domenica 27 marzo 2011
La figura di Giuseppe Garibaldi
Giuseppe Garibaldi, con Dante, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci, è uno dei pochi italiani conosciuti e ammirati in tutto il mondo, l’unico dei tempi moderni, il solo a essere amato, oltre che ammirato. La sua vita, ricca di eccezionali imprese compiute in America e in Europa, è un romanzo di avventure, abbellito dal fascino dell’esotico; l’abilità con cui tiene testa ad avversari più forti lo accomuna agli eroi dei poemi epici, sbriglia la fantasia dei narratori, attira ammirazione e simpatia.
Coraggio e ostinazione, audacia e fortuna, s’intrecciano mentre, per dieci anni, pirata centauro, veleggia sui grandi fiumi e cavalca negli spazi sterminati di Brasile, Uruguay, Argentina, e quando combatte in Italia, sempre inferiore di uomini e di mezzi, sette campagne dal 1848 al 1867 contro austriaci, francesi, napoletani, e l’ottava in Francia nel 1870 contro i prussiani. Sorprende il nemico con inventiva e astuzia: in Brasile trasporta le navi dalla laguna al mare per via di terra, in Italia nel 1849 sfugge alla caccia di tre eserciti, nel 1860 beffa i borbonici, fingendo di ritirarsi mentre piomba su Palermo.
La fama delle imprese che lo vedono protagonista per mare e per terra vola nel mondo. Si occupano di lui governi e parlamenti, a Rio de Janeiro, a Montevideo, a Buenos Aires, a Parigi, a Londra, a Vienna, a Torino, a Roma, a Napoli. Se ne parla in Europa e in America. Combattono al suo fianco in America brasiliani, uruguayani, emigrati italiani e fuorusciti argentini, in Europa italiani di tutte le regioni e di tutte le condizioni, democratici francesi, inglesi, americani, tedeschi, esuli polacchi, ungheresi, russi, slavi. Già noto nel Sud America, il suo nome dal 1845 si affaccia prepotentemente sui quotidiani europei; riviste a diffusione internazionale ne pubblicano i ritratti, ne illustrano le imprese con i servizi giornalistici di disegnatori e fotografi che lo seguono sui campi di battaglia; ritratti e rappresentazioni di episodi che lo riguardano sono diffusi con litografie a basso prezzo, in ogni angolo dell’Europa e delle Americhe. Si moltiplicano biografie, spesso romanzate, in italiano, in inglese, in francese, in tedesco, in tutte le lingue. L’enorme popolarità che ha tra i contemporanei non si spiega soltanto con l’eccezionalità delle imprese compiute. Ciò che colpisce la fantasia è lo straordinario disinteresse, la fermezza con cui rifiuta ricompense e onori, la semplicità della sua vita, che sconfina nella povertà, la modestia con cui ritorna nell’ombra appena ritiene terminata la sua opera, la disponibilità con cui mette la sua vita al servizio dei ribelli del Rio Grande, dei difensori di Montevideo, dei repubblicani francesi, lontano da egoistici interessi nazionalistici. Sul fascino di una personalità, in cui convivono stranamente temerario sprezzo del pericolo in guerra e gentilezza di modi nella vita quotidiana, s’interrogano uomini politici, letterati, giornalisti. Lo idolatrano le donne, nobili e popolane, ricche e povere.
Si forma presto il mito del combattente per la libertà e l’indipendenza di tutti i popoli che lo accompagnerà per tutta la vita. “Uomo di fama mondiale”, lo saluta nel 1850 “The New York Daily Tribune”; il russo Herzen lo esalta nel 1854 come “un eroe classico, un personaggio dell’Eneide (…) attorno al quale, se fosse vissuto in altra epoca, si sarebbe formata una leggenda”, e dieci anni dopo come “l’unica grande personalità popolare del nostro secolo elaboratasi dal 1848”; “Uomo della libertà, uomo dell’umanità”, lo definisce nel 1860 il francese Victor Hugo; tre anni dopo è considerato “l’uomo più grande del secolo” dal presidente argentino Bartolomeo Mitre; nel 1867 è chiamato dallo svizzero James Fazy “l’uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo”; nel 1870 l’inglese Philip Gilbert Hamerton sembra “il più romantico eroe del nostro secolo, l’uomo più famoso del pianeta, il capo più sicuro di vivere nel cuore delle future generazioni”; alla sua morte tedesca “ Deutsche Zeitung” invoca un nuovo Omero “per cantare degnamente l’Odissea di questa vita”.Garibaldi appare l’eroe per antonomasia, ne attendono la spada liberatrice i contadini russi e i magnati ungheresi. Nel 1860 la fama dell’incredibile conquista di un regno si diffonde attraverso canali misteriosi tra operai e contadini di mezza Europa.
E’ questo il Garibaldi tuttora vivo. Anche se ha compiuto la sua più grande impresa in Italia e per l’Italia, egli ha rivolto l’animo alla liberazione di tutti i popoli oppressi e alla redenzione degli umili in un sogno di giustizia sociale, concepito in giovinezza con l’adesione a princìpi di umanitarismo e cosmopolitismo. Benché si senta nato per combattere (la guerra es la verdadera vida del hombre, è un motto a lui caro) considera la guerra una necessità dolorosa, determinata dall’ingiustizia.
Secondo gli organizzatori del Congresso internazionale per la pace di Ginevra il suo nome “vuol dire eroismo e umanità, patriottismo, fraternità dei popoli, pace e libertà”. In effetti la sua voce si leva spesso in favore della pace e della collaborazione tra i popoli. Nell’ottobre 1860, dopo la vittoria sul Volturno, rivolge un appello alle potenze europee perché formino un solo Stato, e successivamente propone un congresso mondiale per giudicare le controversie tra le nazioni, e incoraggia ogni iniziativa che abbia aspirazioni di pace. Nello spirito della fratellanza degli uomini nel 1871 esprime simpatia per il nascente socialismo, vedendo in esso soprattutto “un sentimento di giustizia e di dignità umana”.Garibaldi è vissuto in un’epoca contrassegnata da una grande fioritura di sistemi politici ispirati dalla ricerca della giustizia sociale, dal sansimonismo e dal mazzinianesimo al socialismo anarchico di Proudhon e Bakunin e a quello scientifico di Marx. Si è avvicinato ad alcuni, in particolare ai primi due, senza identificarsi con nessuno. Ciò è stato considerato segno di superficialità e di mediocrità intellettuale da parte dei contemporanei e dei primi biografi. Nel XXI secolo, dopo il tramonto delle ideologie che hanno dominato la storia del novecento, possiamo avere maggiore comprensione per il desiderio di indipendenza mentale di un idealista senza ideologie.
Avverso a etichette e preclusioni, è stato uomo della libertà, cittadino del mondo. Questo sogno ha dato un significato universale alla sua avventura umana, che ha affascinato romanzieri e poeti, da Alexandre Dumas a Giosue Carducci, e affascina ancora quanti credono nella forza animatrice dell’ideale.
sabato 26 marzo 2011
Il giuramento della Giovine Italia
Nel nome di Dio e dell'Italia; nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana caduti sotto i colpi della tirannide straniera e domestica, per i doveri che mi legano alla terra ove Dio mi ha posto e ai fratelli che mi ha dati; per l'amore, innato in ogni uomo, ai luoghi ove nacque mia madre e dove vivranno i miei figli; per l'odio, innato in ogni uomo, al male, all'usurpazione, all'ingiustizia, all'arbitrio; per il rossore che io sento, in faccia ai cittadini delle altre nazioni, del non aver nome né diritti di cittadino, né bandiera di nazione, né patria; per il fremito dell'anima mia, creata alla libertà e impotente ad esercitarla, creata all'attività del bene e impotente a farlo nel silenzio e nell'isolamento della servitù; per la memoria dell'antica potenza; per la coscienza della presente abiezione; per le lagrime delle madri italiane per i figli morti sul palco, nelle prigioni, in esilio; io...credente nella missione commessa da i Dio all'Italia, e nel dovere che ogni uomo, nato Italiano, ha di contribuire al suo adempimento; convinto che dove Dio ha voluto fosse nazione esistono le forze necessarie a crearla; che il popolo è depositario di quelle forze,. che nel dirigerle per il popolo e col popolo sta il segreto della vittoria; convinto che la virtù sta nell'azione e nel sacrificio; che la potenza sta nell'unione e nella costanza della volontà; do il mio nome alla Giovine Italia, associazione di uomini credenti nella stessa fede; giuro di consacrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l'Italia in nazione una, indipendente, libera e repubblicana.
