venerdì 26 dicembre 2014

Benvenuto nel Compendio Garibaldino di Caprera


Benvenuti nella dimora dell'Eroe dei Due Mondi, suo Eden, ove visse venticinque anni rasserenando l'animo occupandosi della coltivazione dei campi e coltivando il frutteto, il vigneto e l'aranceto. Il Compendio Garibaldino di Caprera è un sito di forte emozione e di sentimenti atti a rivalutare aspetti della vita spesso trascurati ai nostri giorni. Questa dimora è segno della sua vita frugale, del piacere di godere della natura dell'isola di Caprera. In questa pace egli ebbe modo di riflettere e preparare le grandi imprese che cambiarono il profilo della Nazione; il suo spirito concepì quanto fattivamente portò il Generale ad essere uno degli uomini determinanti del nostro Risorgimento. In questo ambito, lontano dal frastuono della città, accanto ai suoi animali e sempre accompagnato dalla zappa egli si sentì felice e volle essere sepolto nel piccolo cimitero di famiglia, che aveva creato nel cuore stesso della fattoria.

domenica 14 dicembre 2014

Carlo Lorenzini

Carlo Lorenzini è conosciuto principalmente per essere soltanto il "padre" di Pinocchio, nonostante la sua vita sia stata caratterizzata da un impegno patriottico (che lo portò a partecipare alla prima e alla seconda guerra d'indipendenza) e da una ricca attività giornalistica. Tra i vari periodici dell'epoca, particolare attenzione viene riservata al suo lavoro presso "Il Lampione", foglio di cui fu collaboratore e direttore nel biennio 1848-1849 e nel 1860-1861, ovvero in concomitanza di momenti storici particolarmente importanti per la nazione italiana. L'attività in questo ed altri giornali dell'epoca viene dunque indagata alla luce di quella passione politica che fu tratto maggiormente caratteristico di Carlo Lorenzini e che lo portò infine all'approdo all'ambito pedagogico.

domenica 30 novembre 2014

La spedizione dei Savoia

A partire dal giugno 1833, Mazzini, esule a Ginevra, riprese i preparativi per un'azione dall'esterno contro il Regno sardo, progettando una spedizione in Savoia e un colpo di mano insurrezionale a Genova. Ottenuti fondi da alcuni ricchi esuli lombardi, egli cominciò a reclutare forze tra gli italiani, i polacchi e i tedeschi residenti in Francia e in Svizzera, e scelse di affidare il comando militare della spedizione a Gerolamo Ramorino, generale nell'esercito piemontese, esule dal 1821.Mazzini scongiura il generale Ramorino di guidare la spedizione in Savoia. Ramorino non voleva partire perché aveva trovato solo poche decine di patrioti - Museo del Risorgimento - Torino Accettato l'incarico nell'ottobre, con l'impegno di organizzare una legione di un migliaio di uomini, Ramorino partì però per Parigi, tornando a Genova senza alcuna legione il 31 gennaio 1834, a pochi giorni dalla data stabilita per l'avvio della spedizione, e dopo aver sperperato al tavolo da gioco tutto il denaro messo a sua disposizione.Benché Mazzini avesse nel frattempo raccolto alcune centinaia di uomini e svolto un lavoro preparatorio in Savoia, il governo piemontese, insospettito dai movimenti degli esuli ai confini sabaudi, aveva preso le necessarie misure di sicurezza.Proprio al momento di dare il via alla spedizione, poi, i governi cantonali di Ginevra e di Vaud, preoccupati che un'eccessiva tolleranza potesse avere ripercussioni sul piano internazionale, disarmarono la colonna costituita da polacchi e tedeschi.Al luogo di concentramento della spedizione non si trovarono così più di duecento uomini. Nonostante le insistenze di Mazzini, Ramorino si rifiutò allora di procedere oltre e la spedizione si sciolse il 3 febbraio 1834; un secondo gruppo di patrioti, penetrato in Savoia da Grenoble, fu quindi respinto dai carabinieri.Fallita miseramente la spedizione in Savoia, svaniva anche il progetto del moto di Genova, alla cui preparazione aveva, peraltro, partecipato Giuseppe Garibaldi.Mazzini scongiura il generale Ramorino di guidare la spedizione in Savoia  Ramorino non voleva partire perché aveva trovato solo poche decine di patrioti

venerdì 14 novembre 2014

Zurlo Francesco

Baranello (Campobasso), 1757 – Napoli, 1828
 Conte. Uomo politico. Allievo di Filangieri, fu giudice della Gran corte della Vicaria, avvocato fiscale del Reale patrimonio, direttore della Finanza (1798); al ritorno dei Borboni, resse il ministero delle Finanze (1800-03). Durante il decennio francese fu consigliere di Stato (1808), ministro della Giustizia (1809) e infine ministro dell'Interno fino al 1815. Esiliato al ritorno di Ferdinando IV, poi riammesso nel Regno, nel 1820 fu nominato ministro dell'Interno del governo costituzionale. Studioso di problemi economici, nel 1790 aveva pubblicato un'opera sulla Sila, nella quale aveva cercato di determinare le ragioni che rendevano passivo quel vasto territorio della Corona.

