Quintogenito di Girolamo IV e di Antonia Gioeni, nasce a Palermo il 15 luglio 1820. Rimasto orfano ancora bambino - suo padre morì nel 1828 e sua madre nel 1831 - fu messo nel collegio dei Padri Teatini, per essere avviato - come tanti suoi antenati - alla carriera ecclesiastica. La sua spiccata avversione per la vita religiosa, tuttavia, indusse il fratello Ignazio III, capo della famiglia, a non insistere in questo proposito.
Terminati gli studi a Roma, Rosalino tornò alla natìa Palermo, ove venne incaricato dal fratello di riordinare il patrimonio familiare. Mentre assolveva a tale compito con la scrupolosità propria del suo carattere, si mescolò alle società segrete che da Palermo irradiavano i loro tentacoli in tutta l’Isola, e strinse amicizia con i più arditi rivoluzionari quali: Francesco Crispi, Ruggero Settimo e Giuseppe La Masa.
Il 28 novembre 1847 fu tra i primi a partecipare alla dimostrazione sotto il Palazzo Reale, che al grido di “viva il Re, viva Pio IX!” cercava di indurre il Sovrano a concedere riforme liberali. Tre giorni dopo, per sua iniziativa, la dimostrazione si ripeteva al Teatro Carolino (ora Bellini). Ma l’effetto di tali dimostrazioni fu nullo, e Rosalino allora si adoperò anima e corpo perchè riuscisse la rivolta a mano armata della quale già in precedenza era stato fautore. Ed il 12 gennaio 1848 fu ancora una volta tra i primi a scendere in piazza.
Rovesciato il regime Borbonico, Rosalino fece parte di quello strano governo provvisorio che, con a capo Ruggero Settimo, resse le sorti della Sicilia sino alla restaurazione. Il 26 aprile 1849, Rosalino e gli altri capi rivoluzionari, si imbarcavano su un piroscafo francese prendendo la via dell’esilio.
Sbarcato a Marsiglia, si trasferì quasi subito a Genova ove nel luglio conobbe Giuseppe Mazzini. Entusiasta ne sposò la causa, ed al fratello Ignazio che, ottenutogli il perdono sovrano, lo esortava a tornare in Sicilia, ad occuparsi dell’amministrazione del patrimonio familiare, rispondeva:
“Con grande piacere ti aiuterei, fratello mio, ma nel momento vedo ch’è impossibile il mio ritorno in patria, perchè un ostacolo potentissimo vi ha, il quale non può sormontarsi tanto facilmente per la maniera di pensare dalla quale non posso recedere”.
E continua la sua opera per la liberazione della Sicilia. Per incarico dello stesso Mazzini partecipa alla sfortunata impresa di Carlo Pisacane, e, nel giugno 1857, all’assalto dei forti Diamante e Sperone di Genova. Ricercato dalla polizia Sarda, ripara a Malta, trasferendosi dopo un anno a Londra. Nel luglio 1859 lo troviamo nuovamente in Italia, a Firenze. Accetta un incarico da Mazzini, e si reca in Romagna, dove viene arrestato dalla polizia Sarda.
Liberato nel settembre successivo per intercessione di Garibaldi, fu accompagnato dai carabinieri al confine Svizzero. Rimase a Lugano sino a metà dicembre e tornò quindi a Genova. Era rimasto idealmente repubblicano, ma constatata l’inutilità dell’azione Mazziniana, si era quasi fatalmente convertito, come lo stesso Garibaldi e lo stesso Francesco Crispi, alla nuova formula rivoluzionaria “Italia a Vittorio Emanuele”.
Ed a Genova si adoperò in tutti i modi perchè Garibaldi si mettesse a capo di quel movimento che doveva dare alla Sicilia la tanto agognata libertà. Ma Garibaldi non è ancora deciso, Rosalino, impaziente, d’accordo con Francesco Crispi, rompe gli indugi e il 26 marzo 1860 si imbarca per la Sicilia per mettersi alla testa dei rivoluzionari, e porre così Garibaldi di fronte al fatto compiuto.
Il 9 aprile sbarca al Castello delle Grotte presso Messina e si muove per “raggiungere i trentamila che combattono in Palermo contro le truppe Regie”. La notizia che Rosalino è in Sicilia corre come una leggenda per l’Isola, rincuora i combattenti, sprona gli incerti. E la marcia del biondo eroe è trionfale. Al suo passaggio le autorità Borboniche spariscono, gli sbirri si arrendono, giovani e vecchi corrono ad ingrossare le file della rivoluzione.
Frattanto Garibaldi è salpato da Quarto. L’11 maggio, mentre Rosalino è attestato con le sue squadre a Roccamena, giunge la notizia dello sbarco dei Mille. Rosalino si mette immediatamente a disposizione di Garibaldi. Il 20 maggio riceve da questi l’ordine di muovere su S.Martino. La mattina del 21 è sul posto e si scontra con preponderanti forze nemiche.
Sul punto di essere sopraffatto si pone a scrivere un biglietto a Garibaldi per chiedere rinforzi, ma una palla di rimbalzo lo coglie alla testa e lo fulmina nell’ardore della battaglia. A sera il suo corpo venne raccolto e sepolto a cura del Priore dell’Abbazia di S.Martino.
Rosalino, oltre che di numerosissime lettere, fu autore della “Esatta cronaca dei fatti avvenuti in Sicilia e preparativi di rivoluzione prima del 12 gennaio 1848”, pubblicata nel 1914 dalla rivista “Il Risorgimento Italiano”. Il 30 settembre 1862 gli fu conferita alla memoria dal Governo Italiano la Medaglia d’oro al Valor Militare.
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