Di promuovere con tutti i mezzi di parola, di scritto, di azione, l'educazione de' miei fratelli all'intento della Giovine Italia, all'Associazione che solo può rendere la conquista durevole. Di non appartenere da questo giorno in poi ad altre associazioni. Di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse nello spirito della Giovine Italia da chi rappresenta con me l'unione de' miei fratelli, e di conservarne, anche a ; prezzo della vita, inviolati i segreti.
Di soccorrere coll'opera e col consiglio a' miei fratelli nell'associazione. .
ORA e SEMPRE. Così giuro, invocando sulla mia testa l'ira di Dio, l'abbominio degli uomini e l'infamia dello spergiuro, s'io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento.
Giuro di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse nello spirito della Giovine Italia da chi rappresenta come me l'unione dei miei fratelli, e di conservarne, anche a prezzo della vita i violati segreti.
Giuro di consacrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l'Italia in nazione una indipendente, libera e repubblica.
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Di promuovere con tutti i mezzi di parola, di scritto, di azione, l'educazione de' miei fratelli all'intento della Giovine Italia, all'Associazione che solo può rendere la conquista durevole. Di non appartenere da questo giorno in poi ad altre associazioni. Di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse nello spirito della Giovine Italia da chi rappresenta con me l'unione de' miei fratelli, e di conservarne, anche a ; prezzo della vita, inviolati i segreti.
Di soccorrere coll'opera e col consiglio a' miei fratelli nell'associazione. .
ORA e SEMPRE. Così giuro, invocando sulla mia testa l'ira di Dio, l'abbominio degli uomini e l'infamia dello spergiuro, s'io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento.
Giuro di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse nello spirito della Giovine Italia da chi rappresenta come me l'unione dei miei fratelli, e di conservarne, anche a prezzo della vita i violati segreti.
Giuro di consacrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l'Italia in nazione una indipendente, libera e repubblica.
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giovedì 24 marzo 2011
Il pensiero politico di Mazzini
Giuseppe Mazzini è un nome noto a chiunque in Italia abbia frequentato le scuole dell’obbligo. Il suo nome è associato al Risorgimento italiano, anzi è il Risorgimento italiano. Come sempre, tutto ciò che è scolastico viene penalizzato dalla costrizione e dalla mancanza di spontaneità ed autonomo interesse dello scolaro, i cui curricula sono spesso pesanti bardature che cadono quando viene meno la pressione pedagogica. L’idea di Risorgimento, di unificazione nazionale, che ci eravamo tutti formata aveva perlomeno chiare coordinate storiche e mentali: l’insieme di stati autonomi in cui era divisa la geografia politica della Penisola si uniscono per dare vita ad un unico grande stato che era l’Itale e l’Italia di tutti gli italiani, dal nord al sud. Non fu dunque una conquista coloniale di uno Stato a danno di altri stati, ma un convinto processo unitario, dove nessuna parte d’Italia restava mortificata. Dunque l’idea di Risorgimento era in primo luogo indigena, autoctona, costituente. Niente a che vedere con una qualsiasi idea o concetto di conquista, di oppressione, di sterminio, di pulizia etnica. Eppure, autorevolemente ed istitzionalmente, ci capita di vedere associato il nome di Mazzini e l’idea di Risorgimento ad un mostro politico che porta il nome di sionismo. Nella parte che abbiamo finora esplorato dell’Opera omnia di Mazzini trova conferma il nostro giudizio di assoluta arbitrarietà ed infondatezza dell’operazione che gruppi politici certamente illiberali pensano di poter impunemente condurre. L’opera di Mazzini consta di più di 100 volumi finora editi e non è certo agevole leggerli tutti. Avevano pensato di pubblicarli in rete con un nostro commento. Ma ci rendiamo conto che è un lavoro insostenibile per una sola persona. Optiamo per un progetto più limitato, all’interno di questo blog intitolato “Spigolature storiche”, dove l’interesse per una rivisitazione dell’opera di Giuseppe Mazzini è si occasionato da un intento polemico, ma non ne è condizionato e soprattutto ci consente di cogliere una più ampia opportunità di rivisitare, non più scolasticamente, l’intero Risorgimento italiano e il processo di unificazione politica dell’Italia dal primo impatto con la Rivoluzione francese fino ai giorni nostri. L’edizione a cui facciamo riferimento ed a cui attingiamo è l’Edizione nazionale degli “Scritti editi ed inediti”, iniziata nel 1906 e dopo un secolo giunta al 100° volume ed oltre. Supponiamo che per i testi di Mazzini non ci sia nessun copyright e siano testi di pubblico dominio. Ad ogni buon conto e per cautela soppriremo tutte le note e i commenti dei curatori dell’Edizione nazionali, sostituendoli, se ci parrà in caso con nostri propri commenti. Procederemo secondo un piano e questa sarà la pagina di unione dei numerosi post previsti. Post distinti ed autonomi saranno dedicati ai personaggi che certamente verranno fuori numerosi dalla diretta lettura del testo mazziniano.
Unità d'Italia
Grande successo per la festa conclusiva del progetto Italia150giovani, una notte dedicata al divertimento ma soprattutto alla solidarietà che si tenuta ieri sera allo Spazio 900. La serata, che ha visto la partecipazione di oltre 1.000 ragazzi che insieme hanno festeggiato con entusiasmo il 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia, è stata organizzata dalle associazioni Giovani per Roma, Uniluiss, Alfa e Omega in collaborazione con altre associazioni giovanili ed universitarie ed ha visto la partecipazione di Uniroma Tv nelle vesti di Media Partner.
L’ evento è nato dall’idea di coniugare un momento di festa importante per il nostro Paese, ad un’occasione per fare beneficenza sostenendo concretamente le generazioni future: alla serata era abbinata una raccolta fondi a favore dell’Associazione Onlus Salva Mamme Salva Bebè. La grande partecipazione di pubblico e il grande entusiasmo degli organizzatori e delle associazioni coinvolte, che hanno dato il loro contribuito per l'ottima riuscita della serata, hanno consentito di incassare circa 3.000 euro che serviranno ad aiutare le giovani madri che non possono garantire gli alimenti ai figli.
Nel corso della festa sono stati proiettati alcuni cortometraggi inerenti la storia del nostro paese, realizzati da ragazzi di tutta Italia che hanno voluto celebrare l’Unità d’Italia dando sfogo alla loro creatività. I lavori migliori sono stati premiati da Luca Lo Bianco - Presidente di Roma Lazio Film Commission.
L’ evento è nato dall’idea di coniugare un momento di festa importante per il nostro Paese, ad un’occasione per fare beneficenza sostenendo concretamente le generazioni future: alla serata era abbinata una raccolta fondi a favore dell’Associazione Onlus Salva Mamme Salva Bebè. La grande partecipazione di pubblico e il grande entusiasmo degli organizzatori e delle associazioni coinvolte, che hanno dato il loro contribuito per l'ottima riuscita della serata, hanno consentito di incassare circa 3.000 euro che serviranno ad aiutare le giovani madri che non possono garantire gli alimenti ai figli.
