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lunedì 21 dicembre 2009

Alberto Mario

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Alberto Mario nacque a Lendinara (Rovigo) nel 1825. In gioventù strinse amicizia con i poeti Prati e Aleardi, prese parte ai moti padovani del 1848 e aderì agli ideali mazziniani. Collaborò tra il 1855 e il 1856 all'«Italia e Popolo» e partecipò ai preparativi della spedizione di Pisacane e delle insurrezioni di Livorno e di Genova. Proprio a Genova venne arrestato e nel carcere di Sant'Andrea maturò i primi dissensi nei confronti del pensiero di Mazzini. Scarcerato, ma con l'obbligo di abbandonare il territorio del Regno di Sardegna, si trasferì in Inghilterra, dove il 19 dicembre 1857 a Portsmouth sposò la scrittrice e pubblicista inglese Jessie White Meriton (1832-1906), personaggio straordinario della storia culturale e politica del suo tempo, anch'essa ammiratrice e testimone attiva delle imprese garibaldine nonché simpatizzante delle idee mazziniane e amica del Mazzini stesso. In Inghilterra riannodò i rapporti con Mazzini e iniziò a collaborare a «Pensiero ed Azione»; accompagnò la moglie Jessie negli Stati Uniti per un ciclo di letture pubbliche sull'Italia finanziate da fondi mazziniani. Rientrato in Italia il 25 luglio 1859, 15 giorni dopo l'armistizio di Villafranca, lanciò il noto appello ai repubblicani perché corressero «all'armi francamente e lealmente, duce Vittorio Emanuele», convinto che fosse necessario rendere nazionale la guerra. Arrestato il 22 agosto a Pontelagoscuro, dovette in seguito stabilirsi a Lugano dove strinse amicizia con Cattaneo, arrivando a condividerne le perplessità sui limiti della battaglia unitaria, che sottovalutava l'importanza di sviluppare le libertà interne e di educare il popolo alle responsabilità di governo. A Lugano Mario diresse «Pensiero ed Azione» fino al marzo 1860, quando, costretto a lasciare la Svizzera, si recò a Genova dove riuscì ad imbarcarsi, in disaccordo con Mazzini (che avrebbe voluto inviarlo a organizzare la sollevazione nelle Marche), per la Sicilia soltanto con la seconda spedizione, comandata da Giacomo Medici, che sbarcò nel golfo di Castellammare a circa 50 Km. da Palermo la mattina del 18 giugno 1860. Durante la campagna garibaldina organizzò una scuola militare regolare per i picciotti e, entrato a Napoli con Garibaldi il 4 settembre, partecipò attivamente alle polemiche sull'annessione, sostenendo con Cattaneo la convocazione di assemblee locali contro i progetti fusionistici del regno di Sardegna. Dopo il 1860 Mario si allontanò sempre più da Mazzini; in seguito ai fatti di Aspromonte del 26 luglio 1862, predicò sulla «Nuova Europa» di Firenze «l'inversione della formula: libertà e unità»: il suo programma divenne l'unità federale, cioè l'unità compatibile con il massimo di autonomie locali, amministrative e legislative. Nel 1863, eletto a sua insaputa nel collegio di Modica, rifiutò la deputazione. Partecipò alla campagna del 1866 tra le forze garibaldine e all'impresa di Mentana nel 1867, dove fu capo di Stato Maggiore, che si concluse con la rotta dei garibaldini il 3 novembre 1867. Dopo il 1870 si dedicò completamente all'attività giornalistica: diresse la «Provincia di Mantova» (1872-74), la «Rivista Repubblicana» (1878-79), la «Lega della Democrazia» (1880-83), sostenendo sempre la repubblica federale e contrapponendosi ai mazziniani ortodossi e agli internazionalisti. In questo periodo i rapporti con la moglie, sempre più avviata su posizioni di repubblicanesimo radicale, ebbero qualche incrinatura e interruzione, ma si ricomposero negli ultimi difficili anni della sua vita trascorsi a Lendinara, dove morì nel 1883. Tra i suoi principali scritti ricordiamo: Italia e Francia (1859), La schiavitù e il pensiero (1860), I nostri filosofi contemporanei (1862), La questione religiosa di ieri e di oggi (1867), La mente di Carlo Cattaneo (1870), La camicia rossa (1870), I Mille (1876), Teste e figure (1877), Garibaldi (1879). Molti suoi studi ed articoli furono riuniti da Carducci, che fu suo amico e corrispondente, con la collaborazione di Jessie, ed apparvero postumi: Scritti letterari, scelti e curati da G. Carducci con ritratto d'autore (1884), e Scritti politici, a cura e con proemio di G. Carducci (1901).



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