. Livia Albanese è stata cittadina di Almenno San Bartolomeo dal 1942, dagli anni della Seconda guerra mondiale, fino al 1992, anno in cui, a seguito di una grave malattia, si era trasferita a Roma, avvicinandosi alla residenza di alcuni pronipoti. Dopo la sua morte, avvenuta a Roma nel 1993, la salma della signora Albanese è stata trasportata e sepolta a Palermo. «Era stata un'amica di famiglia – spiega Marco Agazzi –. Durante un viaggio di lavoro in Sicilia ho deciso di andare alla ricerca della sua tomba per riporre un mazzo di fiori in suo ricordo. Non è stato facile trovare il cimitero, e una volta ritrovato, sono dovuto andare alla ricerca della tomba di Livia. Nella sua cappella di famiglia, accanto al suo loculo, ho scoperto anche una grande lapide che ricorda le gesta di suo nonno».Come recita l'epitaffio, Enrico Albanese era nato l'11 marzo 1834 a Palermo dove già da giovanissimo cospirò contro la tirannia dei Borboni e dal 1860 vagò esule e perseguitato ritornando in patria coi liberatori. Come ha ricordato anche un articolo pubblicato di recente sul Corriere della Sera, Albanese era stato amico fidato oltre che medico personale di Giuseppe Garibaldi e gli diede assistenza a Caprera dopo la ferita che si procurò nel combattimento con l'esercito piemontese sulle cime dell'Aspromonte. «Già medico di battaglione durante la spedizione dei Mille – aggiunge Agazzi – il medico Enrico Albanese fu anche un sapiente ed eroico direttore sanitario nell'epidemia colerica del 1885 lasciando come ricordo un suo monumento nell'ospizio marino da lui fondato nel 1874».A Palermo la sua illustre figura è ancora oggi mantenuta viva grazie a una via nel centro della cittadina siciliana a lui dedicata. «È doveroso da parte dell'amministrazione comunale – aggiunge il sindaco Gianbattista Briosch che aveva conosciuto la signora Albanese – ricordare una figura storica del Risorgimento quale è stato il nonno della nostra concittadina Livia Albanese Ginammi. Almenno deve essere orgogliosa di averla annoverata fra i suoi cittadini». Molto riservata, ma sempre disponibile, Livia Albanese Ginammi, durante i lunghi cinquant'anni di permanenza in Valle Imagna aveva confidato solamente a pochissime persone la sua importante parentela. Ma ora grazie all'almennese che ha fatto la scoperta della sua tomba, è stato riportato alla luce il suo ricordo e le immagini che la ritraggono in momenti di vita quotidiana. Enrico Albanese, nato l'11 marzo 1834 dall'avvocato Giovanni e da Francesca Di Fiore, non fu solo medico. Fu prima di tutto un patriota che si distinse a Palermo nell'organizzazione dei moti del 4 aprile 1860, repressi nel sangue dalla polizia borbonica. A 21 anni era già medico e andò a Firenze per specializzarsi alla scuola dei maestri Bufalini e Pellizzari. In Toscana Albanese prese contatto con tanti siciliani esuli dopo i moti del 1848: Giulio Benso, Giuseppe Lanza di Trabia. Fu in Aspromonte che il giovane medico Albanese intuì subito che la ferita subìta da Garibaldi al collo del piede destro durante il combattimento con l'esercito piemontese non era affatto trascurabile e il Generale poteva rischiare seriamente l'amputazione. Dopo il fallimento di un primo tentativo di estrarre il proiettile, Garibaldi fu trasportato a La Spezia, dove iniziò una lunga e travagliata degenza. Molti erano convinti che il proiettile fosse rimbalzato, ma fu proprio il medico palermitano a smentirli, insieme al collega Giuseppe Basile. Il 22 novembre il chirurgo Fernando Zanetti di Pisa praticò nel piede di Garibaldi, ormai in gravi condizioni, un'incisione profonda quattro centimetri ed estrasse una pallottola di carabina del peso di 22 grammi, scongiurando così l'amputazione. Il nonno della signora almennese sposò poi nel 1863 Emilia Vanini e fu a fianco di Garibaldi ancora nel 1866 e nel 1867; diventò ordinario di anatomia nel 1873, si distinse nel combattere le frequenti epidemie di colera. Morì giovane a Napoli, a 55 anni, nel 1889: venne sepolto nel cimitero di Santa Maria del Gesù, sotto una pietra di Caprera donata da Garibaldi.


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