/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": MARIA TERESA SEREGO ALIGHIERI GOZZADINI

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giovedì 24 novembre 2011

MARIA TERESA SEREGO ALIGHIERI GOZZADINI

MARIA TERESA SEREGO ALIGHIERI GOZZADINI


"Dal nemico non accetto favori"
NASCITA
8 Dicembre 1812 nascita di Maria Teresa Alighieri detta Nina.
INFANZIA DAL 1812 AL 1822
Nell’educazione della piccola Nina si riflette il carattere austero e composto della famiglia che non permette alcuna frivolezza. La madre è una grande appassionata di archeologia, interesse che passerà alla figlia una volta cresciuta, e che le permetterà di venire in contatto con figure importanti nella sua vita. A otto anni è ammessa al suo primo ricevimento in onore di alcuni amici poeti fra cui Vincenzo Monti e Ippolito Pindemonte. Già a dieci anni la piccola Nina si immerge nella lettura dei classici. Nina soffre enormemente per la partecipazione della madre ai moti carbonari del 1821, e la piccola viene sottratta alle cure materne e affidata al convento veneziano della Visitazione, retto dalle suore salesiane francesi. Il padre non riesce ad opporsi alla decisione presa dai parenti.
ADOLESCENZA DAL 1822 AL 1829
L’adolescenza di Nina è tutt’altro che lieta, nel convento vigono norme di vita molto severe e le condizioni in cui vive sono proibitive. Queste privazioni e difficoltà segnano la ragazza nello spirito e nel corpo (per colpa dell’umidità della cella Nina ha fastidi respiratori ). A causa di questi problemi intervengono i suoi precettori esterni, la contessa Loredan e l’abate Meschini, i quali ritirano la giovane. Una volta a casa i principali elementi della sua educazione sono gli intellettuali e i patrioti amici della madre. Nel 1829 la madre muore e Nina, diciassettenne, si deve assumere la tutela del fratellino Piero, un fanciullo un po' malaticcio, che ha per maestro un monaco il quale è più interessato alle grazie di lei, che all’educazione di lui. Crescendo Nina incomincia a dedicarsi alla pittura, prediligendo i paesaggi delle campagne veronesi. Con lei ha sempre la Divina Commedia del suo avo, e spesso ne rimanda a memoria i versi.Dal 1829 al 1840 viaggia e poi segue il padre che si è trasferito a Venezia, in quel periodo riceve proposte di matrimonio di molti ufficiali austriaci, tutte rifiutate per il disgusto che i dominatori della sua patria le procurano. Torna per breve tempo a Verona, da dove parte per un lungo giro delle maggiori città italiane. E’ molto sensibile verso le bellezze artistiche e architettoniche del suo paese, ma è anche in ansia per la condizione di servilismo delle persone che vi incontra. Solo a Firenze riesce a rasserenarsi, vedendo il governo illuminato del Granduca di Lorena. La città le rimane nel cuore, nelle sue lettere agli amici ne parla in tono entusiasta: "Qui si vive in un Eden. Non si incontra volto che palesi dominio straniero, non s’ode voce di barbaro accento. Qui è abolita la pena di morte e tutto spira pace e benessere universale. Il governo del Granduca permette qualunque giornale. Il Courier Français, il National, dei quali da noi non si vede neppure la faccia si leggono pubblicamente nelle botteghe, e i fogli sono letti da tutti. Vedo spesso persone quasi cenciose leggere una gazzetta avidamente." Sempre in questa città incomincia l’ossessione che riguarda il suo nome, infatti si sente a disagio per non essere all’altezza del suo nome: "La è una cosa che compromette e fa sentire quanto pesa questo gran nome e quanto è mai sorretto dalle pie spalle pigmee." Lì a Firenze conosce e diviene amica di Vermiglioli e di Niccolini. Torna a Verona verso la fine del ’40, dove il cugino Giovanni Gozzadini, professore e studioso di storia, la chiede in sposa.
