Periodo del Risorgimento italiano in cui si inserisce la vicenda di Belfiore
Il Risorgimento mantovano trova le sue premesse al tempo dell'occupazione francese, durata dal 1797 (il primo febbraio di quell'anno l'assedio delle truppe di Napoleone ebbe finalmente la meglio sulle fortificazioni della città) al 1814 (fuga del viceré' Eugenio). La maggior parte della popolazione restò indifferente di fronte al ritorno degli austriaci, ma fu impossibile non constatare il ripristino immediato delle consuetudini conservatrici, per quanto stemperate dalla proverbiale buona amministrazione asburgica. Inoltre, la Municipalità aveva proposto all'Austria il recupero degli ordinamenti del vecchio ducato; per tutta risposta, Mantova entrò a far parte del Regno del Lombardo-Veneto, in diretta dipendenza dall'Impero. Inoltre, si accentuò il suo carattere di fortezza, insieme agli altri tre vertici del cosiddetto Quadrilatero (Peschiera, Verona, Legnago). Infine, le umide stanze del Castello di San Giorgio divennero uno dei carceri di massima sicurezza dell'Italia del Nord. Soffocati i moti del '48-'49, vinta la I guerra d'Indipendenza, l'Austria tornò nel Lombardo-Veneto ben decisa a scoraggiare qualsiasi tentativo d'autonomia. Il cancelliere dell'Impero, Felice di Schwartanberg, era convinto che per tenere sotto controllo gli eterogenei popoli dell'Impero austriaco c'era bisogno di qualche "salutare impiccagione". In un anno vennero eseguite nel regno 961 condanne a morte. I funzionari civili e militari erano liberi di applicare pene corporali. Le autorità imponevano pesantissimi tributi.
La congiura
Di fronte ad una reazione così dura, era inevitabile che si sviluppasse un movimento di rivolta. Mantova fu la provincia dove ogni differenza ideologica si stemperò nel riconoscimento che era necessario prima di tutto organizzarsi, muoversi, per preparare una coscienza civica. In questa città viveva ed agiva don Enrico Tazzoli che aderì al movimento di Mazzini ed organizzò una congiura, che sarebbe stata chiamata poi "di Belfiore", dal nome della località dove i martiri furono giustiziati. Le basi dell'organizzazione vennero poste in una riunione tenutasi nel novembre del 1850, in una casa di via Chiassi, per decidere di creare un comitato insurrezionale allo scopo di raccogliere armi e denaro, di creare collegamenti con altre organizzazioni e infine di contrastare l'Austria. Diciotto mantovani parteciparono a questa storica seduta, tra cui Giovanni Acerbi, Carlo Poma, Achille Sacchi, don Enrico Tazzoli ed altri rivoluzionari. Quest'ultimo divenne, ben presto, il vero organizzatore e coordinatore del moto che coinvolgeva anche Venezia. In una delle riunioni il patriota veneziano Angelo Scarsellini, progettò di catturare l'imperatore austriaco, Francesco Giuseppe, e di tenerlo prigioniero in un'isola della laguna veneta. La sua liberazione sarebbe stata condizionata da riforme, da concessioni di libertà e di autonomia.
La proposta venne respinta perché l'operazione non garantiva l'attuazione delle richieste. Fu affidata a don Tazzoli l'emissione di un prestito interprovinciale per la raccolta di monete di piccolo taglio. L'audacia dei mantovani era tale che le cartelle venivano offerte pubblicamente nei bar senza temere la polizia.
La congiura venne scoperta da una circostanza fortuita: la perquisizione in casa di Luigi Pesci, esattore comunale di Castiglione delle Siviere, perché ritenuto un falsario. Non furono trovate banconote false; fu, invece, trovata una cartella del prestito mazziniano. Pesci interrogato, svelò che un professore del Seminario di Mantova, don Ferdinando Bosio, gli aveva venduto la cartella. Questi, dopo aver resistito a 24 giorni di interrogatori, confessò che il coordinatore del movimento mazziniano era un suo collega: don Tazzoli.
