Il 25 febbraio 1812, nasceva a Bologna Giuseppe Petroni. Di famiglia
benestante, aderì nel 1832 alla Giovine Italia e alla setta degli apofasimeni.
Fu avvocato presso il tribunale della Rota. Partecipò alla prima guerra di
indipendenza tra le fila dei volontari pontifici, e ricoprì, nella Repubblica
Romana il ruolo di sostituto del ministro della Giustizia, il forlivese Giovita
Lazzarini.Alla restaurazione pontificia si diede alla clandestinità, stampando e
diffondendo gli appelli di Mazzini a Roma, fino a quando, probabilmente per la
delazione di un suo collaboratore, segretario del console inglese, fu arrestato
nell’agosto del 1853. Le porte delle galere papaline si riapriranno per lui 17
anni dopo, il 21 settembre 1870, il giorno dopo la breccia di Porta Pia, anche
per un disinteresse “politico” da parte del governo sabaudo. Scrive infatti
Felice Cavallotti, nella sua Storia dell’insurrezione di Roma nel 1867, dato
alle stampe nel 1869:“Fu chiamato a dirigerla l’avvocato Giuseppe Petroni, di Bologna, uomo
di eletto ingegno, tempra robusta e carattere intemerato, già sostituto nel
ministero di grazia e giustizia della repubblica Romana e in quel momento
stesso dimorante clandestinamente in Roma. Il nome di Petroni, di questo
martire illustre oggi ancora gemente fra i ceppi del prete, ci richiama
involontariamente una delle più tristi e vergognose pagine della missione
Tonello. Per una strana ironia del caso, quel nome veniva evocato nelle trattative
del cardinale Antonelli coll’inviato italiano, essendo ministro del regno
d’Italia, per la giustizia e i culti, Francesco Borgatti, già sostituto
procuratore del ministero degli esteri della repubblica Romana e quindi
compagno e collega del Petroni in quell’epoca memoranda.- Mossi parola sul delicato argomento dei condannati politici,
appartenenti ai territori che ora fanno parte del regno. Il cardinale mi
assicurò che il solo condannato per titoli veramente politici è un tal Petroni
che al governo italiano non deve essere beneviso, essendo agente confesso e
vicario di Mazzini.-Così scriveva il commendatore Tonello, riferendo l’ esito de’ suoi
colloqui, al ministro Borgatti, all’ antico collega di Petroni. E il Borgatti
accettava placidamente, senza pur replicare, la ingiuriosa insinuazione
pretina; e il Petroni, abbandonato a sè stesso da quel governo che accordava al
papa il richiamo dei vescovi, trascina ancora oggi, condannato a vita, la
veneranda canizie nelle galere pontificie!”Petroni, che non accettò mai compromessi o abiure che avrebbero potuto
favorirne la scarcerazione, rifiutò incarichi ed onori. Si limitò ad assumere
la direzione del Roma del popolo, l’ultimo giornale su cui scrisse Mazzini,
assieme a Campanella, Lemmi, Pantano, Quadrio, Saffi, Tuveri, Bresca, e di cui
fu responsabile amministrativo Ernesto Nathan, che sarà grande sindaco della
capitale. Il giornale si fece notare per la veemenza degli attacchi ai
socialisti dell’Internazionale, e del resto, come fa notare Denis Mack Smith,
Mazzini si era espresso in maniera tranchant sul tema, già nel 1840: II
socialismo che i Francesi derivarono dal principio fondamentale di Bentham è il
peggiorativo dell’idea sociale che la democrazia aveva già prima, ne’ suoi
migliori, affratellato all’idea politica; ha indugiato il trionfo di
quell’idea. Ma evitando il nome e le aberrazioni, gli Italiani non
dimenticheranno che il socialismo fu sintomo di una crisi tremenda che cova più
o meno in tutti i paesi d’Europa e alla quale bisogna apprestare rimedio se non
si vuole che la società vada sommersa nella guerra fraterna e nell’anarchia.Petroni fu il fulcro, a questo punto, di una querelle epistolare che
coinvolse i due inconciliabili eroi del nostro risorgimento. Infatti in una
lettera scritta al Filopanti attaccò Garibaldi che rispose in maniera veemente,
ma con grande rispetto per la figura del Petroni: “Caro Petroni duolmi di dover
difendermi da voi che non ho offeso e ho sempre venerato… e chi satelliti e
seiani? Nominateli, vecchio martire della libertà italiana! E quando voi
gemevate per 18 anni nelle carceri dell’inquisizione… Che l’umanità non facesse
difetto a Petroni emerge anche dalla lettera che invio, da Gran Maestro del
Grande Oriente d’Italia a tutte le logge per accorrere a Napoli nel 1884 per
combattere l’invasione cholerica (sic)…. insomma invogliando ed oprando
affinché il morbo non si manifesti o ne siano meno gravi le conseguenze“. E tra
quelli che dalla Romagna risponderanno all’appello si distinguerà per coraggio
e abnegazione un giovane imolese, Andrea Costa. Ma questa è un’altra storia…Giuseppe Petroni morirà a Terni l’otto giugno 1888.
La sua città, Bologna gli intitolerà la via in cui nacque. Al numero
civico 27 una lapide lo ricorda.
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