mercoledì 22 ottobre 2014

VINCENZO CARBONELLI

Insigne patriota, compì i primi studi presso il seminario predilendo i grandi della letteratura latina ed italiana, quali Livio, Tacito, Dante, Machiavelli, Alfieri e Foscolo. Sono i grandi che predilesse, le cui “ossa sembrano ancor fremere amor di patria”. Andò a Napoli a studiare medicina e si iscrisse alla “Giovane Italia”.Il suo “vivace” carattere ne fece un “capo” fra i giovani che lo conoscevano e lo seguivano.  Lo sdegno contro la tirannide, l’odio contro chi usurpava la sua terra con il proprio dominio, venne alimentato dall’esito negativo della spedizione dei fratelli Bandiera, ragion per cui si impegnò in prima linea per indurre il governo borbonico a concedere un sistema politico meno oppressivo e più libero.Le riforma di Pio IX, di Carlo Alberto e del Granduca di Toscana alimentarono di speranza gli ideali patriottici, anche se Fernando II perseverava nel suo vetusto sistema poliziesco.L’insurrezione di Palermo e la proclamazione della Repubblica in Francia diedero l’avvio ai moti rivoluzionari nel Mezzogiorno. Il 12 febbraio 1848 il nostro concittadino, alla testa di accesi liberali, diede vita ad una significativa rivolta. Percorrendo le vie di Napoli gridava”Abbasso il fedifrago Bozzelli”, che da liberale era diventato reazionario. Passò davanti al palazzo dell’Ambasciatore d’Austria, si appropriò dello stemma che raffigurava l’aquila bicipide, la ruppe e distribuì i pezzi a coloro che erano con lui. Era palese lo sdegno verso la nazione che aveva sostenuto i borboni e l’aveva privato della libertà. Il Bozzelli si salvò ma il ministero reazionario cadde.Il 10 marzo chiese ed ottenne l’espulsione dei gesuiti. Dopo aver partecipato ad altri conflitti tumultuosi si rifugiò a Roma, accostandosi ai repubblicani.Presidente del Comitato dei cospiratori contrastò e si prodigò per abbattere il potere temporale dei Papi; con la proclamazione della repubblica romana, avendo saputo di essere stato condannato a morte, si arruolò, con Mameli ed altri, al seguito di Garibaldi.Caduta la Repubblica volle raggiungere Venezia, ultimo presidio austriaco. Fu fatto prigioniero e sottoposto a crudeli torture, ma una notte si precipitò in mare e fu salvato da un veliero turco che lo portò in salvo in un villaggio presso Costantinopoli.Riuscì a raggiungere Marsiglia e poi Parigi, ma fu espulso per aver ancora una volta cospirato contro il Borbone.A Genova entrò in contatto con il Pisacane e quando nel 1854 scoppiò il colera si dedicò a curare i malati.Ecco nel frattempo sopraggiungere la Spedizione dei Mille: vi prese parte col grado di maggiore.Catalafimi lo vide valoroso combattente, al Ponte dell’Ammiragliato salvò Benedetto Cairoli.Calmò i tumulti accesi in Irpinia e partecipò alla battaglia del Volturno.Fedele agli ideali mazziniani e garibaldini, combattè durante la terza guerra d’indipendenza nel Tirolo contribuendo alla vittoria di Bezzecca.Sempre tra i seguaci di Garibaldi prese parte alle imprese di Monterotondo e Mentana.Il 18 novembre 1865 fu eletto dai suoi tarantini deputato e, postosi alla sinistra, difese con veemenza la democrazia e i diritti di Taranto.Morì a Roma nel 1901, portando con sé il ricordo di quanto aveva fatto  fieramente come patriota per l’unità e la grandezza dell’Italia e, nella vita privata, come medico.La città di Taranto gli dedicò una delle piazze principali.



domenica 12 ottobre 2014

RICORDIAMO L'AUTUNNO DEL 1864 COME IL PERIODO DI FONDAZIONE DI FIRENZE CAPITALE D'ITALIA!

Esattamente 150 anni fa, a partire dal 15 settembre, con gli accordi tra Italia e Francia ovvero la "convenzione di settembre" con cui l'Italia s'impegnava a non invadere lo stato della Chiesa, prima, poi con i tumulti popolari di Torino del 21-22 settembre contro lo spostamento della capitale(più di 500 vittime),e l'iter parlamentare che si concluse il 19 novembre con il voto favorevole di 269 deputati, Firenze divenne capitale d'Italia col proposito di avvicinare la capitale al centro geografico del paese, ideale auspicato da sempre da Garibaldi. Nello stesso anno, per non creare alcun alibi a coloro che gridavano al "complotto massonico" contro Torino,il generale dovette dimettersi da gran maestro della massoneria, e dedicarsi alla prima internazionale dei lavoratori(fondata pochi mesi prima)e alla Lega internazionale della Pace e della Libertà.I torinesi forse avevano ragione di recriminare su questa decisione visto che il Piemonte era lo stato che aveva dato "corpo" legale e militare al nuovo stato italiano, tuttavia altre regioni avevano partecipato al moto d'indipendenza nazionale, e ricordiamo la Sicilia che aveva dato fiatoalla rivolta di tutto il sud, la Sardegna che aveva preservato il Regno sabaudo negli anni bui di Napoleone,l'Emilia-Romagna e soprattuttoil Granducato di Toscana che si erano uniti liberamente al regno d'italia(sabaudo)pur trovandosi in una situazione economica-sociale non del tutto spregevole!I fiorentini sapevano bene che la loro città sarebbe stata una capitale di "passaggio" in vista di Roma, baricentro d'italia, ma erano ben consci,come lo siamo ancora noi oggi,che Firenze era, comunque, la capitale delle arti e della letteratura italiana, ed è ancora un primato fiorentino che s'identifica col PRIMATO DEGLI ITALIANI, quello di dare al mondo l'ideale della BELLEZZA che -come disse Dostojevsky- "E' l'ideale che salverà il mondo!"

