lunedì 12 agosto 2013
Mario Pagano
Francesco Mario Pagano nacque a Brienza, nei pressi di Potenza, l’8 dicembre 1748 da una famiglia di avvocati. Dopo essere rimasto orfano di padre, nel 1762 si trasferisce a Napoli, per intraprendere gli studi umanistici; impara la filosofia sotto la guida dello zio prete Gerardo degli Angioli, grazie da cui viene introdotto alla conoscenza di Vico.Nella grande città borbonica, poi, studia alla facoltà di giurisprudenza ed ha modo di conoscere Antonio Genovesi, di cui fu allievo, e Gaetano Filangieri, suo amico, con il quale condivide l’interesse per la criminologia. Si laurea appena ventenne e Genovesi, che vede in lui un erede, lo invita a partecipare ad un concorso per la cattedra di etica che Pagano perderà, però un anno dopo la otterrà in sostituzione del suo maestro morto improvvisamente. Nel 1769 è già considerato come un grande esperto di cultura classica ed è chiamato “avvocato filosofo” per le sue arringhe ricche di citazioni intellettuali. Successivamente ottiene la cattedra di economia e poi quella di giurisprudenza. Attratto dalla riflessione sul rinnovamento della legislazione penale divenne “avvocato dei poveri”, una sorta di avvocato d’ufficio per i delinquenti più bisognosi; attività per cui sarà sospettato di attività sovversive.Nel 1785 pubblica i “Saggi politici”, con la sua concezione dello Stato e della sua organizzazione. Sempre nello stesso periodo la sua attività dedicata al diritto lo porta a scrivere opere come “Considerazioni sul processo criminale” (1787) o “ Logica dei probabili o teoria delle prove” che lo pongono sullo stesso piano dei grandi illuministi italiani Beccaria e Filangieri e rappresentano il rinnovamento del pensiero giuridico illuminista del Settecento. Si impegna per abolire la tortura: "la confessione, estorta tra i tormenti, è l'espressione del dolore, non già l'indizio della verità".Pubblica tre tragedie: “Gli esuli tebani” (1782), dedicata a Filangieri; “Agamennone” (1787), ambientata in Grecia; “Corradino” (1789) ambientato nel medioevo.Nel 1792 nacque la “Società patriottica” a cui Pagano aderì; questa era una società di uomini illuminati, senza alcun fine rivoluzionario ma con la speranza di portare il sovrano all’interesse verso la cultura. Le autorità borboniche decisero in quegli anni una brusca svolta repressiva e nel 1794 tre giovani patrioti vengono processati per cospirazione antimonarchica e condannati a morte. La “Società” è sciolta ed inquisita e Pagano assumerà la sua difesa nel 1794 nella “Gran causa dei rei di Stato”. Si impegna a fondo per dimostrare l’infondatezza dell’accusa e il fine non eversivo dell’organizzazione; non riesce a salvare i tre giovani dal patibolo ma ne salva altri grazie alla sua abilità; tuttavia 48 persone saranno condannate all’ergastolo o all’esilio e dal ’94 al ’98 ci saranno ben tremila carcerazioni per altri nemici dei Borbone.La sua bravura gli venne riconosciuta e fu nominato giudice del tribunale dell’Ammiragliato ma nel 1796 fa arrestare un avvocato corrotto che accusa Pagano di averlo fatto arrestare per la sua fedeltà al Re. Questo dà ai Borbone il pretesto per liberarsi di lui nonostante il suo prestigio; da tempo il sovrano aveva scatenato le sue spie contro il mondo della cultura napoletana. In febbraio dello stesso anno il filosofo viene arrestato e trattenuto per ben 29 mesi in carcere senza alcun processo; nel 1798, non essendosi trovate alcune prove contro di lui, viene liberato.Dopo la scarcerazione si rifugiò a Roma, accolto con entusiasmo dalla Repubblica Romana che offrirà all’esule una cattedra di diritto pubblico con uno stipendio che gli consente a malapena di sopravvivere. Quando la Repubblica cade, Pagano va a Milano ma il 23 gennaio 1799 a Napoli viene abbattuta la monarchia e Pagano ritorna subito nella città e diviene membro del governo e presidente del Comitato di legislazione. Il filosofo è l’assoluto protagonista: da febbraio ad aprile fa approvare diverse leggi volte a rivoluzionare l’apparato del Regno di Napoli e dà alle stampe la Costituzione Repubblicana che tuttavia non entrerà mai in vigore a causa della breve durata della repubblica (cinque mesi). Il 5 giugno, infatti, il Governo provvisorio è costretto a richiamare alle armi la popolazione perché le armate reazionarie si stanno avvicinando, aiutate dagli inglesi. Anche Pagano combatte strenuamente per la difesa di San Martino ma purtroppo sarà costretto poco dopo a trattare la resa con gli inglesi del celebre Ammiraglio Nelson, l’artefice del crollo della Repubblica Partenopea. È una resa condizionata e la condizione, per Pagano, prevede la sua detenzione su una nave inglese in attesa di giudizio. I patti non saranno rispettati e Re Ferdinando IV si fa consegnare il filosofo da Nelson per rinchiuderlo a Castel Nuovo nel Maschio Angioino. Per fiaccarne le forze sarà messo dentro alla “fossa del coccodrillo”, la zona più buia e umida riservata ai criminali più pericolosi. In seguito sarà rinchiuso a Poggioreale assieme ad altri 119 rivoltosi. Il processo a cui viene sottoposto è già segnato: il giudice gli disse che non avrebbe preso atto della sua dichiarazione in quanto sia la Corte, sia il popolo volevano la sua morte. Pagano rispose che auspicava un futuro in cui il popolo avrebbe parlato attraverso di sé e non per i suoi rappresentanti così bugiardi e corrotti come il giudice del suo processo.Il 29 ottobre 1799 un Pagano ormai distrutto anche fisicamente dalla dura prigionia viene impiccato in piazza Mercato assieme a Domenico Cirillo, Giorgio Pigliacelli ed Ignazio Ciaja. Per uno strano ricorso storico, l’illuminista sarà impiccato lo stesso giorno (29 ottobre 1268) e nello stesso punto in cui venne impiccato Corradino di Svevia, a cui Pagano aveva dedicato una tragedia.
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