Figlia del generale Carlo Filangieri e nipote del grande illuminista Gaetano, è la più celebre filantropa napoletana del secondo Ottocento. Fondò importanti istituti di assistenza e ottenne cariche e riconoscimenti pubblici inconsueti per una donna del suo tempo.Nacque a Napoli nel 1826. Nel 1847 sposò il duca Vincenzo Ravaschieri Fieschi. La sua attività filantropica ebbe inizio a metà secolo, quando Teresa frequentava prestigiosi salotti nobiliari della capitale borbonica, ed entrò in contatto con la nota filantropa pietista Paolina Craven De La Ferronays (moglie del diplomatico inglese Augustus Craven) e le sue sorelle. L’attività caritativa di Teresa e dei suoi amici si univa alla passione per il teatro amatoriale: il ricavo degli spettacoli allestiti da Teresa, Paolina, Augustus e dai loro amici veniva destinato alla beneficenza. Anche i rapporti con i domestici e in genere con le classi povere erano improntati alla filantropia: Teresa e Paolina raccoglievano dalla strada ragazzi e ragazze cui insegnano a leggere e a scrivere e che educavano nelle proprie case come domestici (pratica ricorrente nella filantropia ottocentesca). Durante le loro villeggiature nel villaggio di Castagneto, le due amiche assistevano i poveri locali. In seguito Teresa, insieme al medico Calabritto, intraprese il risanamento di quel piccolo paese.Dopo l’Unità, la filantropia di Teresa uscì dai salotti e dalla sfera delle relazioni private per imporsi sulla scena cittadina e istituzionale. Negli anni Sessanta Leopoldo Rodinò la nominò ispettrice e patrona della scuola - convitto per fanciulle cieche fondata da Lady Strachan. Più tardi il prefetto Mordini la incaricò di condurre, con altre benefattrici, un’inchiesta sui reali educandati. Durante il colera del 1873, il Comitato organizzato per i soccorsi le affidò l’organizzazione di cucine popolari gratuite.Nel 1879 iniziò a lavorare al suo progetto più ambizioso, nel quale – col consenso del marito – impiegò parte della sua dote: l’ospedale per malattie infantili intitolato al nome della figlia Lina, scomparsa, appena adolescente, nel 1861. L’ospedale venne inaugurato nel 1880, avendo trovato finanziatori illustri, tra cui la coppia reale. Negli anni Settanta presiedette l’Opera di ricovero e di patrocinio o Gran patronato delle orfane e derelitte, approvata dalla Deputazione provinciale, e destinata ad "accogliere, istruire, avviare nell’arte e nei mestieri ed altresì proteggere nel collocamento" le orfane allevate in istituti di beneficenza, destinandole ad impieghi di maestre, telegrafiste, computiste, cameriere, operaie e cuoche. Per i ragazzi senza tetto, invece, contribuì ad allestire un dormitorio. Nel 1884, a fianco delle Suore della carità, assistette le vittime del colera. Durante l’impresa etiopica, nell’età crispina, come dirigente della Croce rossa napoletana, accolse e curò i reduci di Adua nella sua villa di Pozzuoli.Accanto all’attività pratica, Teresa non trascurò la scrittura: da un lato quella rivolta a illustrare le istituzioni filantropiche napoletane, dall’altro quella più intima, epistolare e biografica.Nel 1879 venne pubblicata la sua monumentale Storia della carità napoletana in quattro volumi.Nel 1892, una raccolta di lettere e memorie dedicata all’amica Paolina e alla sua famiglia, metteva in luce sentimenti, valori, stile di vita di queste celebri benefattrici.Nel 1903 in Come nacque il mio ospedale, racconta le vicende e l’attività di relazione attraverso cui era divenuta una figura di primo piano nella filantropia e nella società napoletane: tra i suoi amici figuravano i più celebri filantropi napoletani del tempo: Alfonso Casanova, Guido Palagi, Alfonso Capecelatro. Fu la sua ultima fatica letteraria: morì in quello stesso anno.Per quanto Teresa non entrasse direttamente nel dibattito politico del suo tempo, dalle sue scritture private emerge con chiarezza la sua concezione della filantropia come rimedio al diffondersi di idee rivoluzionarie: in particolare il "pestifero contagio delle dottrine Internazionali e Comuniste" (Ravaschieri 1892) sui giovani operai. Inorridita dalla lotta di classe, credeva nella possibilità di ricomporla attraverso una pratica filantropica animata da valori cristiani entro un quadro politico liberale - moderato.Una benefattrice di una generazione più giovane, Adelaide Pignatelli, avrebbe scritto in sua memoria: "al suo tatto, al suo sentimento d’indipendenza dalle combriccole (..) si deve se oggi la donna, anche prima di chiamarsi femminista, ha potuto da noi entrare ad esercitar la beneficenza (..) ed abbia potuto dedicarsi alla propria cultura, senza incorrere nel sarcasmo altrui".
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