Nel corso della festa sono stati proiettati alcuni cortometraggi inerenti la storia del nostro paese, realizzati da ragazzi di tutta Italia che hanno voluto celebrare l’Unità d’Italia dando sfogo alla loro creatività. I lavori migliori sono stati premiati da Luca Lo Bianco - Presidente di Roma Lazio Film Commission.
martedì 22 marzo 2011
ITALIA 150: FINI, NABUCCO SIMBOLO DELL'UNITA' COME INNO MAMELI
ITALIA 150: FINI, NABUCCO SIMBOLO DELL'UNITA' COME INNO MAMELI
Il Va' pensiero come Fratelli d'Italia, simbolo d'unita' e non di una parte. E' un richiamo al Verdi compositore "che, piu' di ogni altro nella nostra storia patria, ha saputo forgiare l'identita' musicale di un popolo che anelava all'unita' nella liberta'", che permette a Gianfranco Fini di sottolineare che "anche per questo il 'Nabucco', il cui fulgore ha attraversato tutte le temperie storiche degli ultimi 150 anni, e', insieme all'Inno di Mameli, uno dei simboli piu' intensi dell'Unita' nazionale". Nel discorso che ha dato il via al concerto, nell'Aula di Montecitorio, dell'Orchestra dell'Opera di Roma diretta da Riccardo Muti, il presidente della Camera mette in risalto il ruolo di Giuseppe Verdi nell'ideale pantheon unitario, come "uno dei numi tutelari dell'Italia migliore, di quell'Italia che concepisce l'arte e la musica non soltanto come auto rappresentazione della propria identita' culturale, ma soprattutto come formidabile strumento di elevazione civica e spirituale, di coscienza politica e di rinnovamento etico". "E vale la pena ricordare - e' il monito di Fini - che non a caso Giuseppe Verdi fu membro del primo Parlamento d'Italia, un riconoscimento naturale per quanti avevano dato lustro all'Italia prima della sua riunificazione". "Le note che sentiremo risuonare in quest'Aula assumono oggi un significato particolarmente importante perche' - prosegue - rappresentano un omaggio ideale a coloro che fecero l'Italia, ai tanti grandi e piccoli eroi del nostro Risorgimento: giovani e anziani, uomini e donne che lottarono affinche' si realizzasse il sogno di liberta' accarezzato nei secoli passati da grandi artefici dell'identita' culturale italiana come Dante, Petrarca, Alfieri, Foscolo e Leopardi.
Il Va' pensiero come Fratelli d'Italia, simbolo d'unita' e non di una parte. E' un richiamo al Verdi compositore "che, piu' di ogni altro nella nostra storia patria, ha saputo forgiare l'identita' musicale di un popolo che anelava all'unita' nella liberta'", che permette a Gianfranco Fini di sottolineare che "anche per questo il 'Nabucco', il cui fulgore ha attraversato tutte le temperie storiche degli ultimi 150 anni, e', insieme all'Inno di Mameli, uno dei simboli piu' intensi dell'Unita' nazionale". Nel discorso che ha dato il via al concerto, nell'Aula di Montecitorio, dell'Orchestra dell'Opera di Roma diretta da Riccardo Muti, il presidente della Camera mette in risalto il ruolo di Giuseppe Verdi nell'ideale pantheon unitario, come "uno dei numi tutelari dell'Italia migliore, di quell'Italia che concepisce l'arte e la musica non soltanto come auto rappresentazione della propria identita' culturale, ma soprattutto come formidabile strumento di elevazione civica e spirituale, di coscienza politica e di rinnovamento etico". "E vale la pena ricordare - e' il monito di Fini - che non a caso Giuseppe Verdi fu membro del primo Parlamento d'Italia, un riconoscimento naturale per quanti avevano dato lustro all'Italia prima della sua riunificazione". "Le note che sentiremo risuonare in quest'Aula assumono oggi un significato particolarmente importante perche' - prosegue - rappresentano un omaggio ideale a coloro che fecero l'Italia, ai tanti grandi e piccoli eroi del nostro Risorgimento: giovani e anziani, uomini e donne che lottarono affinche' si realizzasse il sogno di liberta' accarezzato nei secoli passati da grandi artefici dell'identita' culturale italiana come Dante, Petrarca, Alfieri, Foscolo e Leopardi.
giovedì 17 marzo 2011
Proclamazione del 150/mo anniversario dell'Unità d'Italia da parte di Barack Obama
«Io Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, in virtù del potere che la Costituzione e la legge americana mi affida, proclamo il 17 marzo la giornata di celebrazione del 150/mo anniversario dell'Unità d'Italia». Il presidente degli Stati Uniti ha scelto la formula più solenne per rendere omaggio al nostro Paese nel giorno in cui tutti gli italiani festeggiano una tappa importante della nostra Patria. Il giorno, in cui, scrive Obama, anche gli Stati Uniti festeggeranno l'Italia e «la sua unificazione in un singolo stato». Un tributo ufficiale ma non per questo freddo o burocratico. Tutt'altro. All'interno del lungo comunicato diffuso dalla Casa Bianca, Obama cita Garibaldi e illustra le profonde ragioni storiche che spiegano questa giornata di celebrazioni, rendendo onore al «coraggio al sacrificio e alla visione di quei patrioti che fecero nascere la nazione italiana». E si lascia andare a un parallelo storico di grande valore tra la guerra civile americana e l'impresa dei Mille. «Mentre gli Stati Uniti stavano combattendo per preservare la propria unione, la campagna di Giuseppe Garibaldi per unire l'Italia ispirò molti in tutto il mondo alle prese con le proprie lotte». Obama quindi ricorda che tra gli ammiratori di Garibaldi c'erano anche soldati americani: erano gli uomini del 39/esimo reggimento di fanteria di New York, conosciuto anche con il nome 'La guardia Garibaldì. «Oggi - prosegue Obama - l'eredità di Garibaldi e di tutti quelli che si batterono per l'unità d'Italia vive in milioni di americani, donne e uomini, dalle origini italiane che rafforzano e arricchiscono il mio Paese». E traendo spunto da quella storia comune, Obama ribadisce «i legami di forte amicizia tra Italia e Stati Uniti, e la comune dedizione alle libertà civili, ai principi democratici e ai diritti dell'uomo». E nel giorno in cui il nostro Paese festeggia un a pietra miliare della nostra storia, Obama non perde l'occasione «per rendere onore agli sforzi comuni che americani e italiani compiono per diffondere la libertà e la democrazia, in tutto il mondo». Le radici di questa forte alleanza e comunanza di vedute provengono proprio dalla storia del Risorgimento, una stagione storica che andrebbe studiata di più non solo da noi, ma anche da questa sponda dell'Atlantico. Su questo punto Obama usa una formula molro chiara: «Incoraggio tutti gli americani - esorta - a studiare di più la storia dell'unità d'Italia e rendere onore alla grande amicizia che lega tra i nostri popoli». La dichiarazione ha un illustre precedente nel discorso di John Fitzgerald Kennedy fatto a Washington esattamente 50 anni fa, il 16 marzo del 1961, in occasione del centenario dell'Unità d'Italia. Per l'ambasciatore italiano a Washington, Giulio Terzi, si tratta di «uno straordinario segno di amicizia da parte del Presidente Obama, che ha voluto testimoniare la vicinanza del suo paese all'Italia in una ricorrenza così importante per tutti gli italiani, anche quelli che vivono negli USA».
Unità d'Italia in rosa
La storia dell'Unità d'Italia è stata scritta dagli uomini. I grandi personaggi di questi 150 anni di lotte, di guerre e di unificazione Carlo Alberto, Giuseppe Mazzini, Garibaldi e Camillo Benso di Cavour, ma anche Turati, Mussolini, Matteotti, De Gasperi e Togliatti, indossavano tutti i pantaloni. Eppure accanto a loro c'era un esercito silenzioso e instancabile di patriote in gonnella che hanno partecipato in maniera attiva, anche se per lo più anonima e silenziosa alla costruzione della Nazione, dalla sua Unità fino ai nostri giorni.
