Durante la vita di Verdi, che abbraccia poco meno di un secolo, l’Italia si trasformò, da paese sotto il dominio straniero a quello di uno stato unificato indipendente, desideroso di far parte delle grandi potenze europee. Verdi si sentì sempre partecipe di questo processo e mai si rinchiuse in un’arte d’élite, distante dai problemi della realtà della sua epoca. Al compositore sorgeva la necessità di intraprendere un dialogo con il presente e con l’attualità storica. Scrissero di lui: “Diede una voce alla speranza e ai lutti. Pianse e amò per tutti”. La sua arte si può considerare popolare, nel significato più alto della parola, nella misura in cui si parla al fruitore in un linguaggio che egli può comprendere immediatamente. Un linguaggio che, spesso, si presenta sotto forma di dramma, in perfetta sintonia con i grandi ideali del momento. Il Risorgimento, con le sue lotte per l’unificazione d’Italia, non poteva essere per il compositore indifferente; infatti va considerato come l’humus dove s’immergono le radici del Nabucco, dei Lombardi, di Attila e di Macbeth, ovvero di quelle pagine corali dove Verdi esprime il suo sincero amore patriottico e il suo dolore per un popolo oppresso e soggiogato. D’altra parte venne presto avvicinato dagli intellettuali lombardi più importanti in quel momento, che mai nascosero i loro sentimenti antiaustriaci. Questo non vuol dire che Verdi abbia partecipato attivamente alla vita politica, anche se aveva idee fortemente repubblicane; solo dopo l’incontro con il Cavour venne indotto ad aderire al progetto di unificazione d’Italia sotto la guida dei re della casa dei Savoia.
L’unico momento in cui Verdi manifesta senza indugi i suoi ideali patriottici è nel 1848, quando la libertà dell’Italia sembra essere molto vicina.
Sono indicative le parole che scrive al suo amico Piave il 21 aprile 1848 “L’ora della liberazione è arrivata, capacitatene.
E’ il popolo che la desidera; e quando il popolo la vuole, non vi è nessun potere assoluto che può opporre resistenza! Potranno impedire con tutto quello che possono, coloro che credono che sia necessaria la forza, però non riusciranno più a privare il popolo dei propri diritti. Sì, in pochi anni, forse mesi, l’Italia sarà libera, sarà una Repubblica”. In questo clima il compositore accetta l’invito di Mazzini, che conoscerà a Londra nel 1847, a comporre un inno con i versi di Goffredo Mameli, “Suona la tromba”. In seguito scrive un’opera con un messaggio politico evidente, “La battaglia di Legnano”, dove l’espulsione di Federico Barbarossa simboleggia la cacciata, da parte degli italiani, degli stranieri dal paese. Quando però i movimenti rivoluzionari del 1848 sfociano in un bagno di sangue , Verdi si allontanerà dalla linea di battaglia e tornerà ad essere, prima di tutto, un compositore che continua a sperare in privato nella libertà nazionale.
Il suo nome rimane comunque vincolato agli ideali del Risorgimento, trasformandosi in un acrostico rivoluzionario che venne dipinto, per la prima volta, sulle mura di Roma, all’epoca del “Un ballo in maschera”. L’idea si diffonderà rapidamente per tutto il paese, che era sottoposto ad un clima di controllo politico molto duro e asfissiante.
Viva V.E.R.D.I.
Il graffito “Viva Verdi”, dall’aspetto così innocuo, alludeva in realtà, a un’aspirazione che con gli anni stava diventando sempre più popolare e condivisa: “Viva V[ittorio] E[manuele] R[e] DI[talia]”, ovvero, Viva Vittorio Emanuele re d’Italia! Lo stesso Verdi finisce per aderire a questo progetto quando capisce che l’unità del paese si poteva concretizzare non attraverso l’insurrezione popolare e l’utopia repubblicana di Mazzini, ma esclusivamente mediante il paziente lavoro diplomatico, che si andava realizzando in nome della casa dei Savoia, la quale aveva la possibilità di ottenere l’appoggio delle cancellerie dei paesi più importanti d’Europa.
Tuttavia, le alchimie politiche sono estranee alla personalità di Verdi, come si deduce dal fatto che, quando si concretizza l’unità d’Italia, il musicista entra in Parlamento soltanto per cinque anni, dal 1861 al 1865. Successivamente, lascia da parte questa attività con la convinzione di essere più utile al suo paese come artista che come deputato. Il suo impegno politico, dopo l’unità, si trasforma in un fermo richiamo agli ideali di pace e di fraternità, a un livello superiore, distante da ogni compromesso e dalle strategie machiavelliche dei partiti politici.
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