La canzone si chiamava La bela gigogin, era graziosa, fresca. La canzone non aveva alcun significato politico, eppure i milanesi vollero avvertire in quel “daghela avanti un passo” del ritornello una specie di invito a marciare, a muoversi, ad andare avanti. Un “vengo anch’io” d’oltre un secolo fa. La intonarono i Cacciatori delle Alpi nelle battaglie del 59, la ripresero i garibaldini durante la spedizione in Sicilia. Anzi, fu proprio questo l’inno – ufficioso - dei Mille. E pensare che l’inno ufficiale lo aveva scritto Garibaldi in persona! Ma i suoi volontari non ne vollero sapere, anche perché Garibaldi è un pessimo paroliere. Così, si tennero la loro Gigogin e la portarono, fresca e graziosa, da Quarto al Volturno (Luciano Bianciardi).
Rataplan! Tamburo io sento
che mi chiama alla bandiera.
Oh che gioia, oh che contento,
io vado a guerreggiar!
Rataplan! Non ho paura
delle bombe e dei cannoni,
io vado alla ventura,
sarà poi quel che sarà.
E la bela Gigogin
col tromilerilerela,
la va a spass col sò spincin,
tromilerilerà.
A quindici anni facevo all'amore.
Daghela avanti un passo, delizia del mio core!
A sedici anni ho preso marito.
Daghela avanti un passo, delizia del mio core!
A diciasette mi sono spartita.
Daghela avanti un passo, delizia del mio cor!
La ven, la ven, la ven alla finiestra.
l'è tutta, l'è tutta, l'è tutta insipriada.
la dis, la dis, la dis che l'è malada
per non, per non, per non mangiar polenta,
Bisogna, bisogna, bisogna avè pazienza,
lassala, lassala, lassala maridà.
Le baciai, le baciai il bel visetto.
Cium, cium, cium!
La mi disse, la mi disse: -Oh che diletto,
Cium, cium, cium!
Là più in basso, là più in basso in quel boschetto,
Cium, cium, cium!
andrem, andrem a riposar.
Ta-ra-ra-tà-tà.
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