Si sposa con Giovanni Gozzadini.
DAL 1841 AL 1843
Sebbene sia restia all’idea di lasciare la sua amata Verona, Nina cede e si trasferisce a Bologna con il marito. Subito viene presa dalla nostalgia di casa e in una lettera scrive: “Non posso dirvi quanto ho bisogno di stare con voi altri, di non vedere più musi nuovi, di parlare veronese, di vedere la nostra casa, i nostri colli, l’Adige e tutto ciò che una volta avrei creduto mi fosse indifferente. Non ne posso più, più, più.” In quel periodo c’è un’intensa corrispondenza con Andrea Maffei marito di Clara Maffei, intimo amico di Nina. Dopo alcuni mesi di estraniazione, dai quali esce grazie all’aiuto di Maffei e del marito, Maria Teresa incomincia anche lì a trovarsi a suo agio. Intrattiene rapporti con le giovani aristocratiche come la Martinetti e la Pepoli Sampieri, famose per le loro qualità, ma chiacchierate per i costumi. Scopre di essere in attesa di un figlio e ciò la esorta a prendersi cura e a portare aiuto agli altri. Il bimbo nasce senza complicazioni, ma a tredici mesi si ammala e muore. Dopo un periodo di dolore nasce Dina, che però non riesce a compensare del tutto la perdita del primo figlio. In quel periodo poi le muore anche il padre, evento che la getta nel più tetro sconforto. In questo periodo però incominciano a germogliare in lei le prime idee del patriottismo militante. Entra in amicizia con Livio Zambeccari, e incomincia a partecipare agli incontri della Giovine Italia Bolognese, impegnandosi attivamente nel gruppo.
DAL 1843 AL 1859
Quando, nel ’43, ci sono le prime rivolte a Bologna, Maria Teresa si lega alla città giurando che non l’abbandonerà, anzi convinse anche il marito ad entrare nella presidenza della Guardia civica e lei fu anche l’ideatrice di una nuova forma di lotta politica che prevede lo sciopero ad oltranza di tutta la popolazione; solo con grande dispendio di forze l’invasore riesce a far riaprire alcune botteghe; dopodiché come ritorsione impone un aumento delle tasse. Maria Teresa e il marito intraprendono un viaggio per Napoli, dove risiedono per circa tre anni, adducendo come scusa motivi di salute. Grazie alle lettere di presentazione di Zambeccari può mettersi in contatto con i circoli patriottici, che si ispirano ai fratelli Alessandro e Carlo Poerio, al Del Re, al D’Ayala. Da queste persone apprende le inumane condizioni di vita a cui erano costretti, e decide di scrivere un libro sulla storia di quelle genti. Tornata a Bologna consegna il manoscritto al segretario di Cristina di Belgioioso, affinché lo pubblichi sull’Ausonio, giornale che è pubblicato a Parigi. Il manoscritto, oltre a riscuotere un subitaneo successo tra i patrioti, finisce nelle liste di tutte le polizie come scritto di possibile sovversiva da tenere sotto stretto controllo; gli intensi rapporti con i fratelli Poerio, fanno preoccupare il marito per l’incolumità di Nina. Così Giovanni decide di compiere un viaggio di piacere a Roma, città che Nina ha sempre desiderato vedere. Dopo il ritorno di Garibaldi dall’Uruguay, Nina incomincia a raccogliere fondi e a spronare i giovani alla lotta, raccoglie i volontari nella propria casa sfamandoli ed equipaggiandoli. Sapendo che Verona era sull’orlo della liberazione Nina manda al fratello un biglietto: “Quando riceverai questo foglio sarai libero cittadino della nostra libera patria. Questo pensiero mi fa battere il cuore di gioia e mi fa sopportare l’angoscia della presente oppressione in cui vivi, la quale mi toglie di godere le gioie sublimi di questi grandi momenti. Il signor Marco Minghetti, già ministro a Roma ed ora capitano nell’armata piemontese, avrà la gentilezza di consegnarti questo foglio