Per fare qualche nome ci sono le patriote Cristina di Belgioioso e Rosa Montmasson, Anita Garibaldi, Maria Montessori, Grazia Deledda, Matilde Serao, Anna Kuliscioff, Edda Ciano, Palma Bucarelli e, in tempi più recenti, Tina Anselmi, Nilde Jotti, Alda Merini, Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Ilaria Alpi. Donne che attraverso il loro lavoro e le loro competenze sono le icone dell'unità d'Italia… in rosa. Dietro a queste donne celebri c'è però un coro di straordinarie figure femminili: ad esempio, delle madri e delle ragazze che, armate di ago e filo, hanno cucito le bandiere tricolori; e di quelle che per partecipare in prima persona alle azioni in prima linea si travestivano da uomini. Ci sono poi , quelle che semplicemente erano madri, mogli o figlie di uomini impegnati in prima linea. Sono state donne che hanno comunque stentato a rendere visibile la loro presenza e il loro contributo, e alle quali il Paese ha riconosciuto il diritto di voto solo alla fine della seconda guerra mondiale. Quelle che sono riuscite ad affermare la loro presenza hanno suscitato scandalo: è accaduto ad esempio a Matilde Serao, giornalista e scrittrice, prima donna a fondare e dirigere un giornale. Anna Kuliscioff promosse invece alcune leggi a favore del lavoro, Maria Montessori rivoluzionò il sistema di istruzione elementare e Grazia Deledda vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1926. E tra le icone femminili più recenti, la scienziata Rita Levi Montalcini, la giornalista Oriana Fallaci, che attraverso i suoi libri e i suoi reportage ha raccontato gli ultimi decenni di storia mondiale, o ancora Ilaria Alpi che ha pagato con la vita la sua determinazione al servizio del giornalismo. A tutte loro e alle altre donne determinate che, con la loro forza e il loro lavoro discreto e instancabile hanno contribuito a creare il terreno, solido e fertile su cui si è sviluppata la civiltà italiana, Pisa dedica una mostra Donne d'Italia. La Metà dell'unità in programma al Palazzo Blu di Pisa, che racconta la storia del nostro Paese vissuta attraverso le voci e le vicende della sua parte femminile. L'iniziativa, che si fregia del simbolo ufficiale delle celebrazioni dell'evento nazionale, è aperta a ingresso libero fino al prossimo 26 giugno.
Per fare qualche nome ci sono le patriote Cristina di Belgioioso e Rosa Montmasson, Anita Garibaldi, Maria Montessori, Grazia Deledda, Matilde Serao, Anna Kuliscioff, Edda Ciano, Palma Bucarelli e, in tempi più recenti, Tina Anselmi, Nilde Jotti, Alda Merini, Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Ilaria Alpi. Donne che attraverso il loro lavoro e le loro competenze sono le icone dell'unità d'Italia… in rosa. Dietro a queste donne celebri c'è però un coro di straordinarie figure femminili: ad esempio, delle madri e delle ragazze che, armate di ago e filo, hanno cucito le bandiere tricolori; e di quelle che per partecipare in prima persona alle azioni in prima linea si travestivano da uomini. Ci sono poi , quelle che semplicemente erano madri, mogli o figlie di uomini impegnati in prima linea. Sono state donne che hanno comunque stentato a rendere visibile la loro presenza e il loro contributo, e alle quali il Paese ha riconosciuto il diritto di voto solo alla fine della seconda guerra mondiale. Quelle che sono riuscite ad affermare la loro presenza hanno suscitato scandalo: è accaduto ad esempio a Matilde Serao, giornalista e scrittrice, prima donna a fondare e dirigere un giornale. Anna Kuliscioff promosse invece alcune leggi a favore del lavoro, Maria Montessori rivoluzionò il sistema di istruzione elementare e Grazia Deledda vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1926. E tra le icone femminili più recenti, la scienziata Rita Levi Montalcini, la giornalista Oriana Fallaci, che attraverso i suoi libri e i suoi reportage ha raccontato gli ultimi decenni di storia mondiale, o ancora Ilaria Alpi che ha pagato con la vita la sua determinazione al servizio del giornalismo. A tutte loro e alle altre donne determinate che, con la loro forza e il loro lavoro discreto e instancabile hanno contribuito a creare il terreno, solido e fertile su cui si è sviluppata la civiltà italiana, Pisa dedica una mostra Donne d'Italia. La Metà dell'unità in programma al Palazzo Blu di Pisa, che racconta la storia del nostro Paese vissuta attraverso le voci e le vicende della sua parte femminile. L'iniziativa, che si fregia del simbolo ufficiale delle celebrazioni dell'evento nazionale, è aperta a ingresso libero fino al prossimo 26 giugno.
mercoledì 16 marzo 2011
Unità D'Italia
In questi giorni si commemora il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Garibaldi e la spedizione dei suoi Mille volontari, tra cui c’erano anche dei tarantini.
Un tributo è dovuto anche a loro…
Dopo la caduta di Napoleone e la fucilazione di Murat i Borboni ritornarono a Napoli ma Taranto rimase una loro piazzaforte, anche se sempre più trascurata.
Piano piano, un’epoca si chiudeva e la restaurazione cominciò anche da noi, anche se non molti se ne accorsero, anzi forse solo uno, quello che sotto un’immagine di Piazza Fontana, scrisse:
1816, epoca infausta e reala tua funesta idea sempre fatal sarà
E proprio contro la “funesta idea” della restaurazione , lottarono per decenni, i liberali giacobini tarantini.
La rivoluzione comincia a concretizzarsi solo nel 1850, quando nella farmacia di Michele Baffi si riunirono Giuseppe De Cesare e Cataldo Nitti, reduci dai moti del ’48, Luigi Carbonelli, Domenico Acclavio e don Cataldo Foresio.
Vincenzo Carbonelli condannato a morte per i moti rivoluzionari a Roma, riesce a fuggire.
Nicola Mignogna invece resiste alle torture nelle prigioni napoletane.
La rivoluzione comincia a prendere piede anche tra i popolani che vedono in Santo Ciancialuso, un capo facchino di taranto, uno dei maggiori esponenti.
La repressione borbonica è inesorabile. Francesco Adduci e Vincenzo Lorusso, vengono arrestati e condannati, per delle scritte sediziose, inneggianti alla costituzione, che erano apparse sulle facciate delle case sulle mura di Mar Grande.
Nel 1856 artigiani e popolani si riunirono nella setta “Mazzini” guidata dal caporale Settimio Monaco.
Il patriota massafrese Saverio Fanelli fu l’autore di una rocambolesca evasione dalle carceri tarantine nel novembre del 1857. Ricavò un’impronta di cera della chiave della cella e la consegnò al fratello Nicola che la consegnò ad un fabbro che ne ricavò il duplicato della chiave. Aiutato poi a fuggire da una donna, la giovane figlia del carceriere (a quanto pare, di lui innamorata) che intrattenne le guardie mentre il Fanelli si allontanava da Taranto su un traino carico di carbone, guadagnando la libertà e una condanna in contumacia a 24 anni di carcere.Il fiume rivoluzionario era in piena e a quanto si di dice, lo stesso Garibaldi, sotto le spoglie di un venditore di candele, incontrò segretamente i cospiratori tarantini nei pressi di Castellaneta.
Ormai il risorgimento sta compiendosi. Il malcontento invade tutti e nella notte tra il 5 e il 6 maggio del 1860 Garibaldi parte da Quarto alla volta della Sicilia con i suoi “Mille” tra cui:
Il cappuccino Aurelio Perrone, l’architetto Gaetano Piccione, l’avvocato Egidio Pignatelli, Vincenzo Pupino, Francesco Valente, Antonio Petruzzi, Francesco Jurlaro, Nicola Galeandro, Tommaso Catapano, Riccardo Agostinelli, Nicola Galeota, Orazio Carducci, i fratelli De Gennaro, il massafrese Fanelli, il manduriano Schiavone. Insieme ai più famosi: Vincenzo Carbonelli che diverrà pro-dittatore del Cilento, Irpinia e Puglia, e Nicola Mignogna pro-dittatore in Basilicata.
Partire era un dovere anche se il distacco dalle famiglie era doloroso, e questi sentimenti pervadono i versi del Canto di addio del volontario:
“Addio mia bella addio,
l’armata se ne va,
se non partissi anch’io
sarebbe una viltà.
Il sacco e le pistole,
il fucile io l’ho con me,
allo spuntar del sole
io partirò da te…”
Un tributo è dovuto anche a loro…
Dopo la caduta di Napoleone e la fucilazione di Murat i Borboni ritornarono a Napoli ma Taranto rimase una loro piazzaforte, anche se sempre più trascurata.
Piano piano, un’epoca si chiudeva e la restaurazione cominciò anche da noi, anche se non molti se ne accorsero, anzi forse solo uno, quello che sotto un’immagine di Piazza Fontana, scrisse:
1816, epoca infausta e reala tua funesta idea sempre fatal sarà
E proprio contro la “funesta idea” della restaurazione , lottarono per decenni, i liberali giacobini tarantini.