mercoledì 8 ottobre 2014

AMOR DI PATRIA

"Perché amo l’Italia? Non ti si son presentate subito cento risposte? Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano perché è italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove son nato, la lingua che parlo, i libri che m’educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh tu non puoi ancora sentirlo intero quest’affetto. Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo, dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento, vedrai all’orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell’onda impetuosa di tenerezza che t’empirà gli occhi di lagrime e ti strapperà un grido dal cuore. Lo sentirai in qualche grande città lontana, nell’impulso dell’anima che ti spingerà fra la folla sconosciuta verso un operaio sconosciuto dal quale avrai inteso passandogli accanto, una parola della tua lingua. Lo sentirai nello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue alla fronte, quando udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca d’uno straniero. Lo sentirai più violento e più altero il giorno in cui la minaccia d’un popolo nemico solleverà una tempesta di fuoco sulla tua patria, e vedrai fremere armi d’ogni parte, i giovani accorrere a legioni, i padri baciare i figli, dicendo: - Coraggio! - e le madri dire addio ai giovinetti, gridando: - Vincete! - Lo sentirai come una gioia divina se avrai la fortuna di veder rientrare nella tua città i reggimenti diradati, stanchi, cenciosi, terribili, con lo splendore della vittoria negli occhi e le bandiere lacerate dalle palle, seguiti da un convoglio sterminato di valorosi che leveranno in alto le teste bendate e i moncherini, in mezzo a una folla pazza che li coprirà di fiori, di benedizioni e di baci. Tu comprenderai allora l’amor di patria, sentirai la patria allora, Enrico. "
Cuore-Edmondo De Amicis

(perdonate la fonte ripetitiva delle citazioni, ma questo libro esprime perfettamente tutti i valori italiani,i valori in cui credo, quei valori che hanno reso grande la nostra patria e che tutti dovrebbero seguire, ma che purtroppo stiamo perdendo)

lunedì 6 ottobre 2014

FIRENZE CAPITALE D'ITALIA



 
 RICORDIAMO L'AUTUNNO DEL 1864 COME IL PERIODO DI FONDAZIONE DI FIRENZE CAPITALE D'ITALIA!
Esattamente 150 anni fa, a partire dal 15 settembre, con gli accordi tra Italia e Francia ovvero la "convenzione di settembre" con cui l'Italia s'impegnava a non invadere lo stato della Chiesa, prima, poi con i tumulti popolari di Torino del 21-22 settembre contro lo spostamento della capitale(più di 500 vittime),e l'iter parlamentare che si concluse il 19 novembre con il voto favorevole di 269 deputati, Firenze divenne capitale d'Italia col proposito di avvicinare la capitale al centro geografico del paese, ideale auspicato da sempre da Garibaldi.
Nello stesso anno, per non creare alcun alibi a coloro che gridavano al "complotto massonico" contro Torino,il generale dovette dimettersi da gran maestro della massoneria, e dedicarsi alla prima internazionale dei lavoratori(fondata pochi mesi prima)e alla Lega internazionale della Pace e della Libertà.
I torinesi forse avevano ragione di recriminare su questa decisione visto che il Piemonte era lo stato che aveva dato "corpo" legale e militare al nuovo stato italiano, tuttavia altre regioni avevano partecipato al moto d'indipendenza nazionale, e ricordiamo la Sicilia che aveva dato fiatoalla rivolta di tutto il sud, la Sardegna che aveva preservato il Regno sabaudo negli anni bui di Napoleone,l'Emilia-Romagna e soprattuttoil Granducato di Toscana che si erano uniti liberamente al regno d'italia(sabaudo)pur trovandosi in una situazione economica-sociale non del tutto spregevole!
I fiorentini sapevano bene che la loro città sarebbe stata una capitale di "passaggio" in vista di Roma, baricentro d'italia, ma erano ben consci,come lo siamo ancora noi oggi,che Firenze era, comunque, la capitale delle arti e della letteratura italiana, ed è ancora un primato fiorentino che s'identifica col PRIMATO DEGLI ITALIANI, quello di dare al mondo l'ideale della BELLEZZA che -come disse Dostojevsky- "E' l'ideale che salverà il mondo!" 

sabato 13 settembre 2014

MONTAZIO ENRICO

 Giornalista, nato a Portico di Romagna il 28 settembre 1816, morto a Firenze il 22 ottobre 1886. Il suo vero cognome era Valtancoli. Studiò lettere e medicina all'università di Pisa, ma si dedicò alla vita del pubblicista. Dopo aver collaborato a Firenze a varie pubblicazioni, fondò prima un periodico letterario, La Rivista di Firenze (1843) e poi un giornale politico, Il Popolano (1847), che, specialmente nel 1849, diventò espressione della più scalmanata demagogia, tanto da procurare al M. di essere condotto dinnanzi alla corte regia nel noto processo di lesa maestà, dove fu condannato alla pena dell'ergastolo per novanta mesi, per i violenti articoli scritti dopo la fuga del granduca. Commutatagli la pena nell'esilio, si recò a Marsiglia e poi a Parigi. Ivi dette la sua collaborazione a diversi periodici, e uno ne fondò egli stesso, L'Appel, mentre mandava corrispondenze a giornali notoriamente sovvenzionati dall'Austria; ond'è che s'ebbe biasimi e deplorazioni da patrioti italiani. Da Parigi passò a Londra, e anche qui trovò modo di esercitare il mestiere di giornalista, dirigendo la Presse de Londres e scrivendo articoli per quotidiani londinesi. Fallitogli nel 1860 il disegno di una spedizione di volontarî in soccorso di Garibaldi e tornato in Italia, diresse a Torino Il Mondo illustrato e La Rivista contemporanea, scrisse articoli e romanzi per varî giornali e, pur continuando a risiedere a Torino, uno ne fondò a Firenze, L'Italia contemporanea. A Firenze fece ritorno nel 1865 dopo il trasferimento della capitale e collaborò a giornali fiorentini e anche a qualche giomale straniero. Ma il più della sua attività diede a La Gazzetta d'Italia, adattandosi anche alle funzioni di traduttore di romanzi stranieri, quando non ne scriveva di proprî. Poligrafo inesauribile, egli era diventato negli ultimi anni di vita siffattamente venale da mettere la sua penna a servigio di chiunque lo pagasse; ond'è, che molta della sua produzione rimane sconosciuta. Incostante di carattere ed avido di guadagno, non ebbe alcuna dirittura politica.