Il processo
Il sacerdote fu arrestato il 27 gennaio del 1852 e gli fu sequestrato il quaderno su cui annotava secondo un codice segreto i nomi degli affiliati e le somme raccolte. Egli non rivelò la chiave di lettura e si considerò estraneo alle accuse di don Bosio. Il 24 giugno dello stesso anno l'ispettore delle carceri politiche, Francesco Casati, comunicò a don Enrico Tazzoli che specialisti viennesi di crittografia avevano decifrato la chiave di lettura del suo quaderno. Vennero, così, arrestati: Carlo Poma, Tito Speri, Carlo Montanari e altri iscritti di Mantova, di Verona, di Brescia, di Venezia. Poiché il centro coordinatore della congiura era Mantova, in questa città affluirono i prigionieri. Nelle carceri del castello di S. Giorgio o dei conventi di S.Teresa e San Domenico i rivoluzionari furono sottoposti a torture morali e fisiche, organizzate dallo spietato giudice istruttore tedesco, Kraus. Quasi tutti i prigionieri confessarono; anche don Tazzoli, dopo la scoperta del cifrario, ritenne assurdo negare l'evidenza. Cercò di minimizzare la responsabilità degli altri e di non rivelare i nomi di quelli che si celavano sotto pseudonimi.
Don Enrico Tazzoli fu giustiziato assieme a Carlo Poma e a tre rivoluzionari che operavano a Venezia: Zambelli, Scarsellini, Canal, il 7 dicembre del 1852 nella valletta di Belfiore con l'imputazione di alto tradimento. Il processo contro i rivoluzionari venne riaperto e il 3 marzo del 1853 vennero giustiziati, sempre a Belfiore, altri tre congiurati: Carlo Montanari, Tito Speri e don Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere. Il 19 marzo del 1853, compleanno dell'imperatore, Radetzky elargì l'amnistia a tutti gli inquisiti in attesa di sentenza, ma, poche ore prima che il proclama fosse notificato, venne impiccato Pietro Frattini.
Una tragedia che poteva essere evitata
I martiri di Belfiore avrebbero potuto salvarsi se avessero negato le accuse. Infatti l'articolo 443 del codice penale austriaco prevede in questo caso la prigionia per 20 anni e non il patibolo, riservato solo a chi confessa le colpe di alto tradimento. Unico patriota che non fu condannato a morte fu Giuseppe Finzi, in quanto conoscendo il codice penale, aveva sempre negato di fronte alle accuse dei compagni, infatti fu condannato a 18 anni di carcere duro.
Grande, inoltre, fu l'ingenuità di questi patrioti nel non prevedere la possibilità di essere arrestati e di conseguenza nel non conoscere le possibilità per scolparsi.
La posizione della Chiesa
La dura repressione austriaca riceveva la sua approvazione dal Papa Pio IX il quale volle che tutti i preti coinvolti nella congiura fossero sconsacrati. Il Vescovo di Mantova, monsignor Corti tentò inutilmente di intervenire affinché si evitasse per don Enrico Tazzoli la sconsacrazione. Fu costretto a procedere alla mortificante cerimonia: la lettura della formula di condanna, il ritiro dei paramenti sacri tolti di dosso e la raschiatura con un coltello della pelle delle dita che sorreggono l'ostia durante la comunione.
La situazione nelle campagne
Dalla fine del 1848 al 1854 il territorio mantovano fu anche agitato da proteste contadine, qualche volta da vere rivolte. La reazione austriaca fu spietata: una prima commissione nominata da Gorzkowski mandò a morte 16 contadini nel periodo tra il 1848- 1850. Una seconda commissione nelle città di Este fece condannare, tra il 30 ottobre del 1851 al 1854, 245 giovani, accusati di atti di terrorismo, di renitenza e di costituzione di bande armate.
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