Il socialismo risorgimentale, di cui Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane possono essere considerati i principali esponenti, non rappresentò una vera e propria corrente politica, ma piuttosto un insieme di posizioni e di contributi teorici maturati all'interno della democrazia italiana, in seguito alla fallita rivoluzione del 1848. La sconfitta del 1848 produsse infatti una riflessione critica all'interno dello schieramento democratico, che si divise sulla valutazione da dare della sconfitta. Le divisioni riguardavano, in realtà, non soltanto i motivi che l'avevano determinata, ma il problema stesso della «rivoluzione italiana» e della strategia da seguire nell'immediato futuroMentre Mazzini riteneva che la linea e il programma d'azione non dovessero essere modificati, vi era chi, in disaccordo con lui, avrebbe voluto collegare la rivoluzione politica a una rivoluzione sociale, come condizione indispensabile per la vittoria. I contributi più ampi e articolati provennero da Giuseppe Ferrari e da Carlo Pisacane i quali, attraverso i loro scritti, ripensarono il problema della «rivoluzione italiana», prospettandone, appunto, la soluzione in chiave socialista.Della democrazia mazziniana Ferrari criticava soprattutto la priorità che la questione dell'indipendenza aveva avuto su quella della libertà. Al contrario, secondo Ferrari, la rivoluzione doveva mirare anzitutto alla libertà. Nei suoi scritti (La Federazione repubblicana e Filosofia della rivoluzione, pubblicati entrambi nel 1851) sosteneva come fosse necessario, per l'Italia, tentare contemporaneamente due rivoluzioni, l'una sul terreno politico e l'altra su quello sociale.La prima avrebbe dovuto liberare il popolo dal dominio straniero e dalle forze della conservazione (che Ferrari individuava nel papato e nelle monarchie); la seconda avrebbe dovuto realizzare un sistema di limitazione della proprietà privata, attraverso l'abolizione dell'eredità perché fonte di ineguaglianza.Per il raggiungimento di tali obiettivi auspicava l'alleanza con la Francia rivoluzionaria e teorizzava la nascita di un partito sociale italiano in grado di sottrarre l'iniziativa politica al mazzinianesimo e di coinvolgere nella lotta le masse popolari.Posizioni analoghe esprimeva Carlo Pisacane nel saggio sulla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, pubblicato anch'esso nel 1851. Per Pisacane il socialismo non costituiva una generica aspirazione, ma il contenuto che avrebbe dovuto assumere la rivoluzione italiana, nonché la mèta verso cui tendeva il progresso europeo. Anche Pisacane, come Ferrari, muoveva da un atteggiamento critico nei confronti di Mazzini, del quale non condivideva la visione puramente politica della rivoluzione, non in grado di mobilitare le classi popolari.A tal fine auspicava la costituzione di un partito socialista rivoluzionario che avrebbe dovuto realizzare, con l'appoggio delle masse, soprattutto contadine, una rivoluzione di tipo socialista, con lo scopo principale della ridistribuzione delle terre agli stessi contadini.A tali proposte non seguì da parte di Pisacane alcuna concreta iniziativa politica. Nonostante le riserve sul piano teorico, continuò anzi a collaborare con Mazzini, fino alla spedizione di Sapri (1857) in cui trovò la morte.Le idee di Ferrari e di Pisacane costituirono comunque una premessa importante, sulla quale anni dopo il nascente movimento internazionalista, anarchico e poi socialista avrebbe innestato la sua propaganda e la sua diffusione tra le masse italiane.
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