lunedì 8 settembre 2014

Plezza Giacomo

Plezza Giacomo  
Cergnago (Pavia), 1806 – ivi, 1893
 

Ricco proprietario terriero, fu senatore del Regno di Sardegna nel 1848. Nel 1859 fu commissario straordinario di Alessandria, incaricato di reggere con pieni poteri il territorio circostante. In buoni rapporti con Garibaldi, trattò con lui nel 1862 e si adoperò per evitare la spedizione di Aspromonte, come risulta da una corrispondenza con il generale resa pubblica alla Camera nel novembre di quell'anno. Suo figlio fu tra i volontari garibaldini del 1866.

sabato 6 settembre 2014

Il Congresso di Vienna

RICORRE IL 16 SETTEMBRE LA DATA NON UFFICIALE DELL'AVVIO DEL CONGRESSO DI VIENNA(1 NOVEMBRE1814).
LE POTENZE VINCITRICI SU NAPOLEONE(AUSTRIA,GRAN BRETAGNA,RUSSIA E PRUSSIA)MENTRE QUESTI ERA ALL'ISOLA D'ELBA IN ESILIO , AVEVANO GIà DECISO DI TORNARE ALL'ANCIEN REGIME, OVVERO ALLE DOMINAZIONI PRECEDENTI LA RIVOLUZIONE FRANCESE, CON QUALCHE ECCEZIONE,TRA CUI LA SICILIA.INFATTI LA GRAN.BRETAGNA CHIESE PER I POPOLI CHE L'AVEVANO GIà AVUTA, IL RISPETTO DELLE COSTITUZIONI, E TRA QUESTE ERA QUELLA DEL 1812 CONQUISTATA DALLA SICILIA,DALLA SPAGNA,DALLA CORSICA,ECC.INIZIALMENTE ,PER LA PRESENZA DI MURAT A NAPOLI-CHE AVEVA IL CONSENSO DELLA SANTA ALLEANZA-I BORBONE DI NAPOLI FURONO MOLTO CAUTI E PER BOCCA DELL'AMBASCIATORE MEDICI CONFERMARONO CHE AVREBBERO RISPETTATO LA COSTITUZIONE IN SICILIA E A NAPOLI.MA QUANDO MURAT CAMBIò SCHIERAMENTO E SI RIAVVICINò NUOVAMENTE A NAPOLEONE IN VISTA DI WATERLOO,L'AUSTRIA ,CHE ERA PUR'ESSA MOLTO SCETTICA VERSO FERDINANDO E LA SUA CORTE,DECISE NELL'APRILE 1815 DI REINSEDIARE IL RE SPERGIURO BORBONE!FERDINANDO, DA PALERMO DOV'ERA ESILIATO,PRONUNCIò NELLA TERZA E ULTIMA SESSIONE DEL PARLAMENTO COSTITUZIONALE SICILIANO, UNA MINACCIOSA RICHIESTA DI DENARO CON CUI INTENDEVA RICONQUISTARE IL REGNO DI NAPOLI.NESSUNO VI SI OPPOSE Poiché ORMAI ERA TUTTO A SUO FAVORE: IL PRINCIPE DI BELMONTE, CAMPIONE DELL'INDIPENDENZA PARLAMENTARE DELL'ISOLA, ERA MORTO NELL'OTTOBRE 1814 NEL TENTATIVO DI SALVARE L'AUTONOMIA, E IL PRINCIPE DI CASTELNUOVO AVENDO CAPITO CHE IL SUO RICHIAMO DA PARTE DEL BORBONE ERA SOLO UNA TRAPPOLA IN ATTESA DELA "RIUNIFICAZIONE" DELLA SICILIA A NAPOLI SENZA ALCUNA AUTONOMIA, SI RIFIUTò SDEGNOSAMENTE DI PARTECIPARE ALLA "COMMISSIONE DEI 18" E SI RITIRò A VITA PRIVATA.PER LA SICILIA, IL CONGRESSODI VIENNA, AVEVA DA TEMPO DECISO CHE TORNASSE AI BORBONI SENZA ALCUNA AUTONOMIA!!!

domenica 24 agosto 2014

MASSARANI TULLO

Mantova, 1826 – Milano, 1905
Letterato e uomo politico. Cospiratore, esule dal 1848 al 1850 in Francia e in Svizzera, tornato in Lombardia collaborò al «Crepuscolo» di Carlo Tenca e al «Vesta Verde» di Cesare Correnti.Deputato dal 1860 al 1869, senatore dal 1876, fu buon intenditore d'arte (era stato discepolo di Gerolamo Induno); nel 1878 presiedette la commissione giudicatrice dell'esposizione artistica di Parigi e scrisse il saggio L'arte a Parigi.Fu socio corrispondente dei Lincei (1876). Instancabile lavoratore, scrisse moltissimo (Opere, in 24 voll., 1906-11) con agilità ed eleganza. Ha il merito di aver fatto conoscere Heine agli italiani e di aver divulgato in Italia le opere di scrittori europei poco conosciuti. I suoi studi più convincenti sono forse quelli su Tenca e Correnti.