La rivoluzione comincia a concretizzarsi solo nel 1850, quando nella farmacia di Michele Baffi si riunirono Giuseppe De Cesare e Cataldo Nitti, reduci dai moti del ’48, Luigi Carbonelli, Domenico Acclavio e don Cataldo Foresio.
Vincenzo Carbonelli condannato a morte per i moti rivoluzionari a Roma, riesce a fuggire.
Nicola Mignogna invece resiste alle torture nelle prigioni napoletane.
La rivoluzione comincia a prendere piede anche tra i popolani che vedono in Santo Ciancialuso, un capo facchino di taranto, uno dei maggiori esponenti.
La repressione borbonica è inesorabile. Francesco Adduci e Vincenzo Lorusso, vengono arrestati e condannati, per delle scritte sediziose, inneggianti alla costituzione, che erano apparse sulle facciate delle case sulle mura di Mar Grande.
Nel 1856 artigiani e popolani si riunirono nella setta “Mazzini” guidata dal caporale Settimio Monaco.
Il patriota massafrese Saverio Fanelli fu l’autore di una rocambolesca evasione dalle carceri tarantine nel novembre del 1857. Ricavò un’impronta di cera della chiave della cella e la consegnò al fratello Nicola che la consegnò ad un fabbro che ne ricavò il duplicato della chiave. Aiutato poi a fuggire da una donna, la giovane figlia del carceriere (a quanto pare, di lui innamorata) che intrattenne le guardie mentre il Fanelli si allontanava da Taranto su un traino carico di carbone, guadagnando la libertà e una condanna in contumacia a 24 anni di carcere.Il fiume rivoluzionario era in piena e a quanto si di dice, lo stesso Garibaldi, sotto le spoglie di un venditore di candele, incontrò segretamente i cospiratori tarantini nei pressi di Castellaneta.
Ormai il risorgimento sta compiendosi. Il malcontento invade tutti e nella notte tra il 5 e il 6 maggio del 1860 Garibaldi parte da Quarto alla volta della Sicilia con i suoi “Mille” tra cui:
Il cappuccino Aurelio Perrone, l’architetto Gaetano Piccione, l’avvocato Egidio Pignatelli, Vincenzo Pupino, Francesco Valente, Antonio Petruzzi, Francesco Jurlaro, Nicola Galeandro, Tommaso Catapano, Riccardo Agostinelli, Nicola Galeota, Orazio Carducci, i fratelli De Gennaro, il massafrese Fanelli, il manduriano Schiavone. Insieme ai più famosi: Vincenzo Carbonelli che diverrà pro-dittatore del Cilento, Irpinia e Puglia, e Nicola Mignogna pro-dittatore in Basilicata.
Partire era un dovere anche se il distacco dalle famiglie era doloroso, e questi sentimenti pervadono i versi del Canto di addio del volontario:
“Addio mia bella addio,
l’armata se ne va,
se non partissi anch’io
sarebbe una viltà.
Il sacco e le pistole,
il fucile io l’ho con me,
allo spuntar del sole
io partirò da te…”
sabato 12 marzo 2011
La camicia rossa
La camicia rossa
La leggendaria camicia rossa fu adottata per la prima volta in Sud America. Per caso, come spesso accade per le scelte che si rivelano storiche. Era il 1843: Garibaldi doveva dare un'uniforme alla Legione Italiana (da lui formata) che s'era messa al servizio della Repubblica dell'Uruguay contro l'Argentina. In una fabbrica di Montevideo fu acquistata, a prezzi bassissimi, una partita di tuniche rosse, (destinata agli operai dei macelli di carne salata), rimasta invenduta proprio a causa del conflitto. Il colore serviva a occultare le macchie di sangue degli animali uccisi. Al ritorno in Italia, Garibaldi volle mantenere l'uso di quell'uniforme. Il rosso rendeva i suoi uomini più facilmente individuabili (e quindi maggiormente esposti al fuoco nemico), ma testimoniava anche il loro coraggio. Inizialmente (nella Prima guerra d'indipendenza e nella Repubblica Romana) furono pochi i volontari che indossarono quella divisa, che divenne ufficiale soltanto dopo la battaglia di Palestrina, nel maggio 1859. Nella spedizione dei Mille, i volontari si imbarcarono in borghese. A bordo, durante il viaggio verso Marsala, furono distribuite cinquanta camicie rosse. Fu Alexandre Dumas - a bordo del suo panfilo Emma - a organizzare una piccola fabbrica artigianale di camicie rosse, che permise a quasi tutti i garibaldini di combattere in uniforme. Lo stesso accadde nel 1866, mentre nel 1870, in Francia, i Cacciatori delle Alpi tornarono agli abiti borghesi (con l'eccezione di chi aveva una camicia rossa di proprietà).
La leggendaria camicia rossa fu adottata per la prima volta in Sud America. Per caso, come spesso accade per le scelte che si rivelano storiche. Era il 1843: Garibaldi doveva dare un'uniforme alla Legione Italiana (da lui formata) che s'era messa al servizio della Repubblica dell'Uruguay contro l'Argentina. In una fabbrica di Montevideo fu acquistata, a prezzi bassissimi, una partita di tuniche rosse, (destinata agli operai dei macelli di carne salata), rimasta invenduta proprio a causa del conflitto. Il colore serviva a occultare le macchie di sangue degli animali uccisi. Al ritorno in Italia, Garibaldi volle mantenere l'uso di quell'uniforme. Il rosso rendeva i suoi uomini più facilmente individuabili (e quindi maggiormente esposti al fuoco nemico), ma testimoniava anche il loro coraggio. Inizialmente (nella Prima guerra d'indipendenza e nella Repubblica Romana) furono pochi i volontari che indossarono quella divisa, che divenne ufficiale soltanto dopo la battaglia di Palestrina, nel maggio 1859. Nella spedizione dei Mille, i volontari si imbarcarono in borghese. A bordo, durante il viaggio verso Marsala, furono distribuite cinquanta camicie rosse. Fu Alexandre Dumas - a bordo del suo panfilo Emma - a organizzare una piccola fabbrica artigianale di camicie rosse, che permise a quasi tutti i garibaldini di combattere in uniforme. Lo stesso accadde nel 1866, mentre nel 1870, in Francia, i Cacciatori delle Alpi tornarono agli abiti borghesi (con l'eccezione di chi aveva una camicia rossa di proprietà).
giovedì 10 marzo 2011
150° anniversario dell'unità d'Italia, il 17 marzo concerti delle bande in tutti i Comuni
VITERBO – (m) Le bande musicali dei vari Comuni della Tuscia hanno aderito all’invito del presidente Marcello Meroi e dell’assessore alla Cultura Giuseppe Fraticelli, a festeggiare insieme il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.
Il 17 marzo, alle ore 11, in tutti i paesi della Tuscia che vantano la presenza di bande comunali, saranno eseguiti concerti, aperti e chiusi dall’inno nazionale, con l’esecuzione di brani ispirati al Risorgimento.
Il programma sarà uguale per tutti i comuni con il fine di avere una voce, o meglio un suono unico, su tutto il territorio. Nei prossimi giorni saranno forniti ulteriori dettagli in merito ai comuni dove si svolgeranno i concerti, ai luoghi e ai brani proposti. Non mancherà comunque il tradizionale “Va Pensiero” di Verdi unito a “L’Inno di Garibaldi”.
“Ringrazio i sindaci del territorio che hanno accolto positivamente l’invito della Provincia e si sono attivati per realizzare i concerti – è il commento dell’assessore Fraticelli – si tratterà di un importante momento di unione di tutte le comunità locali. Ringrazio anche le singole bande che hanno contribuito alla stesura del programma proponendo i brani. Abbiamo ritenuto di dover valorizzare queste importanti realtà presenti nella nostra provincia, che costituiscono un patrimonio culturale di indiscutibile valore e ci consentono di promuovere cultura di qualità. La ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia andava celebrata in maniera condivisa e la decisione di eseguire tutti i concerti in contemporanea e con gli stessi brani, scaturisce proprio dalla volontà di lanciare un grande messaggio di unità”.
