/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": Giustiziati a Fantina da soldati piemontesi

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martedì 30 agosto 2016

Giustiziati a Fantina da soldati piemontesi

La storiografia ufficiale sul periodo del Risorgimento in Sicilia (ma anche in Italia) non è come la studiamo nei libri di scuola. La cosiddetta unità d’Italia fu anche tragedia. Fu anche scontro fra italiani e gli stessi garibaldini italiani. Fu l’annessione forzata della Sicilia e del Sud al Regno del Piemonte che, come scrisse il generale Enrico Cialdini al re, produsse “8968 fucilati, tra cui 64 preti e 22 frati; 10604 feriti; 7112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi”.Abbiamo pubblicato articoli su Garibaldi e abbiamo ricordato e scritto sulla strage di Bronte avvenuta il 10 agosto 1860 quando Bixio, con un processo sommario, fece fucilare 16 persone ritenute sovversive. Quello che vi raccontiamo ora è la cronaca di ciò che avvenne nel paesino di Fantina (nelle vicinanze di Novara di Sicilia nel Messinese) il 3 settembre 1862.L’episodio, meglio conosciuto come “l’eccidio di Fantina” si verificò sei giorni dopo che Garibaldi fu ferito sull’Aspromonte dai bersaglieri del generale Pallavicini che aveva avuto l’ordine perentorio da Vittorio Emanuele II di bloccare l’avanzata verso Roma del nizzardo per conquistarla. Da quel momento alle truppe sabaude fu comandato di rintracciare e catturare ogni garibaldino e considerarlo un traditore. Furono in quasi duemila quelli che vennero scovati e arrestati insieme ad altri soldati che avevano precedentemente abbandonato i loro reparti per unirsi a Garibaldi.A divulgare per primo la notizia dell’infame misfatto piemontese consumatosi a Fantina fu un giornale di Genova che nella primavera del 1865 anticipò di pochi giorni ciò che avrebbe poi scritto Giuseppe Bennici nel suo libro. Riferendosi all’eccidio di Fantina, egli affermò: “Finché non ebbi documenti in mano, io stentai a prestar fede ai primi racconti; perché giammai non avrei creduto potersi in Italia, in pieno secolo decimonono, fra tanto vanto, consumare una così nera scelleraggine”.Era la sera del 2 settembre 1862, quando un battaglione del 47° fanteria comandato dal maggiore piemontese Giuseppe De Villata, proveniente dall’esercito austriaco, sorprendeva e faceva prigionieri una cinquantina di volontari garibaldini sbandati appartenenti alla colonna del maggiore Carlo Trasselli di Palermo, arrivati nelle vicinanze di Fantina stressati dalla fame e dalla sete. Avendo saputo della catastrofe dell’Aspromonte, cercavano di raggiungere il municipio per deporre le armi e quindi sciogliersi.Il ferimento e l’arresto di Garibaldi sull’Aspromonte avevano profondamente amareggiato quei giovani garibaldini che, per mancanza di spazio, non essendosi potuto imbarcare con lui per la Calabria e che ora erano braccati dal generale Cialdini, il quale con un decreto del 31 agosto aveva invitato i soldati del re a considerare e a trattare come briganti i garibaldini che non si fossero costituiti all’autorità militare entro cinque giorni.I fuggitivi, bussando alle loro porte, riuscivano dai contadini della zona a procurarsi qualche pezzo di pane e un bicchiere d’acqua per ristorarsi un po’. Sorpresi però dalle regie truppe mentre dormivano nel pieno della notte, senza fare resistenza, furono fatti quasi tutti prigionieri di guerra mentre alcuni scapparono e si allontanarono dalla borgata. Condotti da De Villata, questi esclamò se fra loro vi fossero dei disertori. In sette si fecero avanti, essendo stati prima incoraggiati dal maggiore Trasselli a dichiararsi tali per essere perdonati e aver salva la vita.Ma le cose non andarono come aveva promesso il loro comandante. Violando ogni codice penale militare di guerra, senza alcun processo, senza rispetto per la vita umana, senza pietà cristiana De Villata ordinò al capitano Rossi di eseguire subito la fucilazione che venne effettuata lungo la riva di un torrente del paese. Furono concessi soltanto dieci minuti da dedicare alla preghiera prima di essere sparati. Non avrebbero temuto la morte battendosi sul campo di battaglia contro il nemico ma ora non riuscivano a rassegnarsi nel sapere di dover morire trafitti da pallottole fraterne.



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