Dopo il successo della spedizione dei Mille del 1860, Giuseppe Garibaldi
era diventato il punto di riferimento più importante di tutto lo schieramento
democratico italiano, nonostante fosse lacerato al suo interno dalle divisioni
in molte correnti e fosse senza un capo riconosciuto.
Al tempo stesso era divenuto l'oggetto delle speranze dei democratici
dell'Europa orientale che auspicavano una soluzione alle loro rivendicazioni
nazionali sulla scia dell'impresa esemplare dei Mille.
La convinzione di fondo, diffusa anche in Italia, consisteva nella
necessità di una spedizione nei Balcani – sul modello di quella siciliana del
1860 – che avrebbe messo in crisi l'Impero asburgico e avrebbe portato alla
proclamazione della repubblica in Prussia.Il governo di Bettino Ricasoli, che era divenuto primo ministro dopo la
morte di Cavour, per cercare di ricomporre il conflittuale sistema politico del
neonato Regno d'Italia, decise di istituire una Società di tiro a segno
nazionale affidandone la presidenza al principe ereditario, futuro Umberto I, e
la vicepresidenza al generale Enrico Cialdini e a Garibaldi.Quest'ultimo, ormai attivissimo nella vita politica nazionale, il 9
marzo, assunse anche la presidenza dell'Assemblea delle associazioni
democratiche e delle società operaie e, nello stesso mese di marzo, dopo che i
garibaldini e i mazziniani erano confluiti nell'Associazione Emancipatrice
Italiana che propugnava Roma Capitale, intraprese un lungo itinerario, accolto
da un tripudio di folla, nelle principali città del Nord Italia – Monza, Como,
Lodi, Parma, Cremona, Pavia, Crema, Brescia – per l'inaugurazione delle locali
Società di tiro a segno.Alla conclusione di questo percorso Garibaldi si fermò nella stazione
termale di Trescore Balneario, vicino Bergamo, al confine con il Trentino, a
casa di Gabriele Camozzi. Il motivo ufficiale consisteva nella cura dei
reumatismi ma in realtà alcuni attivisti del Partito d'Azione iniziarono, sin
da subito, a raccogliere divise e armi facendo presagire una nuova spedizione
di volontari garibaldini, questa volta diretta oltre i confini dell'Impero
asburgico.La diplomazia europea si mise immediatamente in allarme, alcuni leader
dell'Associazione Emancipatrice si dichiararono contrari ad un'azione
rivoluzionaria e Crispi paventò addirittura il rischio che un azione
fallimentare contro l'Austria si sarebbe conclusa drammaticamente con lo smembramento
del neonato Regno d'Italia.Nonostante ciò, il 14 maggio a Sarnico, sul lago d'Iseo, un centinaio di
volontari si riunirono agli ordini di Francesco Nullo e dalla cittadina
lacustre iniziarono a marciare verso il confine austriaco. All'altezza di
Palazzolo, poco distante da Sarnico, però, l'esercito sardo bloccò
immediatamente la marcia e arrestò tutti i volontari – e lo stesso Francesco
Nullo –, poi rinchiusi nelle carceri di Bergamo e Brescia. Garibaldi si assunse
immediatamente la responsabilità del tentativo insurrezionale e condannò
l'azione dell'esercito regio che aveva arrestato i volontari. Il fallimento della spedizione fece desistere da ogni azione nei
Balcani. Tuttavia, dopo essere tornato in un primo momento a Caprera, Garibaldi
si imbarcò il 27 giugno per Palermo, ufficialmente per andare a promuovere in
Sicilia le Società di tiro a segno come in Lombardia. L'accoglienza a Palermo
fu ancora più entusiastica di quella ricevuta nelle città del Nord Italia.Gran parte delle aspettative della popolazione siciliana riguardavano,
però, le difficili condizioni economiche dell'isola ma Garibaldi interpretò
quell'accoglienza come una spinta per completare l'Unità d'Italia. Durante gli