Nel pomeriggio inoltre è in fase di organizzazione a Viterbo un’ esibizione della Corale “S.Maria dell’Edera” con brani cantati e recitati, ispirati al patriottismo italiano.
Il 17 marzo, alle ore 11, in tutti i paesi della Tuscia che vantano la presenza di bande comunali, saranno eseguiti concerti, aperti e chiusi dall’inno nazionale, con l’esecuzione di brani ispirati al Risorgimento.
Il programma sarà uguale per tutti i comuni con il fine di avere una voce, o meglio un suono unico, su tutto il territorio. Nei prossimi giorni saranno forniti ulteriori dettagli in merito ai comuni dove si svolgeranno i concerti, ai luoghi e ai brani proposti. Non mancherà comunque il tradizionale “Va Pensiero” di Verdi unito a “L’Inno di Garibaldi”.
“Ringrazio i sindaci del territorio che hanno accolto positivamente l’invito della Provincia e si sono attivati per realizzare i concerti – è il commento dell’assessore Fraticelli – si tratterà di un importante momento di unione di tutte le comunità locali. Ringrazio anche le singole bande che hanno contribuito alla stesura del programma proponendo i brani. Abbiamo ritenuto di dover valorizzare queste importanti realtà presenti nella nostra provincia, che costituiscono un patrimonio culturale di indiscutibile valore e ci consentono di promuovere cultura di qualità. La ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia andava celebrata in maniera condivisa e la decisione di eseguire tutti i concerti in contemporanea e con gli stessi brani, scaturisce proprio dalla volontà di lanciare un grande messaggio di unità”.
Nel pomeriggio inoltre è in fase di organizzazione a Viterbo un’ esibizione della Corale “S.Maria dell’Edera” con brani cantati e recitati, ispirati al patriottismo italiano.
martedì 8 marzo 2011
Unità d'Italia :" Viva l'Italia "le ultime parole dei fratelli Bandiera
- “Viva l'Italia!”. Queste le ultime parole pronunciate da Attilio ed Emilio Bandiera, due fratelli veneziani di idee mazziniane, mentre cadevano sotto i colpi dei fucili borbonici a Vallone di Rovito, in provincia di Cosenza, il 26 luglio 1844. Nel 1828 Attilio fu nominato ufficiale di marina della flotta austro-veneta. Carriera che gli permetterà di viaggiare e conoscere paesi come l’America del Nord ed in particolare New York, raggiunta nel 1835 quando aveva 25 anni, dove conobbe Pietro Maroncelli, con il quale scambiò le sue prime idee in senso nazionale e liberale. Due anni dopo, nel 1837 Attilio si sposa con Maria Graziani. Intanto anche il fratello Emilio aveva abbracciato la carriera militare nella marina, della quale fu nominato cadetto a 17 anni nel 1836. Nel 1840 le vite dei due fratelli si uniscono definitivamente prendendo parte insieme al padre Francesco, anch’egli ufficiale di marina, alla spedizione in Siria. Nello stesso anno fondarono la società segreta Esperia, con intenti cospirativi antiaustriaci.
Passati al movimento mazziniano della Giovine Italia ed entrati in contatto con la Legione Italica – organizzazione segreta paramilitare creata a Malta dall’esule modenese Nicola Fabrizi con scopi di guerriglia – svolsero un’intensa attività patriottica che li costrinse a riparare a Corfù per sfuggire alla polizia austriaca. Nel 1844 Attilio di 34 anni con il fratello Emilio, di soli 25 anni, ed un gruppo di amici, per quanto sconsigliati da Mazzini, tentano uno sbarco in Calabria sperando di ridestare l’insurrezione scoppiata nel marzo del 1844 a Cosenza. Ignari, però, che il moto fosse già stato stroncato dalle truppe borboniche, per la mancata partecipazione della popolazione, l’intero gruppo di rivoltosi fu subito scoperto a seguito del tradimento di un loro compagno, il còrso Boccheciampe. Dopo alcuni giorni di fuga, a San Giovanni in Fiore furono catturati da contadini e guardie borboniche, quindi condotti a Cosenza dove vennero processati e condannati a morte. Insieme con altri sette compagni, all’età di 34 anni Attilio e di 25 anni Emilio, vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
Passati al movimento mazziniano della Giovine Italia ed entrati in contatto con la Legione Italica – organizzazione segreta paramilitare creata a Malta dall’esule modenese Nicola Fabrizi con scopi di guerriglia – svolsero un’intensa attività patriottica che li costrinse a riparare a Corfù per sfuggire alla polizia austriaca. Nel 1844 Attilio di 34 anni con il fratello Emilio, di soli 25 anni, ed un gruppo di amici, per quanto sconsigliati da Mazzini, tentano uno sbarco in Calabria sperando di ridestare l’insurrezione scoppiata nel marzo del 1844 a Cosenza. Ignari, però, che il moto fosse già stato stroncato dalle truppe borboniche, per la mancata partecipazione della popolazione, l’intero gruppo di rivoltosi fu subito scoperto a seguito del tradimento di un loro compagno, il còrso Boccheciampe. Dopo alcuni giorni di fuga, a San Giovanni in Fiore furono catturati da contadini e guardie borboniche, quindi condotti a Cosenza dove vennero processati e condannati a morte. Insieme con altri sette compagni, all’età di 34 anni Attilio e di 25 anni Emilio, vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
giovedì 3 marzo 2011
Il sacrificio della contessa Clotilde di Savoia per l'Unità d'italia.
Sabato 30 aprile, alle ore 16.00, si svolgerà al Santuario di Oropa (Sala Frassati) la conferenza “Il sacrificio della Principessa Clotilde di Savoia per l’Unità d’Italia: Il matrimonio con Gerolamo Bonaparte. L’adesione all’Ordine delle Figlie di Maria dopo la separazione coniugale”, con Vittorio G. Cardinali, giornalista e storico di Casa Savoia, e Roberto Favero, studioso del Risorgimento e biografo di Costantino Nigra. Al termine della conferenza, seguirà la visita agli Appartamenti Reali dei Savoia e al Museo dei Tesori.
La principessa Maria Clotilde di Savoia-Napoleone trascorse gli ultimi 33 anni della sua vita (1878-1911) nel castello sabaudo di Moncalieri, alle porte di Torino. Chiamata la “Santa di Moncalieri” dopo la sua morte avvenuta il 25 giugno 1911, questo appellativo trovò riscontro nelle opere, nella vita e nella storia della Principessa, che, per la sua fama di santità, fu proclamata Serva di Dio nel 1943.
Nata il 2 marzo 1843, figlia primogenita di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d’Asburgo, ebbe cura dei suoi fratelli Umberto, Amedeo, Oddone e Maria Pia, ai quali dedicò ogni sua risorsa. Maria Clotilde ha solo 12 anni, quando la madre e la nonna, regina Maria Teresa, muoiono a venti giorni di distanza l’una dall’altra nel mese di gennaio 1855.
A soli quindici anni, il 3 gennaio 1859, sacrifica la sua giovinezza per amore del Padre e per il bene del suo Regno accettando di andare in sposa a Gerolamo Napoleone Bonaparte, cugino dell’imperatore Napoleone III, di 22 anni più anziano di lei, con la fama di libertino, ateo e intemperante. Maria Clotilde fu accolta con tutti gli onori alla Corte di Francia. Giovane sposa, cercò in tutti i modi di corrispondere alle esigenze del suo stato, senza mai dimenticare l’amore di Dio. Molti furono i giudizi positivi su di lei: Gorge Sand la considerò con ammirazione “un angelo” per il suo candore e per il bene nascosto che realizzava. Aveva 19 anni quando mise alla luce Vittorio (1862), nel ’64 nacque Luigi e nel ’66 Maria Letizia. Crollato il Secondo Impero nel 1870, Maria Clotilde di Savoia lasciò per ultima Parigi, solo dopo aver visitato i suoi malati all’ospedale e ascoltato la Messa. Con il marito si trasferisce nel castello di Prangins in Svizzera.