sabato 12 aprile 2014



INTERVISTA ALLO STORICO S. DOUGLAS

Nel 1860, dopo lo sbarco in Sicilia, circa 50 mila volontari si unirono a Garibaldi. Fu la componente militare democratica del Risorgimento. Ma ben presto sarebbe stata liquidata dalla monarchia sabauda. Per quali ragioni? «Il fenomeno del volontariato patriottico è assai complesso», spiega lo storico Vittorio Scotti Douglas, allievo di Franco Della Peruta e massimo studioso italiano della guerriglia risorgimentale. «È un' epopea quasi sconosciuta, cui hanno partecipato decine di migliaia di italiani, spesso di umili origini, di cui fino ad oggi si ignorava anche il nome. Le vicende del volontariato sono un filo rosso continuo che si può seguire durante tutto il Risorgimento, arrivando fino alla Guerra civile spagnola. In un certo senso, si può dire che il volontariato italiano comincia in Spagna, dopo il fallimento della rivoluzione liberale piemontese del 1821, e vi finisce, quasi centovent' anni dopo». L' anno cruciale è il 1860, con l' impresa dei Mille e la conquista della Sicilia. «La politica di Cavour fu quella del "doppio binario": da un lato promettere alla Francia che non ci sarebbero stati interventi militari nel Mezzogiorno o contro lo Stato pontificio, dall' altro appoggiare in modo sotterraneo l' iniziativa garibaldina, in realtà tutta fondata e costruita grazie alla struttura cospirativa mazziniana e ai suoi uomini migliori, Crispi, Fabrizi, Bertani, La Masa, Bixio, e il fondamentale Rosalino Pilo. Dopo la presa di Palermo i Mille si erano ridotti a poco più di 600, ma il 18 giugno cominciarono ad arrivare i rinforzi dall' Italia: 2500 uomini al comando di Giacomo Medici, e poi via via altri contingenti, per oltre 20 mila volontari. Proseguiva parallelamente l' azione di propaganda e reclutamento locale, per costituire l' esercito meridionale. Questo esercito, che poté contare su 51 mila uomini, di cui oltre 30 mila meridionali, venne rapidamente smantellato già nel novembre dello stesso anno». Che cosa temevano Vittorio Emanuele II e Cavour? «La nuova Italia sabauda non voleva immettere nel proprio esercito una massa di potenziali repubblicani, assertori della conquista di Roma, e in qualche caso addirittura di idee socialiste. Si arrivò allo scontro tra Cavour e Garibaldi nell' aprile 1861.
Con lo scioglimento dell' esercito meridionale tramontava l' ultimo tentativo del partito democratico perché si impiegassero le forze popolari nella liberazione della patria. Aveva così termine il sogno della nazione armata e del cittadino-soldato. Ma il volontariato, ormai si può parlare di volontariato garibaldino, non aveva cessato di esistere, come provano i tentativi di liberare Roma, frustrati nel sangue, di Aspromonte nel 1862 e di Mentana nel 1867. E ancora gli italiani correvano a morire per aiutare altri popoli ad acquistare la libertà: così nel maggio 1863 Francesco Nullo "il bello dei Mille", ma anche "il Garibaldi del Nord", cadeva eroicamente in Polonia con un pugno di volontari italiani accorsi ad aiutare i polacchi insorti contro i russi». Dell' esercito meridionale, o meglio dell' armata perduta di Garibaldi, si sa ben poco. «È più corretto dire che si sapeva fino a oggi ben poco. Certo, si sapeva che nell' Archivio di Stato di Torino esisteva una gran quantità di materiale mai studiato, e praticamente tutto inedito.
Ma nessuno vi aveva mai posto mano. In tempi di gretti provincialismi e di brividi secessionisti, rileggere con attenzione quelle carte ci consente di far uscire dall' ombra le figure di soldati ignoti, in gran parte meridionali». Il riordino delle carte custodite all' Archivio di Stato di Torino è dunque importante. «Certo. E per vari motivi. Per esempio si potrebbe far luce sul fenomeno del volontariato straniero in Italia in quel periodo, fenomeno di cui si conosce l' esistenza ma si ignora l' esatta consistenza. E soprattutto sarebbe un' opera meritoria e degna restituire alla conoscenza degli italiani di oggi i nomi e le vicende di questi nostri oscuri antenati, un modo sommesso e austero per dir loro adesso il "grazie" che la burocrazia sabauda volle negare quasi centocinquant' anni fa».


venerdì 28 marzo 2014

Visconti Ermes

(Milano, 1784 – Crema, 1841)
 Letterato. Collaborò al «Conciliatore», sostenendo le dottrine romantiche: si ricordano di lui soprattutto la serie di articoli, apparsi nel 1818, sulle Idee elementari sulla poesia romantica, e il Dialogo sulle unità drammatiche di luogo e di tempo, apparso sullo stesso periodico l'anno seguente.
Fu molto amico di Manzoni, di cui seguì l'esempio passando dall'indifferenza religiosa alla fede, e di Claude Fauriel, che tradusse alcuni suoi lavori. Scrisse anche: Saggi filosofici (1829); Riflessioni ideologiche intorno al linguaggio grammaticale dei popoli antichi (1831); Saggi intorno ad alcune questioni concernenti il Bello (1833).

giovedì 20 marzo 2014

Persano Pellion Carlo conte di

(Vercelli, 1806 – Torino, 1883)
 Conte, ammiraglio. Partecipò con successo alla prima guerra d'indipendenza e nel 1859 divenne contrammiraglio della flotta sarda della quale l'anno successivo ebbe il comando.
Ministro della Marina, allo scoppio della terza guerra d'indipendenza fu nominato (maggio 1866) ammiraglio comandante in capo della flotta.Accusato per la disastrosa sconfitta patita nella battaglia di Lissa, Persano, in quanto senatore (dal 1865), fu sottoposto al giudizio del Senato costituitosi in Alta Corte di giustizia e condannato alla perdita del grado, della pensione e delle decorazioni (gennaio 1867).