quando entrerà in Verona con l’esercito liberatore. Tu lo conosci per fama, e gratissima ti sarà certo la sua personale conoscenza; né dubito gli farai le più cordiali accoglienze, anche come persona alla quale io professo la più cordiale stima e amicizia. Così, potessi abbracciarti io nel giorno della tua liberazione.” Purtroppo la disfatta di Novara toglie ogni speranza alla donna, che saputo del ferimento di Massimo d’Azeglio, si adopera a farlo ricoverare a Bologna per assisterlo personalmente. Durante i combattimenti non ha più notizie del fratello, la cui casa è stata catturata dagli austriaci e trasformata nel Quartier Generale di Verona. Gli austriaci vogliono barattare il permesso di scrivere al fratello con la libertà di parola di Nina, ma ella rifiuta rispondendo: “Dal nemico non accetto favori.” Successivamente, durante il periodo di repressione austriaca, Maria Teresa a Ronzano, località vicino Bologna dove è andata a vivere, ospita e protegge nella sua casa molti tra i rifugiati, tra cui si notavano il poeta Aleardo Aleardi e il giovane mazziniano Alberto Mario. Questi vengono scortati dalla stessa Maria Teresa fino in Toscana nascosti nella sua carrozza. Il triste esito delle sollevazioni del ’48 però la fa cadere in uno stato di acuta depressione, che la costringe ad abbandonare la lotta per dedicarsi alla propria cura. In quel periodo subisce un profondo cambiamento, come se avesse bandito per sempre la sua attività politica nei più profondi recessi della memoria. Il marito, preoccupato per lei cerca di interessarla ad alcuni scavi etruschi, durante i quali riprende il contatto con la poetessa Giannina Milli e ricomincia a operare segretamente nel nome di una rivolta patriottica.
Gli Austriaci , respinti al di là del Mincio, abbandonano anche Ronzano e grande è quindi la gioia di Maria Teresa. Tuttavia Verona accoglie l’esercito austriaco e impedisce agli alleati italo – francesi di entrare in città; la città rimane chiusa, e ogni tentativo di rafforzare la situazione è inutile. Poi, l’inaspettata e assurda pace di Villafranca fra Napoleone III e Francesco Giuseppe muta in disperazione l’iniziale euforia di Nina. Con quell’accordo si rinvia sine die la liberazione di Verona, e per di più l’esercito austriaco, col sostegno delle truppe russe, è diventato nuovamente minaccioso. L’asma bronchiale, ormai cronica, la infastidisce e la rende nervosa. Le cattive condizioni di salute influiscono negativamente sui suoi giudizi, per cui è portata a considerare privi del necessario vigore i provvedimenti che il governo provvisorio bolognese va emanando. Solo la partenza di Garibaldi per l’impresa dei Mille fa esultare ancora di gioia Maria Teresa. In lei non si spegne mai l’amore per l’Italia; sebbene ormai non si muove più da Ronzano, non si declina la sua fama, tanto che il suo salotto è sempre frequentato dai più alti spiriti del tempo. Tormentata da acute nevralgie, ha sempre un sorriso per tutti. Aleardo Aleardi e Paolo Mantegazza la proclamano degna del nome Alighieri; Carducci ne ama e ammira l’animo e l’ingegno nobilissimi e rari.
MORTE 26/9/1881 La morte l’accoglie a sessantanove anni. Una immensa folla segue il suo feretro che venne tumulato nel cimitero di Bologna. Sulla lapide scrivono: “Era stata benedetta e ammirata in Italia e fuori per virtù rare d’intelletto e per operosa devozione alla libertà di patria”.
La descrivono così gli amici: “Agile e snella balla perfettamente e con grazia. E’ di folta, bruna e magnifica capigliatura inanellata. I suoi occhi cerulei sono vivacissimi e insieme di un’espressione soave. Purissime e plastiche le linee sopraccigliari, la fronte spaziosa.

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