Nel 1878 rientra in Italia con la figlia Maria Letizia e prende dimora, per volontà del fratello re Umberto I, nella turrita residenza di Moncalieri. Qui moltiplica le sue attività e opere di bene secondo il motto: “Amare Dio, amare il mio prossimo, vivere e morire con una vita semplice e ordinaria”. A un secolo esatto dalla sua morte è questa la migliore sintesi delle qualità umane, della ricchezza spirituale, delle virtù cristiane, della formazione culturale di questa indimenticabile Principessa sabauda.
La principessa Maria Clotilde di Savoia-Napoleone trascorse gli ultimi 33 anni della sua vita (1878-1911) nel castello sabaudo di Moncalieri, alle porte di Torino. Chiamata la “Santa di Moncalieri” dopo la sua morte avvenuta il 25 giugno 1911, questo appellativo trovò riscontro nelle opere, nella vita e nella storia della Principessa, che, per la sua fama di santità, fu proclamata Serva di Dio nel 1943.
Nata il 2 marzo 1843, figlia primogenita di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d’Asburgo, ebbe cura dei suoi fratelli Umberto, Amedeo, Oddone e Maria Pia, ai quali dedicò ogni sua risorsa. Maria Clotilde ha solo 12 anni, quando la madre e la nonna, regina Maria Teresa, muoiono a venti giorni di distanza l’una dall’altra nel mese di gennaio 1855.
A soli quindici anni, il 3 gennaio 1859, sacrifica la sua giovinezza per amore del Padre e per il bene del suo Regno accettando di andare in sposa a Gerolamo Napoleone Bonaparte, cugino dell’imperatore Napoleone III, di 22 anni più anziano di lei, con la fama di libertino, ateo e intemperante. Maria Clotilde fu accolta con tutti gli onori alla Corte di Francia. Giovane sposa, cercò in tutti i modi di corrispondere alle esigenze del suo stato, senza mai dimenticare l’amore di Dio. Molti furono i giudizi positivi su di lei: Gorge Sand la considerò con ammirazione “un angelo” per il suo candore e per il bene nascosto che realizzava. Aveva 19 anni quando mise alla luce Vittorio (1862), nel ’64 nacque Luigi e nel ’66 Maria Letizia. Crollato il Secondo Impero nel 1870, Maria Clotilde di Savoia lasciò per ultima Parigi, solo dopo aver visitato i suoi malati all’ospedale e ascoltato la Messa. Con il marito si trasferisce nel castello di Prangins in Svizzera.
Nel 1878 rientra in Italia con la figlia Maria Letizia e prende dimora, per volontà del fratello re Umberto I, nella turrita residenza di Moncalieri. Qui moltiplica le sue attività e opere di bene secondo il motto: “Amare Dio, amare il mio prossimo, vivere e morire con una vita semplice e ordinaria”. A un secolo esatto dalla sua morte è questa la migliore sintesi delle qualità umane, della ricchezza spirituale, delle virtù cristiane, della formazione culturale di questa indimenticabile Principessa sabauda.
martedì 1 marzo 2011
Italia 150:un mare di eventi a Prato
Italia 150: un mare di eventi a Prato
Musica, mostre, visite guidate, teatro, cinema per celebrare il 150imo dell'Unità
Tante le iniziative per i 150 anni dell’Unità d’Italia organizzate dal Comune di Prato e dall’assessorato alla cultura. Oltre al sondaggio on line per ricordare e far conoscere i protagonisti della storia pratese degli ultimi 150 anni, il programma prevede mostre, spettacoli, proiezioni di film, visite guidate ed incontri quasi sempre a ingresso libero. Il primo evento in calendario è mercoledì 16 marzo alle 21 con una festa all’insegna della musica al Metastasio, dove andrà in scena (ingresso libero) lo spettacolo "Il Generale è in città" , per la regia di Roberto Becheri e la partecipazione del Comitato cittadino per le attività musicali. La pièce rievocherà il passaggio di Garibaldi a Prato nel 1849, con le note di Verdi, Novaro e di altri musicisti del tempo. Nel cast anche l’attore pratese Roberto Visconti e i cantanti Silvia Pacini e Alessandro Petruccelli, accompagnati al pianoforte da Claudio Bianchi. Apriranno la serata il coro di voci bianche dei bambini della media E. Fermi e i Piccoli cantori della Corale San Martino.Dopo lo spettacolo la banda Benelli sfilerà per le strade del centro, accompagnando i pratesi in piazza del Comune imbandierata a festa: uno spettacolo di luci e suoni, insieme alla fanfara dei bersaglieri, attenderà lo scoccare della mezzanotte e il brindisi offerto alla città per il ‘compleanno’ dell’Italia.Sempre il 16 marzo saranno inaugurate quattro mostre (ingresso libero), per dare visibilità alle opere, ai pensieri e alle passioni dei protagonisti del periodo unitario (resteranno aperte fino al 2 giugno).La prima sarà in biblioteca Lazzerini sui libri che hanno fatto l’Italia: testi poetici di Dante, Foscolo, Byron, Carducci; i romanzi storici in chiave romantica di Manzoni, Grossi, Guerrazzi, D’Azeglio; la storia della letteratura italiana di De Sanctis, ma anche L’arte di mangiar bene dell’Artusi. La seconda nelle Antiche stanze di S. Caterina: il prezioso materiale dell’Archivio Fotografico Toscano fra attrezzature, libri e immagini, farà rivivere l’evoluzione della fotografia nel primo sessantennio del Regno d’Italia. La terza consentirà uno sguardo sul periodo unitario attraverso i documenti dell’epoca e sarà a Palazzo Datini, a cura dell’ Archivio di Stato. La quarta, in saletta Valentini, presenterà di nuovo al pubblico alcuni cimeli del Museo del Risorgimento, allestito dal 1918 al 1946 in Palazzo Pretorio.
Una quinta mostra al Museo del Tessuto (a cura del Fai, dal 26 marzo al 30 aprile) sarà dedicata a Garibaldi. Inoltre, da marzo a maggio, sempre di sabato alle 10.30, saranno organizzate visite guidate gratuite alle mostre e ai luoghi del Risorgimento nel centro storico, per valorizzare l’apporto spesso poco conosciuto dei pratesi all’Unità nazionale. Il 19 marzo è in programma una caccia al tesoro, organizzata insieme all’assessorato alla pubblica istruzione, con partenza da piazza del Comune: indovinelli, giochi enigmistici e prove di abilità per gli alunni delle scuole medie di primo e secondo grado, con l’obiettivo di ricercare le tracce del passato risorgimentale nel cuore della città. In premio per i ragazzini sciarpe bianche, rosse e verdi donate dal Lanificio Bisentino.
Non mancheranno, sempre da marzo a maggio, incontri, conferenze e tavole rotonde per saperne di più sugli eventi e sui personaggi del Risorgimento a Prato: il programma è molto ricco ed è stato organizzato dall’assessorato alla cultura in collaborazione con l’Università del tempo libero E. Monarca, l’Associazione Guasti, l’Archivio di Stato, il Cral dell’Asl, la Società Pratese di Storia Patria.
Ci sarà poi la rassegna teatrale, a ingresso libero, "I mille volti dell’Italia Unita": protagoniste le giovani compagnie del territorio che si esibiranno sul palco del Teatro Magnolfi, spazio storico della città. Il progetto è dell'assessorato alla Cultura in collaborazione con Teatro Metastasio e Fonderia Cultart, inizierà la sera dell11 marzo, per concludersi il 10 aprile.Ma la storia si racconta in modo molto efficace anche con i film. Il Gattopardo, Senso, la Grande Guerra sono solo alcuni dei titoli della rassegna "Viva l’Italia", in programma al Terminale, con la collaborazione della Scuola di cinema Anna Magnani: si parte il 21 marzo (alle 21.30, ingresso libero) con "Noi credevamo" di Martone.Ci saranno poi le cene organizzate al ristorante Opera 22, in collaborazione con l’Istituto S. Rita, in tre date fondamentali del Risorgimento: lo sbarco dei Mille (menu siciliano), la presa di Porta Pia (menu romano), la vittoria nella Prima Guerra mondiale (menu legato a Trento e Trieste): un’occasione per stare insieme ed apprezzare i sapori della cucina del Sud, del Centro e del Nord, in un’amalgama di gusti e tradizioni. Infine, il concerto in piazza Duomo del 7 settembre. La Camerata eseguirà brani dei grandi compositori italiani dell’Ottocento: Rossini, Bellini e, naturalmente, Verdi. Sarà un’altra occasione per festeggiare in piazza con le emozioni della musica i 150 anni dell’Italia.