giovedì 13 marzo 2014

Spaventa Bertrando

Bomba, 1817 – Napoli, 1883
Filosofo e storico della filosofia. Esule a Torino, nel 1861 De Sanctis lo nominò all'Università di Napoli. Studioso di Hegel, Spaventa sostenne, in uno sforzo di sprovincializzazione della cultura italiana, una stretta connessione tra filosofia italiana moderna e filosofia europea, e formulò la tesi della "circolazione della filosofia europea", secondo la quale gli originari spunti speculativi del Rinascimento italiano sarebbero stati sviluppati fuori d'Italia da Spinoza, da Kant e da Hegel, e sarebbero poi stati ripresi in Italia da Galluppi, Rosmini e Gioberti. Fu deputato al Parlamento fino alla caduta della Destra nel 1876.

lunedì 24 febbraio 2014

Mirri Giuseppe

Imola, 1834 – Bologna, 1907
Generale e patriota. Volontario nel 1859, garibaldino nel 1860, entrato poi nell'esercito regio, si segnalò nella repressione del brigantaggio in Sicilia e nella campagna del 1866. Generale nel 1883, fu creato senatore nel 1898 e fu ministro della Guerra nel secondo gabinetto Pelloux (1899-1900).

martedì 11 febbraio 2014

(Napoli, 1801 – ivi, 1880)
 
Uomo politico e scrittore. Carbonaro, partecipò alla rivoluzione del 1820, e fu perciò arrestato e bandito dal Regno al trionfo della reazione.
Emigrato, strinse relazioni con Mazzini, e visse sino al 1847 fra la Toscana, la Corsica, Marsiglia, Tours e Parigi (dove pubblicò La Repubblica Partenopea). Tornato poi a Livorno, fu implicato nelle lotte politiche toscane; passò quindi a Napoli, dove ebbe una parte importante negli avvenimenti del 15 maggio 1848, dopo i quali si rifugiò a Roma e presso il governo democratico di Toscana.
Di nuovo esule (1849), pubblicò in Piemonte una serie di scritti politici e letterari. Dopo il 1859 abbandonò il movimento risorgimentale e fu accusato di trame filo borboniche (scrisse allora Storie segrete delle famiglie reali, in 4 volumi, 1859-1860 e Storia degli ultimi rivolgimenti siciliani, 1860-1861).

sabato 8 febbraio 2014

Lechi Teodoro

Brescia, 1778 – Milano, 1866
Generale. Appartenne all'esercito cisalpino; partecipò a varie campagne napoleoniche, distinguendosi a Wagram (1809) e durante la spedizione di Russia; dopo i rovesci delle armate di Napoleone, si rifiutò di ricevere il giuramento dei reggimenti italiani, divenuti austriaci. Condannato a morte, per sospetto di congiura contro l'Austria, la pena gli fu commutata in quella del carcere; nel 1848 il governo provvisorio della Lombardia lo creò generale in capo del suo esercito.

venerdì 31 gennaio 2014

Oudinot Nicolas-Charles-Victor

Bar-le-Duc, 1791 – Parigi, 1863
Duca di Reggio. Generale francese. Partecipò alle campagne di Russia (1812), di Germania (1813) e di Francia (1814). Al momento dell'abdicazione di Napoleone era capitano. Passato, come il padre, al servizio dei Borboni, ebbe da Luigi XVIII il grado di colonnello degli ussari. Ritiratosi a vita privata all'avvento della monarchia di luglio, fu da Luigi Filippo richiamato in servizio nel 1835 e inviato in Algeria, da dove tornò col grado di tenente generale. Prese parte diretta dal 1842 al 1848 alla vita politica del paese quale deputato di Saumur e quale delegato alla Costituente del dipartimento di Maine-et-Loire. Nel 1849 il principe presidente Luigi Napoleone gli affidò la missione di abbattere la Repubblica romana. Rientrato in Francia, riprese il suo posto nella vita politica attiva quale deputato, assumendo deciso atteggiamento avverso alla restaurazione dell'impero. Perciò, dopo il colpo di stato del 2 dicembre, l'Oudinot, mal visto da Napoleone III, si ritirò a vita privata.

