La ricostituzione dell'esercito fu estremamente lenta anche per l'abolizione della coscrizione obbligatoria, ripristinata nel 1823, e per maggior sicurezza del sovrano furono arruolati quattro reggimenti di mercenari svizzeri. Il 3 luglio 1823 fu stipulato il primo di una serie di "capitolazioni" con il cantone di Lucerna per il primo reggimento e successivamente con i cantoni di Uri, Ticino, Unterwalden, Appenzell, Friburgo e Soleure per gli altri tre. "Le capitolazioni militari dei Reggimenti svizzeri al servizio di Sua Maestà il Re del Regno delle Due Sicilie" avevano una durata di trenta anni e potevano essere rinnovate 18 mesi prima della scadenza. Ogni reggimento, che prendeva il nome del suo comandante, aveva una forza di 1.451 uomini divisi in sei battaglioni, su quattro compagnie fucilieri, una di granatieri e una di cacciatori supportati da un reparto di artiglieria. Le compagnie fucilieri erano dette "cantonali", le altre "scelte". Ogni reggimento doveva avere 480 soldati non svizzeri, con esclusione dei sudditi austriaci e degli stati italiani. La ferma era di quattro o sei anni. Tutti i reggimenti svizzeri presidiavano Napoli. Il primo era accasermato al castello del Carmine, il secondo a San Giovanni a Carbonara, il terzo a San Domenico Soriano e a San Potito e il quarto ai SS. Apostoli. Di questi reparti l'ambasciatore britannico a Napoli scriveva "Le uniche truppe sulle quali ci sia da fare affidamento sono quelle svizzere". Il Montecuccoli nel suo Trattato della guerra poteva sostenere "un esercito composto da diverse nazioni è utile per l'emulazione e per le diverse attitudini", ma restava un senso di acuto disagio nella parte migliore del paese.
I reggimenti svizzeri rappresentarono il migliore sostegno per il re, il ricordo della strenua resistenza e del massacro della guardia svizzera di Luigi XVI il 10 agosto 1792 nei giardini delle Tuileries ad opera della plebe parigina non era lontano ed essi mostrarono la loro fedeltà e il loro valore reprimendo in sette ore i moti del 1848 a Napoli. Il quindici maggio si fronteggiavano reparti militari ed estremisti rivoluzionari che avevano eretto una serie di barricate a Toledo, tra via Pignasecca e piazza Carità, a Chiaia, all'Infrascata, a Monteoliveto, a Santa Teresa, a Castel Capuano, a Santa Brigida e a San Carlo davanti ai giardini reali. Nella mattinata il re convocò il sindaco e lo invitò a farle rimuovere ma i rivoltosi si rifiutarono. Improvvisamente da quella di via Toledo partirono colpi di fucile che ferirono due soldati in piazza San Ferdinando, le truppe risposero, il fuoco si estese a tutte le barricate. I reggimenti svizzeri provenienti da San Ferdinando attaccarono e sfondarono le barricate erette in via Toledo e in via Santa Brigida, avanzarono flagellati dal fuoco delle vicine case, presero d'assalto il palazzo Cirella e, imbestialiti per le gravissime perdite subite, trucidarono tutti coloro che si trovarono di fronte. Il quarto reggimento ebbe un centinaio tra morti e feriti, il terzo reggimento una cinquantina. Particolarmente gravi furono le perdite tra gli ufficiali: il capitano de Muralt colpito a una mano perse tre dita, continuò ad avanzare, ferito alla scapola non si fermò fino a quando fu freddato con una palla in testa mentre scavalcava una barricata. Il capitano Sturler del primo reggimento capeggiava il suo reparto che procedeva in via Toledo rasente i muri quando si sentì chiamare da una voce femminile "Capitano Sturler! Capitano Sturler!". Fermatosi alzò il volto a una casa di fronte e venne centrato da una palla in fronte.I soldati elvetici costituivano con le loro marsine rosse, pantaloni e cappotto azzurri una colorita componente della variopinta vita cittadina. Venivano chiamati dai napoletani "Titò" che nasceva dalla espressione con i quali i soldati li interpellavano "Dis donc" [dimmi, orsù]. Particolarmente stimati dal re godevano di vitto e trattamento economico migliori dei reparti napoletani con i quali non correva buon sangue. Nel 1835 un colonnello napoletano di fanteria percepiva 1.704 ducati all'anno, un parigrado svizzero 2.857, i capitani rispettivamente 600 e 1.036, i secondi tenenti 312 e 540. Le differenze si estendevano anche ai soprassoldi. Di fronte alle loro possibilità economiche era uso a Napoli dire per un acquisto non particolarmente costoso "E' svizzere se ne vevono annice". Dopo i moti costituzionali del 1848 la Confederazione svizzera, anche sull'onda delle proteste dei circoli liberali europei, non continuò negli arruolamenti affidati a privati e alla scadenza le "convenzioni" non vennero rinnovate. Il re si accordò personalmente con i comandanti dei reggimenti, ma nel 1859 il governo svizzero dispose che tutti gli svizzeri che militavano sotto le bandiere di altri Stati perdessero temporaneamente la cittadinanza e proibì l'uso degli emblemi cantonali sulle bandiere.
Una rivolta scoppiò il 7 luglio nella caserma del Carmine dove erano acquartierate quattro compagnie del terzo reggimento. I soldati, che chiedevano la conservazione del nome di truppe svizzere, delle insegne dei cantoni e della croce federale sulle bandiere lamentando la perdita dei loro privilegi, ribellatisi ai loro superiori si diressero a San Carlo all'Arena e poi a San Potito dove si trovavano altri reparti, si impossessarono della bandiera del quarto reggimento dopo una violenta colluttazione che causò un morto e arrivarono alla Reggia di Capodimonte per esporre al re le loro ragioni. Invitati a recarsi al Campodi Marte di Capodichino per avere una risposta furono circondati da truppe napoletane agli ordini del generale Nunziante e, dopo un violento scontro con morti, rientrarono in massima parte in Svizzera. Solo una esigua minoranza si arruolò nei Cacciatori Carabinieri del colonnello von Mechel. Venne così meno uno dei puntelli della monarchia.
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