/**/ Associazione Culturale e Sportiva "Giuseppe Garibaldi": novembre 2017

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domenica 12 novembre 2017

Le figure dei Fratelli Plutino, di Agostino ma soprattutto di Antonino, sono fondamentali per meglio comprendere le modalità con le quali la città di Reggio Calabria ha affrontato il Risorgimento e più tardi l’Unità d’Italia. Non a caso essi sono al centro, in questo 2011, della riflessione e delle ricerche di storici e studiosi del Risorgimento reggino che si orientano soprattutto verso l’opera di Antonino al quale l’Associazione Culturale Anassilaos, nel secondo centenario della nascita (10 dicembre 1811) che si è tenuta presso la Sala di San Giorgio al Corso con la partecipazione del Prof. Franco Arillotta, storico e componente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Oppositore fin dalla prima ora del regime borbonico fu carbonaro e partecipe e organizzatore dei moti liberali che interessarono la Calabria. Partecipò al moto di Cosenza (1844) in concomitanza dello sbarco dei Fratelli Bandiera; in carcere fino al 1846 fu tra i promotori alla Rivolta di Reggio del 2 settembre 1847. Tornato in patria (1848), fu eletto deputato al parlamento napoletano, e prese parte alla giornata del 15 maggio e all’insurrezione calabrese del giugno. Tale generosa partecipazione al movimento risorgimentale fu dal Plutino scontata con la prigione, la confisca dei beni e, infine, con l’esilio prima a Marsiglia e poi in Piemonte. Da Genova, nel 1860, si unì alla Spedizione dei Mille, segnalandosi a Calatafimi e Milazzo e partecipando alla Battaglia di Piazza Duomo che consegnò Reggio Calabria a Garibaldi da cui fu nominato presidente del Consiglio di guerra e governatore della Provincia. Comincia così uno dei periodi più discussi dell’attività del Plutino che gli provocò non poche rimostranze. Egli infatti epurò l’apparato amministrativo e giudiziario con l’esilio di numerosi reggini tra i quali lo stesso Arcivescovo della Città, Mariano Ricciardi,considerato vicino al regime borbonico. Da prefetto di Catanzaro diede le dimissioni perché costretto a prendere le armi contro il suo amato generale Garibaldi che tentava, ancora una volta dalla Sicilia e dalla Calabria di marciare verso Roma (1862) e venne poco dopo eletto deputato. Morì a Roma il 25 aprile 1872.