martedì 28 gennaio 2014

Giuliano Iannotta

Il ritrovamento degli scritti del capitano della Legione Garibaldina del Matese Giuliano Iannotta ha riportato l’interesse sul ruolo che tale legione ebbe nella battaglia del Volturno e nella vittoria dei garibaldini sulle forze borboniche. Giuliano Iannotta di Sant’Andrea del Pizzone , che aveva partecipato ai moti rivoluzionari del 1848 a Napoli, fu sindaco di Francolise dopo l’Unità negli anni che vanno dal 1871 al 1876 e tre anni dopo scrisse un memoriale, rinvenuto solo dopo più di un secolo in un solaio, in cui ci dà informazioni riguardo alla Legione del Matese, scrivendo al direttore de La Verità , in tali termini :“Intanto per venire al filo del racconto delle mosse speciali della Legione del Matese, e per meglio chiarire certi fatti al cronista della Verità, dò un rapido cenno della creazione della nostra Legione e le operazioni da essa eseguite fino alla battaglia del 1° ottobre. Ricordo che io reduce dalla galera di Procida alla fine di giugno con altri amnistiati, il Comitato Supremo garibaldino di Napoli ne fece sentire che ci fossimo ritirati nelle rispettive provincie, per far parte dei Comitati provinciali, coll'incarico di promuovere l'insurrezione; come di fatti nei primi giorni di luglio il Comitato centrale di Terra di Lavoro, si era già costituito in S. Maria, sotto gli occhi dei regi, presieduto dal distinto Salvatore Pizzi. Contemporaneamente il Comitato supremo di Napoli nominava nove cittadini di Terra di Lavoro fra i più conosciuti liberali ed addetti alle armi, col nome di Capi di Brigata, e questi furono a quanto ricordo i Signori Torti e Stocchetti di Piedimonte d'Alife, Campagnano, Zona, io ed altri che non ne rammento i nomi. Ognun di noi si pose all'opera per l'arrolamento di volontari. Poscia nel mese di agosto, il Comitato di Napoli ordinava a quello di S. Maria che, fra i nove Capi di Brigata della provincia ne avesse eletti due col nome di capi di spedizione; e fattasi la votazione risultò il Sig.r Campagnano ed io, e che il nome del Corpo che andavamo a costituire avesse preso il nome di Legione del Matese”Nel testo del capitano Iannotta si fa riferimento al patriota Salvatore Pizzi, capuano di adozione, anche se nato a Procida nel 1816 e trasferitosi giovanissimo a Capua. Salvatore Pizzi aveva aderito alla "Giovane Italia" diventando un fervente mazziniano. Era profondamente convinto che , oltre alla libertà politica , la cultura e l'educazione potessero promuovere lo sviluppo della società civile. Uomo di pensiero e di azione, aveva affrontato il carcere e l'esilio e partecipò alla Legione del Matese diventando, nel 1860, all'epoca della Spedizione dei Mille, pro-dittatore per Garibaldi in Terra di Lavoro. Gli ideali che animarono gli uomini della Legione del Matese furono libertà, la libertà dello spirito e per tali ideali essi non smisero mai, nel corso della loro operosa esistenza, di prodigarsi nell'interesse del popolo.Colui che riuscì a tessere una rete sinergica di rapporti tra i vari patrioti della Legione del Matese ,tutti uomini di Terra di Lavoro, fu Beniamino Caso insieme allo stesso Salvatore Pizzi. E’ da rimarcare che la maggior parte dei liberali, al fianco di Beniamino Caso e Salvatore Pizzi, aveva partecipato alle lotte politiche che avevano portato al Parlamento napoletano del 1848, ma,a causa delle tante sconfitte dei movimenti rivoluzionari mazziniani, ultimo quello di Carlo Pisacane assassinato dagli stessi contadini che voleva liberare, essi sacrificarono l'antica fede mazziniana in favore delle più moderate posizioni di Cavour e, dunque, di un'idea dell'unità italiana sotto il regno di Vittorio Emanuele.Della Legione facevano parte, tra i tanti, anche il giovane pittore Gioacchino Toma, che un anno prima era stato confinato per motivi politici sul Matese, ed era stato protetto proprio da Beniamino Caso, che ne aveva promosso la vendita di alcuni quadri. Ad Alvignano c'era Domenico Bencivenga, suo parente, Ercole Raimondi a S.Pietro Infine, Felice Stocchetti a S.Angelo d'Alife, Francesco Fevola a Teano, Paolo Zito a Grazzanise ed altri ancora i quali riconosceranno in Beniamino Caso e Salvatore Pizzi i capi del movimento insurrezionale in Terra di LavoroLa notte del 24 agosto Beniamino Caso e Giuseppe De Blasiis arrivarono a Piedimonte con le armi e la bandiera; il mattino seguente la Legione viene ufficialmente costituita. De Blasiis era l'uomo del Comitato dell'Ordine inviato da Napoli per comandare la Legione col grado di maggiore.Intanto nel beneventano già da tempo stava operando Giuseppe De Marco, un liberale che appartiene al Comitato d'Azione, e la sua sfera di influenza copre paesi della valle telesina e del Fortone, dove ha dato vita a 21 comitati insurrezionali, dai quali si è presto formato un vero corpo armato, analogo alla Legione del Matese, chiamato "Cacciatori Irpini".Proprio il 25 agosto Giuseppe De Marco informa gli uomini del Comitato di Piedimonte che da Avellino il colonnello Materazzo, capo delle forze armate insurrezionali di quella provincia, ha dato ordine di stare pronti a marciare lungo il fiume Calore, verso Benevento. Sono momenti dei grande agitazione in quanto arriva la notizia che Garibaldi stia per sbarcare a Salerno ed è ormai chiaro che il Comitato Centrale di Napoli ha deciso di puntare su Benevento, che da sette secoli è rimasta un'isola del potere pontificio entro il Regno di Napoli. Essi reputano l'Azione militare più efficace se confortata anche dalla presenza della Legione del Matese, così da mostrare a Garibaldi la capacità operativa di questa nuova Legione pronta a battersi per la libertà e l’unità nella celebre battaglia del Volturno


lunedì 27 gennaio 2014

Zini Luigi

Modena, 1821 – ivi, 1894
Dopo aver seguito la famiglia esule in Francia per i moti del 1831, fu segretario del governo provvisorio di Modena nel 1848. Rifugiatosi in Piemonte fu professore di storia. Pubblicò un Sommario della storia d'Italia che per l'ispirazione ghibellina fu contrapposto all'opera di Cesare Balbo. Nel 1859 fu inviato alla frontiera del Ducato estense per prepararvi l'insurrezione e assunse vari incarichi politico-amministrativi. Fu prefetto e deputato. Nel 1865, segretario del ministero dell'Interno passò poi al Consiglio di Stato e nel 1876, con l'avvento della Sinistra divenne senatore.

