La spedizione dei Mille rappresentò il momento fondativo del
garibaldinismo e la consacrazione definitiva della leadership di Giuseppe
Garibaldi, il condottiero, che con le sue azioni, era stato capace di condurre
il “popolo” alla vittoria.Totalmente privo di basi teoriche, sia in ambito politico che militare,
il movimento garibaldino traeva le sue origini politiche, sociali e culturali
dal mazzinianesimo e dal volontariato militare del Risorgimento.Il mazzinianesimo si rifletteva in una cultura politica diffusa su tutto
il territorio nazionale che si prefiggeva il raggiungimento di un'Italia
repubblicana, unita e indipendente attraverso un'insurrezione popolare. Il
volontariato militare, ovvero la formazione di bande di uomini armati che
combattevano per l'indipendenza dell'Italia, aveva caratterizzato tutto il
processo risorgimentale.Più di 300 bande, ad esempio, erano sorte nel 1848 in tutta la Penisola
e migliaia erano stati i volontari che avevano già combattuto sotto il comando
di Garibaldi nel 1848, durante la prima guerra d'indipendenza, nel 1849, per la
difesa della Repubblica romana e nella “fuga” verso Venezia e, nel 1859,
durante la seconda guerra d'indipendenza.Il garibaldinismo non ebbe mai una organizzazione politica di tipo
partitico o una rappresentanza elettorale strutturata in un gruppo
parlamentare, ma incarnò, piuttosto, un'antropologia politica, un modo d'essere
e uno stile di vita, una fedeltà personale verso un uomo simbolo come
Garibaldi.I tratti distintivi del movimento garibaldino consistevano in un forte
afflato ideale e un vigoroso slancio sprezzante di ogni pericolo durante la
battaglia. Ugualmente forti nei suoi uomini erano l'atteggiamento personalmente
disinteressato verso il potere e in una forte spinta verso l'internazionalismo,
nel costante richiamo ai giovani e la costante ostilità nei confronti della
Chiesa e le gerarchie ecclesiastiche.Il garibaldinismo ebbe una caratura militar-rivoluzionaria e una
vocazione politica al tempo stesso nazionale ed internazionale. I garibaldini,
infatti, formavano un mosaico di politici ed intellettuali, borghesi e
artigiani, giovani e idealisti che svolse un ruolo determinante nel processo di
unità nazionale ed esercitò una notevole influenza anche al di fuori dei
confini italiani.In Europa orientale, Garibaldi e i garibaldini divennero l'oggetto delle
speranze di quei democratici locali che, auspicando una soluzione alle loro
rivendicazioni nazionali sulla scia dell'impresa esemplare dei Mille, sostenevano
la necessità di una spedizione nei Balcani che avrebbe messo in crisi l'Impero
asburgico.E in Polonia, nel 1863, il garibaldino Francesco Nullo venne ucciso in
battaglia mentre era alla testa di una formazione di circa 600 volontari, tra
cui alcune decine di camicie rosse, accorsi a combattere accanto agli insorti
polacchi contro la dominazione russa.In Italia, il garibaldinismo rappresentò indubbiamente la più importante
forma di adesione del “popolo in armi” al processo di unità nazionale. I garibaldini
rappresentarono il simbolo dell'iniziativa popolar-democratica che si
contrapponeva all'iniziativa statale del “partito” liberal-monarchico.Il primo nucleo di questo movimento fu costituito dall'Esercito
meridionale garibaldino costituitosi in Sicilia, il 4 giugno 1860, durante la
spedizione dei Mille e bizzarramente autonominatosi come 15° divisione
dell'Esercito sardo. Nel novembre del 1860, però, dopo la partenza di Garibaldi
per Caprera, il re Vittorio Emanuele II firmò il decreto che determinava lo
scioglimento dell'esercito meridionale.L'acceso dibattito che si svolse nella primavera del 1861 sulla sorte
dei reduci della spedizione dei Mille trovò contrapposte alcune personalità
come Manfredo Fanti, che vide nei volontari in camicia rossa degli uomini
nutriti di uno «spontaneo entusiasmo patriottico» e perciò utili solo in alcuni
momenti di emergenza, e soldati di Garibaldi come Francesco Crispi che, invece,
sottolineava il contributo positivo dato alla rivoluzione dai garibaldini e al
processo di costruzione e consolidamento di uno Stato nazionale.La formazione del “Corpo volontari italiano”, nell'aprile del 1861, nel
quale confluirono i garibaldini, e il suo successivo scioglimento, nel marzo
del 1862, sancì, però, l'esclusione dei garibaldini dalle file dell'esercito
regolare nel timore più che fondato di una politicizzazione delle forze armate
in antagonismo al potere civile. I garibaldini furono, di fatto, esclusi e non
integrati nel nuovo Stato nazionale che essi stessi avevano contribuito a
formare.Negli anni successivi, si cercò, da un lato, di neutralizzare il
garibaldinismo con un uso generoso di onorificenze – perfino con una pensione
per i cosiddetti «Mille di Marsala» – create come forma di compenso per la
mancata integrazione nell'esercito; dall'altro lato, i garibaldini vennero
sottoposti ad un'opera sistematica di controllo poliziesco, qualificandoli come
«sovversivi» e rivoluzionari pericolosi.All'emarginazione politica attuato dalla classe dirigente liberale
corrispose, però, anche un'autoemarginazione da parte di molti degli stessi
garibaldini attraverso l'organizzazione di alcune iniziative politiche al di
fuori del Parlamento o addirittura contro il governo italiano, come le
spedizioni ad Aspromonte nel 1862 e a Mentana nel 1867.Garibaldi, sostenuto da un ambiguo atteggiamento della monarchia, si
fece promotore di queste due spedizioni, che si prefiggevano di liberare Roma e
di abbattere lo Stato pontificio. Gli esiti furono fallimentari ma misero in
evidenza, ancora una volta, la grande capacità di attrazione e di mobilitazione
del volontarismo garibaldino.Neanche fallimenti come quelli di Aspromonte e Mentana offuscarono la
capacità attrattiva della figura di Garibaldi e della camicia rossa che,
all'opposto, conservò una carica patriottico-mobilitante, soprattutto tra le
giovani generazioni, nella terza guerra d'indipendenza nel 1866, nella campagna
dei Vosgi nell'inverno del 1870-1871 e anche dopo la morte dello stesso
Garibaldi, almeno fino alla Grande Guerra.Le spedizioni di volontari garibaldini nella guerra russo-turca del
1897, nel conflitto in Libia del 1911-12 e nelle Argonne, in Francia, durante
la prima guerra mondiale, prima che l'Italia decidesse di entrare nel
conflitto, testimoniano la grande capacità attrattiva e mobilitante del
garibaldinismo.Dopo la morte di Garibaldi in molti hanno rivendicato un legame con il
lascito ideale dell'eroe ed è possibile individuare tracce del deposito storico
del garibaldinismo, al tempo stesso patriottico ed internazionalista, popolare
e borghese, in differenti tradizioni politiche novecentesche: dal radicalismo
di destra a quello di sinistra, dal movimento operaio al nazionalismo, dal
fascismo all'antifascismo.
Nessun commento:
Posta un commento