Musica, mostre, visite guidate, teatro, cinema per celebrare il 150imo dell'Unità
Tante le iniziative per i 150 anni dell’Unità d’Italia organizzate dal Comune di Prato e dall’assessorato alla cultura. Oltre al sondaggio on line per ricordare e far conoscere i protagonisti della storia pratese degli ultimi 150 anni, il programma prevede mostre, spettacoli, proiezioni di film, visite guidate ed incontri quasi sempre a ingresso libero. Il primo evento in calendario è mercoledì 16 marzo alle 21 con una festa all’insegna della musica al Metastasio, dove andrà in scena (ingresso libero) lo spettacolo "Il Generale è in città" , per la regia di Roberto Becheri e la partecipazione del Comitato cittadino per le attività musicali. La pièce rievocherà il passaggio di Garibaldi a Prato nel 1849, con le note di Verdi, Novaro e di altri musicisti del tempo. Nel cast anche l’attore pratese Roberto Visconti e i cantanti Silvia Pacini e Alessandro Petruccelli, accompagnati al pianoforte da Claudio Bianchi. Apriranno la serata il coro di voci bianche dei bambini della media E. Fermi e i Piccoli cantori della Corale San Martino.Dopo lo spettacolo la banda Benelli sfilerà per le strade del centro, accompagnando i pratesi in piazza del Comune imbandierata a festa: uno spettacolo di luci e suoni, insieme alla fanfara dei bersaglieri, attenderà lo scoccare della mezzanotte e il brindisi offerto alla città per il ‘compleanno’ dell’Italia.Sempre il 16 marzo saranno inaugurate quattro mostre (ingresso libero), per dare visibilità alle opere, ai pensieri e alle passioni dei protagonisti del periodo unitario (resteranno aperte fino al 2 giugno).La prima sarà in biblioteca Lazzerini sui libri che hanno fatto l’Italia: testi poetici di Dante, Foscolo, Byron, Carducci; i romanzi storici in chiave romantica di Manzoni, Grossi, Guerrazzi, D’Azeglio; la storia della letteratura italiana di De Sanctis, ma anche L’arte di mangiar bene dell’Artusi. La seconda nelle Antiche stanze di S. Caterina: il prezioso materiale dell’Archivio Fotografico Toscano fra attrezzature, libri e immagini, farà rivivere l’evoluzione della fotografia nel primo sessantennio del Regno d’Italia. La terza consentirà uno sguardo sul periodo unitario attraverso i documenti dell’epoca e sarà a Palazzo Datini, a cura dell’ Archivio di Stato. La quarta, in saletta Valentini, presenterà di nuovo al pubblico alcuni cimeli del Museo del Risorgimento, allestito dal 1918 al 1946 in Palazzo Pretorio.
Una quinta mostra al Museo del Tessuto (a cura del Fai, dal 26 marzo al 30 aprile) sarà dedicata a Garibaldi. Inoltre, da marzo a maggio, sempre di sabato alle 10.30, saranno organizzate visite guidate gratuite alle mostre e ai luoghi del Risorgimento nel centro storico, per valorizzare l’apporto spesso poco conosciuto dei pratesi all’Unità nazionale. Il 19 marzo è in programma una caccia al tesoro, organizzata insieme all’assessorato alla pubblica istruzione, con partenza da piazza del Comune: indovinelli, giochi enigmistici e prove di abilità per gli alunni delle scuole medie di primo e secondo grado, con l’obiettivo di ricercare le tracce del passato risorgimentale nel cuore della città. In premio per i ragazzini sciarpe bianche, rosse e verdi donate dal Lanificio Bisentino.
Non mancheranno, sempre da marzo a maggio, incontri, conferenze e tavole rotonde per saperne di più sugli eventi e sui personaggi del Risorgimento a Prato: il programma è molto ricco ed è stato organizzato dall’assessorato alla cultura in collaborazione con l’Università del tempo libero E. Monarca, l’Associazione Guasti, l’Archivio di Stato, il Cral dell’Asl, la Società Pratese di Storia Patria.
Ci sarà poi la rassegna teatrale, a ingresso libero, "I mille volti dell’Italia Unita": protagoniste le giovani compagnie del territorio che si esibiranno sul palco del Teatro Magnolfi, spazio storico della città. Il progetto è dell'assessorato alla Cultura in collaborazione con Teatro Metastasio e Fonderia Cultart, inizierà la sera dell11 marzo, per concludersi il 10 aprile.Ma la storia si racconta in modo molto efficace anche con i film. Il Gattopardo, Senso, la Grande Guerra sono solo alcuni dei titoli della rassegna "Viva l’Italia", in programma al Terminale, con la collaborazione della Scuola di cinema Anna Magnani: si parte il 21 marzo (alle 21.30, ingresso libero) con "Noi credevamo" di Martone.Ci saranno poi le cene organizzate al ristorante Opera 22, in collaborazione con l’Istituto S. Rita, in tre date fondamentali del Risorgimento: lo sbarco dei Mille (menu siciliano), la presa di Porta Pia (menu romano), la vittoria nella Prima Guerra mondiale (menu legato a Trento e Trieste): un’occasione per stare insieme ed apprezzare i sapori della cucina del Sud, del Centro e del Nord, in un’amalgama di gusti e tradizioni. Infine, il concerto in piazza Duomo del 7 settembre. La Camerata eseguirà brani dei grandi compositori italiani dell’Ottocento: Rossini, Bellini e, naturalmente, Verdi. Sarà un’altra occasione per festeggiare in piazza con le emozioni della musica i 150 anni dell’Italia.
Unità d'Italia a Chiusi
È appena iniziato, a Chiusi, il mini-ciclo di film dedicato all’unità d’Italia, nell’ambito dei festeggiamenti dei 150 anni della nostra nazione. Domani sera (mercoledì 2 marzo), verrà proiettato alla saletta convegni del teatro Mascagni il film “1860”, film di Alessandro Blasetti datato 1934. La proiezione segue l’analisi della pellicola, prevista per questa sera. Con la stessa formula - analisi il martedì e proiezione il mercoledì - si continuerà ogni quindici giorni. La selezione è stata effettuata da Nicoletta Baglioni, che ha scelto per le altre serata “Viva l’Italia” (1961) di Roberto Rossellini, “San Michele aveva un gallo” (1973) dei fratelli Taviani e, sempre degli stessi autori “Allonsanfan” del 1974. Sono solo degli esempi, sicuramente delle “pietre miliari”, tra i film dedicati all’Italia. Basti pensare che all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, due erano le opere che affrontavano direttamente la questione dell'unità e dell'identità nazionale: nella sezione principale Mario Martone presentava “Noi credevamo”, mentre nella sezione “Controcampo italiano” concorreva “Ma che storia” di Gianfranco Pannone. Le celebrazioni portano con sé innanzitutto l'opportunità di vedere nelle sale cinematografiche come oggi alcuni autori riflettono su quei momenti cruciali della nostra storia, e al tempo stesso offrono la possibilità di ricordare e quindi riattivare lo sguardo di altri cineasti che in passato hanno scavato tra fatti storie e personaggi del processo di unificazione (da De Sica a Germi, da Camerini a Visconti, da Vancini a Soldati). Gli incontri in programma si concentreranno su un percorso, che alla continuità delle esperienze affianca vari prospettive e modalità di rappresentazione della nascita di una nazione. Questi incontri seguono la serie di interessanti lezioni sulla storia e il mito dell’unità d’Italia, con Andrea Possieri, e sull’unità d’Italia nella letteratura, condotte in questo caso da Carmine De Vivo. Intanto, sta per partire la mostra “Sulle vie del Risorgimento”, documentaria e itinerante, dedicata all’intitolazione delle vie di Chiusi, con pannelli sui personaggi e gli eventi di quel periodo storico.