lunedì 20 gennaio 2014

Thaon di Revel Genova Giovanni

Famiglia della nobiltà originaria della Nizza marittima e piemontese, che ha dato al Regno di Sardegna e al Regno d'Italia militari e uomini politici. Il ramo dei Thaon si stabilisce nel nizzardo, nel 1500 e da lì in Piemonte.
Il capostipite è Filippo Thaon (1530-1623), capitano delle milizie di Lantosca e Belvedere, che ottenne lettera di nobiltà da Carlo Emanuele I di Savoia il 16 gennaio 1617. Il figlio di Filippo, Pietro Thaon, sposa Camilla Doria Michelotti di Claudio che eredità la signoria di St. André. Carlo Antonio Thaon (1611-1643) come erede della madre diventa il primo signore di St. André. Il figlio, Pietro Thaon (1639-1711) acquista una parte di Revel e ottine che il feudo, unito alla signoria di St. André, sia eretto in contea e diventa il primo Conte di Revel e di St. André (1687). In seguito; signori di Castelnuovo (1790), Marchesi (1796) e Conti di Pralungo (1814).
I Thaon di Revel sono una famiglia con cinque secoli di storia alle spalle. Molti suoi membri si sono adoperati per il bene pubblico, dedicandosi all’interesse nazionale. I Thaon di Revel hanno avuto, negli ultimi tre secoli di vita:
Due Viceré di Sardegna: il marchese Carlo Francesco (1725-1807), il Conte Ignazio Isidoro (1760-1835)
Tre Luogotenenti Generali del Regno: il marchese Carlo Francesco (1725-1807), il conte Ignazio Isidoro (1769-1835) e il marchese Carlo Ippolito (1798-1849)
Cinque Cavalieri del Supremo Ordine della Santissima Annunziata, la massima onorificenza del Regno; mediante il collare della Annunziata si diventa “cugini” del sovrano: il marchese Carlo Francesco (1725-1807), i suoi due figli il marchese Giuseppe Alessandro (1756-1820) e il conte Ignazio Isidoro (1760-1835), il conte Genova Giovanni (1817-1910) e il duca Paolo Camillo (1859-1948)
Due Ministri di Stato: il conte Ignazio Isidoro (1760-1835) e il conte Ottavio (1803-1868)
Due Ministri delle Finanze: il conte Ottavio (1803-1868) e il nipote Paolo Ignazio Maria (1888-1973)
Un Ministro della Guerra: il conte Genova Giovanni (1817-1910)
Un Ministro della Marina: il duca Paolo Camillo (1859-1948)
Cinque Senatori del Regno: il conte Genova Giovanni (1817-1910), il conte Ottavio (1803-1868), il marchese Ignazio (1839-1908), il duca Paolo Camillo (1859-1948) e il conte Paolo Ignazio
Tre Governatori di Torino: il marchese Carlo Francesco (1725-1807) e i suoi due figli, Giuseppe Alessandro (1756-1820) e Ignazio Isidoro (1760-1835)
Un Governatore di Tortona: il marchese Carlo Francesco (1725-1807)
Uno di Sassari: il marchese Giuseppe Alessandro (1756-1820)
Uno di Genova: il conte Ignazio Isidoro (1760-1835)

mercoledì 15 gennaio 2014

Salvagnoli Vincenzo

Corniola (Empoli), 1802 – Pisa, 1861
Uomo politico e giurista. Frequentò il circolo di Vieusseux. Fu uno dei principali esponenti del liberalismo toscano. Fondatore, con Ricasoli e Lambruschini, del periodico «La Patria» (1847), nel 1848 fu eletto deputato al primo Parlamento toscano. Avversario di Ridolfi e sostenitore di Capponi, Salvagnoli lasciò la Toscana con l'avvento al potere del governo democratico di Guerrazzi. Nel 1859 pubblicò l'opuscolo Della indipendenza italiana ed entrò a far parte, come ministro per gli Affari ecclesiastici, del governo provvisorio presieduto da Ricasoli, distinguendosi come uno dei più convinti sostenitori dell'annessione al Piemonte. Nel 1860 fu nominato

martedì 7 gennaio 2014

Scalvini, Giovita

Botticino, Brescia, 1791 - ivi 1843
Letterato. Conobbe, giovanissimo, Ugo Foscolo, con il quale ebbe poi frequenti contatti; fu in relazione con Vincenzo Monti. Redattore e segretario della Biblioteca italiana (1818), fu incarcerato in seguito ai moti del 1821.L'anno dopo andò esule in Svizzera e a Londra; nel 1824 passò a Parigi, quindi, fu ospite dei coniugi Arconati nel castello di Gaesbeek in Belgio; tornò a Brescia nel 1838. I suoi saggi (Dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, 1831; Considerazioni morali sull'Ortis, pubblicato postumo negli Scritti, a cura di Nicolò Tommaseo, 1860) lo pongono tra i maggiori critici italiani del primo Ottocento.Tradusse il Faust di Goethe (1835) e lasciò due poemetti incompiuti, L'esule e Ultimo carme, ispirati alla sua vicenda umana e politica (anch'essi pubblicati postumi da Tommaseo negli Scritti).

venerdì 3 gennaio 2014

Rossetti Gabriele

Vasto, 1783 – Londra, 1854
Patriota, poeta e dantista. Prese parte attiva agli avvenimenti del 1820 a Napoli.
Esule a Londra, nell'aprile 1826 sposò Francesca Polidori, figlia di Gaetano, già segretario di Alfieri, e ne ebbe 4 figli, tutti noti nella storia dell'arte e della letteratura inglese, soprattutto Dante Gabriele e Christina.
Professore d'italiano al King's College di Londra, nella sua opera più che le sue composizioni poetiche contano gli studi danteschi: in particolare il Commento analitico alla Divina Commedia (in 6 volumi) e il volume Sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, in cui appare l'abbozzo di un'interpretazione esoterica di Dante, poi ampliata nei 6 volumi del Mistero dell'amor platonico.