lunedì 21 dicembre 2009

Ippolito Nievo

Nacque a Padova il 30 novembre 1831, figlio di Antonio, avvocato di nobili origini mantovane, e di Adele Marin, discendente dai Colloredo di Mont’Albano nel Friuli. Il teatrino feudale di Fratta che prenderà vita nel Le Confessioni d’un Italiano è dunque già presente nella famiglia stessa di Ippolito: possiamo immaginare come nasca l’affettuosa ironia con cui lo scrittore guarderà ai vezzi e alle manie del mondo aristocratico. Dopo avere trascorso i primi anni dell’infanzia in varie città del Lombardo Veneto, sempre seguendo il padre nei suoi spostamenti di lavoro, nel 1841 Ippolito entra a convitto nel collegio del seminario di Verona, dove si iscrive al ginnasio di Sant’Anastasia, che continuerà a frequentare da esterno quando, due anni dopo, lo lascerà. Nel 1847 Nievo, superati gli esami, torna nella casa di famiglia a Mantova. Da questo momento in poi, la biografia personale del giovane Ippolito è legata a doppio filo con le vicende storiche e politiche del suo tempo, dominate dai movimenti patriottici e dai moti anti austriaci: un legame su cui si costruirà anche l’intreccio del suo futuro capolavoro, il cui protagonista, Carlino Altoviti, è stato definito a ragione un «picaro del Risorgimento». A Mantova infatti, Nievo partecipa al tentativo insurrezionale del 1848, fallito il quale, lascia deluso la città insieme all’amico Attilio Magri, con cui trascorre alcuni mesi a Cremona. Qui nasce l’idillio con Matilde Ferrari, durato due anni e futuro motivo ispiratore del romanzetto Antiafrodisiaco per l’amor platonico, composto nel 1851.



Conseguita la licenza liceale, Nievo si iscrive al corso di diritto presso l’università di Pavia. Ma anche se sarà uno studente brillante e raggiungerà la laurea in utroque iure nel 1855, tuttavia, la sua mente, le energie e i suoi reali interessi sono ormai rivolti altrove. Nel 1852 inizia infatti la sua attività di pubblicista, che proseguirà sempre accanto al lavoro letterario. Nel 1854 esce presso l’editore Vendrame di Udine il primo volumetto dei Versi, raccolta di poesie pubblicate in precedenza sulla rivista «L’Alchimista friulano». Nello stesso anno Nievo esordisce anche come drammaturgo: viene rappresentato a Padova, in verità con scarso successo, il suo dramma Gli ultimi giorni di Galileo Galilei. Ma ormai la strada dello scrittore è decisamente segnata: deluso dalla situazione politica del suo paese, Ippolito nel 1855 si ritira in campagna, a Fossato di Rodigo, e qui ha inizio un periodo di intensa produttività artistica. Si intrecciano in questi mesi i progetti narrativi dei romanzi Angelo di bontà e Il conte pecorajo, de Il Varmo e di altre novelle campagnole, mentre già comincia a delinearsi nella mente dell’autore l’abbozzo di quelle che saranno Le Confessioni d’un Italiano, il suo capolavoro. Inoltre, con la sua attività pubblicistica, Nievo si avvicina sempre più al giornalismo militante milanese e collabora con Giovanni De Castro, direttore del settimanale «Il Caffè». L’anno successivo, nel 1856, il racconto L’Avvocatino, pubblicato sul foglio milanese «Il Panorama universale», gli procura un processo per vilipendio alle autorità austriache: Nievo assume il patrocinio di se stesso, ed è quindi costretto a trascorrere lunghi periodi a Milano per seguire le vicende giudiziarie. Una seccatura solo in apparenza: in realtà, è l’occasione per godere del vivace clima culturale milanese e partecipare ai dibattiti politici e letterari che animavano quella che agli occhi del provinciale Nievo doveva sembrare una favolosa metropoli. Ritornato a Colloredo, Nievo scriverà all’amico Carlo Gobio, ancora nella città lombarda: «Vo’ profugo per deserti interminati, in grandi stivali alla Suwarov col fango fino ai ginocchi; siedo nelle stalle a disputare coi contadini, mi turo gli orecchi a qualche eco di non lontani rumori che giunge fino a noi (...) – E voi che ne fate della vostra vita Beniamini di Domeneddio? – Oh quanto volentieri spirerei un pocolino i profumi dei risotti e delle panne Milanesi!... Ma... Peraltro il mio processo ha saltato la siepe; e il delitto si è cangiato in semplice contravvenzione di stampa! perciò spero ricevere il passaporto». Si vede bene come il rammarico per aver lasciato Milano sia ben maggior del sollievo per lo scioglimento della questione giudiziaria, che in verità non aveva mai costituito una grande fonte di preoccupazione per Nievo. E possiamo pensare che anche il soggiorno a Milano, con i suoi infiniti stimoli e le svariate suggestioni intellettuali, abbia contribuito alla messa a punto del grande romanzo di Nievo, steso in pochi mesi di febbrile lavoro tra il 1857 e il 1858 (verrà pubblicato solo due anni dopo, con il titolo riveduto Le Confessioni d’un ottuagenario). Negli ultimi anni della sua breve vita Nievo sembra accantonare l’attività letteraria per abbracciare un approccio più attivo alla storia e ai problemi dell’Italia contemporanea. In realtà, la letteratura è sempre presente in filigrana, e sempre lo accompagna sia pure nella forme più erratiche e frammentarie della lettera, dell’appunto poetico, del diario. È del 1859 il notevole saggio La rivoluzione nazionale, rimasto incompiuto e pubblicato postumo. Unitosi alle truppe garibaldine, il 5 maggio del 1860, Nievo salpa da Quarto a bordo del Lombardo con Nino Bixio e Giuseppe Cesare Abba; si distinguerà a Calatafimi e a Palermo, e Garibaldi gli affiderà la viceintendenza generale della spedizione. Tornato al Nord tra il 1860 e il 1861, a febbraio Ippolito riceve l’ordine di tornare a Palermo per raccogliere la documentazione necessaria a smentire una campagna di dicerie calunniose montata contro l’amministrazione garibaldina. Il 4 marzo si imbarca sul piroscafo Ercole, di ritorno verso il continente: la nave si inabisserà nel Tirreno, al largo di Napoli. Il relitto non verrà mai ritrovato.



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