incontri visitò i luoghi siciliani dell'impresa del 1860, lanciò accuse di
fuoco contro Napoleone III che, proteggendo il papa, era diventato, secondo
Garibaldi, un «capo di briganti» e «d'assassini». Dai numerosi bagni di folla
siciliani risuonò, inoltre, il grido “Roma o morte” che, ripreso subito da Garibaldi,
suggellò simbolicamente la nuova impresa.Se la stampa garibaldina esaltava l'impresa siciliana comparandola a
quella del 1860, Crispi si dimostrò subito contrario alla spedizione che dalla
Sicilia sarebbe dovuta risalire fino a Roma, mentre il fronte moderato, seppur
contrario, sembrava disorientato di fronte all'evolversi repentino degli
avvenimenti.Certamente, però, rispetto all'impresa del 1860 si riscontravano almeno
tre grandi assenze: mancavano comandanti esperti come Bixio, Medici, Cosenz e
Sirtori diventati ormai ufficiali dell'esercito; scarseggiava l'appoggio
dell'opinione pubblica al di fuori della Sicilia e, soprattutto, mancava
l'appoggio alla spedizione da parte di uno Stato sovrano. Inoltre, in caso di
attacco ai territori dello Stato pontificio, la Francia di Napoleone III
avrebbe difeso la Città Eterna con il corpo di truppe che aveva lasciato a
protezione del papato.Nonostante queste difficoltà, l'organizzazione della nuova spedizione
era ormai partita. A Misterbianco, nei pressi di Catania, il 19 agosto,
Garibaldi venne accolto da una folla in delirio, mentre il 24, lanciò un
proclama agli italiani accusando il governo di voler la guerra civile.Infine, dopo aver raccolto armi, munizioni e vettovaglie, s'impadronì di
due piroscafi, il Dispaccio e il Generale Abbatucci, con i quali, eludendo la
sorveglianza, sbarcò la mattina del 25 a Melito, in Calabria, come nel 1860, al
comando di circa 2 mila uomini.Il governo italiano, come a Sarnico nel maggio precedente, decise di
intervenire prima che le truppe garibaldine avessero passato il confine e inviò
il generale Cialdini a fermare Garibaldi. Cialdini, il 26 agosto, si incontrò a
Napoli con il generale La Marmora per organizzare un corpo militare che si
opponesse agli insorti. Dai numerosi reparti dell'esercito dislocati nel
Mezzogiorno continentale venne formata una colonna di 7 battaglioni agli ordini
del colonnello Emilio Pallavicini di Priola che si diresse verso la Calabria
per bloccare i volontari garibaldini.La risalita della penisola si era rivelata subito ben più difficile del
previsto. La città di Reggio Calabria, infatti, era ben presidiata
dall'esercito mentre sulla costa i volontari erano stati sorpresi da un
bombardamento della flotta regia che li aveva costretti a muoversi
nell'entroterra calabro. Garibaldi fu obbligato a risalire verso l'Aspromonte
dove, dopo due giorni di marce estenuanti, venne avvistato da alcuni reparti
del colonnello Pallavicini.Lo stesso giorno, la mattina del 29 agosto, si svolse un rapido scontro
a fuoco nel quale morirono una dozzina di militi, 7 soldati regi e 5 volontari,
e si registrarono poco più di trenta feriti, tra cui Giuseppe Garibaldi. Alla
notizia che Garibaldi era stato ferito, il combattimento ebbe immediatamente
fine.Colpito ad un malleolo, dopo una difficile discesa dall'Aspromonte,
venne trasportato dalla pirofregata Duca di Genova nel forte di Varignano,
presso La Spezia, un antico lazzaretto e uno stabilimento penitenziario dove
venne alloggiato insieme alla famiglia e ai suoi ufficiali.La convalescenza di Garibaldi fu lunghissima perché la ferita al
malleolo non si cicatrizzava e solamente a distanza di circa un anno riuscì a
riprendere una normale capacità di movimento.
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